Caporalato e sfruttamento in agricoltura

Tra pandemia, normativa e misure di contrasto
caporalato
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Abstract:

Per lungo tempo il nostro ordinamento ha combattuto il c.d. caporalato e lo sfruttamento lavorativo senza figure di reato ad hoc e in un quadro sanzionatorio di natura contravvenzionale. Solo con la legge n. 199/2016 l’Italia si è dotata di una normativa adeguata in materia. L’aspetto della prevenzione del fenomeno criminale, tuttavia, è stato trascurato. A ciò pare finalmente porre rimedio il recente Piano triennale di contrasto adottato dal Ministero del Lavoro. Ma l’attuale emergenza sanitaria impone soluzioni immediate per la tutela di molti braccianti stranieri.

 

Indice:

1. Caporalato e sfruttamento del lavoro in agricoltura: una sanatoria per la pandemia

2. L’evoluzione normativa: dal collocamento pubblico alla legge n. 199/2016

3. Il Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato

 

1. Caporalato e sfruttamento del lavoro in agricoltura: una sanatoria per la pandemia

Preoccupa la situazione dei lavoratori stranieri che abitano in baraccopoli e accampamenti di fortuna sparsi sul nostro territorio. Preoccupa (o dovrebbe preoccupare) sempre, ma la pandemia in atto aggiunge motivi di apprensione.

Si tratta in molti casi di braccianti agricoli costretti a vivere in condizioni poco dignitose in luoghi insalubri, privi di servizi igienici, energia elettrica e acqua corrente. In molti casi queste persone sono costrette a dormire, mangiare e cucinare negli stessi esigui spazi comuni. In luoghi come questi, richieste quali lavarsi spesso le mani, rimanere in casa, mantenere le distanze di sicurezza, evitare gli assembramenti, risultano surreali quando non tristemente ridicole. Il rischio che il coronavirus (Covid-19), una volta giunto in questi ambienti, si diffonda senza ostacoli fra le comunità che li abitano è reale.

È quanto denuncia Flai CGIL in una lettera aperta, indirizzata al Presidente della Repubblica e al Governo, chiedendo l’intervento dei Prefetti, anche in virtù dei nuovi poteri loro conferiti dall’inizio dell’emergenza sanitaria, per allestire e/o requisire immobili. Ciò al fine di garantire una sistemazione alloggiativa e mettere in sicurezza migranti e richiedenti asilo presenti sul territorio.

Per gli eventuali interventi di rifacimento e adeguamento degli immobili si propone anche di utilizzare le risorse già stanziate per il Piano Triennale contro lo sfruttamento e il caporalato. 

All’appello stanno aderendo diverse organizzazioni (ASGI, ACLI Terra Nazionale, ARCI, Libera, etc.) ed illustri personalità, tutte unite nel chiedere l’adozione di misure strutturali ed immediate quali il rafforzamento di strumenti volti a contrastare il lavoro nero e a favorire l'assunzione regolare dei braccianti extracomunitari. Ma soprattutto si chiede una sanatoria per consentire la regolarizzazione della posizione dei lavoratori stranieri in agricoltura. 

Tutte misure considerate indifferibili dai sottoscrittori data la situazione di eccezionalità. Situazione che, è fuor di dubbio, meriterebbe di essere affrontata senza miopi approcci ideologici.

D’altra parte a rischio è l’intera filiera italiana dell’agro-alimentare, portata avanti da braccianti in larga misura stranieri; inoltre, data l’emergenza sanitaria, difficilmente si potrà contare sull’arrivo di nuovi stagionali.

 

2. L’evoluzione normativa: dal collocamento pubblico alla legge n. 199/2016

È certamente vero che caporalato e sfruttamento dei lavoratori stranieri nel settore agricolo costituiscano ancora un’amara realtà con cui l’Italia deve fare i conti.

La lotta a questi fenomeni criminali è cominciata tardivamente nel nostro Paese e con armi inadeguate. 

È solo del 13.08.2011 la legge che ha introdotto nel codice penale l’articolo 603 bis sul reato di «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro» (articolo 12, l. n. 138/2011). Prima di questa data il contrasto al caporalato era affidato a strumenti normativi piuttosto blandi quali l’interposizione di manodopera e l’illecita somministrazione di manodopera: fattispecie aventi natura contravvenzionale, poste a presidio del collocamento pubblico della manodopera nel mercato del lavoro.

Nuove figure di reato, ancora di natura contravvenzionale, furono poi introdotte con la fine del monopolio pubblico del collocamento.

Infatti il quadro sanzionatorio fu ridefinito dal c.d. Pacchetto Treu (l. n. 196/1997), che introdusse il lavoro interinale, e dalla c.d. Legge Biagi (d.lgs. n. 276/2003) che disciplinava l’attività di intermediazione e somministrazione di lavoro. Comparvero, così, nuove figure di reato quali: intermediazione illecita, somministrazione abusiva, utilizzazione illecita, appalto e distacco illeciti e fraudolenti, etc.[1] Ma nessuna precipuamente pensata per il contrasto del caporalato nei settori tradizionalmente più toccati dal fenomeno: agricoltura ed edilizia.

Tuttavia anche la normativa del 2011 si è rivelata inadeguata al compito che doveva assolvere. I suoi limiti principali erano:

  1. la non punibilità del datore di lavoro (che non rientrava fra i soggetti attivi del reato), il quale poteva essere coinvolto solo per il tramite della responsabilità concorsuale;
  2. la mancata previsione della responsabilità delle persone giuridiche;
  3. la difficoltà probatoria;
  4. la mancata previsione di “aggressive” forme di confisca dei profitti conseguiti con lo sfruttamento lavorativo e di quanto utilizzato per la commissione del reato (tipicamente il mezzo di trasporto).

Dunque si trattava di un reato che riguardava il solo rapporto bilaterale tra caporale e lavoratore, senza assicurare una tutela ai lavoratori sfruttati ma non reclutati da un caporale-intermediario.

Per di più si poteva punire l’attività di intermediazione del caporale solo se realizzata con violenza, minaccia o intimidazione e nel contesto di una struttura organizzativa (doveva infatti trattarsi di attività organizzata): tutti elementi di non facile dimostrazione in sede probatoria.

«Un delitto senza testa, dunque, o, se si preferisce a terapia asintomatica: destinato semmai ad incidere sui sintomi, ma non ad estirpare le cause genetiche del sistema»[2].

La consapevolezza di queste lacune ha così portato all’approvazione della legge 29.10.2016, n. 199 che ha significativamente modificato l’articolo 603 bis codice penale introducendo importantissime novità.

Innanzitutto la responsabilità delle persone fisiche viene allargata ed affinata:

  • si introduce la punibilità autonoma del datore di lavoro che sfrutta lavoratori in stato di bisogno;
  • si prescinde, ai fini della punibilità, da condotte violente, minacciose o intimidatorie nei confronti del lavoratore, laddove, in precedenza, l’impiego di violenza, minaccia ed intimidazione erano elementi costitutivi del reato;
  • si prevede, d’altra parte, un’aggravante speciale se l’intermediazione o lo sfruttamento vengono posti in essere con minaccia o violenza;
  • si introduce una circostanza attenuante (articolo 603 bis 1 codice penale) per chi collabora con l’autorità, con una diminuzione di pena da un terzo a due terzi;
  • si prevede la “confisca obbligatoria” delle cose servite o destinate a commettere il reato e di ciò che ne costituisce prezzo, prodotto o profitto, anche nella forma per equivalente (articolo 603 bis 2 codice penale).

Inoltre, viene finalmente introdotta la responsabilità della persona giuridica, prevedendo che l’ente sia chiamato a rispondere qualora il reato sia commesso nel suo «interesse o vantaggio» (decreto legislativo 231/2001).

A tal proposito si introduce, altresì, un nuovo ed innovativo strumento: il “controllo giudiziario dell’azienda”. Quest’ultimo può essere disposto dal giudice, in luogo del sequestro e presso l’azienda in cui è stato commesso il reato, qualora l’interruzione dell’attività incida negativamente sui livelli occupazionali o comprometta il valore economico del complesso aziendale.

In questo caso viene nominato un “amministratore giudiziario” che affianca l’imprenditore nella gestione dell’azienda, riferendo periodicamente al giudice (e comunque ogni qualvolta emergano irregolarità) circa l'andamento dell'attività aziendale: il fine è di impedire che si verifichino situazioni di grave sfruttamento lavorativo. Perciò si procederà alla regolarizzazione dei lavoratori che, al momento dell'avvio del procedimento per i reati previsti dall'articolo 603-bis, prestavano la propria attività lavorativa in assenza di un regolare contratto.

Dunque, sia pure tardivamente, si può affermare che l’ordinamento si è dotato di una buona legge contro lo sfruttamento lavorativo e l’intermediazione illecita di manodopera.

La legge n. 199/2016 finalmente offre un efficace apparato sanzionatorio e validi ed innovativi strumenti processuali di contrasto del fenomeno criminale.

Ci muoviamo, però, sul piano della sola repressione dell’attività delittuosa. Molto poco è stato fatto, finora, sul piano della prevenzione.

 

3. Il Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato

Approvato lo scorso febbraio con uno stanziamento di 88 milioni di euro, il Piano triennale di contrasto a sfruttamento e caporalato in agricoltura è articolato in quattro assi strategici: a) prevenzione; b) vigilanza e contrasto; c) protezione e assistenza; d) reintegrazione socio-lavorativa dei lavoratori sfruttati. Per ognuno di questi assi si individuano le azioni prioritarie da intraprendere, per un totale di dieci.

Il Piano è il risultato dell’attività del Tavolo di lavoro appositamente predisposto nel dicembre 2018, presieduto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ha visto la collaborazione di istituzioni, associazioni di categoria, sindacati e Terzo settore, oltre al coinvolgimento dell’I.L.O. (International Labour Organization) nell’ambito di un programma di sostegno alle riforme strutturali (SRSP) finanziato dalla Commissione Europea.

Il Piano sviluppa una strategia nazionale di contrasto che si basa su un sistema di governance multilivello e partecipato che prevede il coinvolgimento delle amministrazioni a livello centrale, regionale e periferico; il punto di partenza è la mappatura dei territori e dei fabbisogni di manodopera agricola. Tale mappatura è funzionale all’individuazione di interventi, da un lato “emergenziali”, dall’altro “di sistema” o di lungo periodo, che si articolano sempre sui quattro assi principali.

Il dato confortante è che dalle dieci azioni previste dal Piano emerge con chiarezza l’attenzione sul fronte prevenzione del fenomeno criminale

Le azioni riguardano:

  1. rilancio ed espansione della “Rete del lavoro agricolo di qualità” (ad oggi poco partecipata dalle aziende del settore) e certificazione dei prodotti realizzati in condizioni di legalità del lavoro;
  2. sviluppo di un sistema informativo (con calendario colture, fabbisogno di manodopera, etc.) per pianificare, gestire e monitorare il mercato agricolo;
  3. interventi strutturali e investimenti in innovazione e valorizzazione dei prodotti agricoli;
  4. pianificazione dei flussi di manodopera e miglioramento dei servizi per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro agricolo (CODICE PENALEI.);
  5. campagna di comunicazione e sensibilizzazione sul tema;
  6. rafforzamento delle attività di vigilanza e contrasto (tramite espansione dei servizi ispettivi e un più efficace coordinamento tra gli organi di vigilanza);
  7. realizzazione di un sistema di servizi integrati per la protezione e la prima assistenza delle vittime di sfruttamento (assistenza sanitaria, assistenza durante  procedimenti giudiziari, etc.);
  8. realizzazione di un sistema nazionale per il reinserimento socio-lavorativo delle vittime di sfruttamento (presa in carico, erogazione di programmi di formazione professionale e linguistica, etc.);
  9. pianificazione di soluzioni alloggiative dignitose per i lavoratori agricoli;
  10. pianificazione di sistemi di trasporto per i lavoratori del settore.

Proprio trasporto e alloggio costituiscono, da sempre, servizi essenziali offerti dai caporali alle aziende agricole, ma non gli unici. A questi si aggiungono la mediazione linguistica, l’organizzazione dei braccianti in squadre, la mobilitazione (anche in contemporanea) di queste squadre nei periodi di raccolta. Tutto questo garantendo la disciplina della manodopera e assumendo, nei confronti degli imprenditori agricoli, la responsabilità della qualità del lavoro e di eventuali insubordinazioni. Nessun ufficio di collocamento, ad oggi, pare sia riuscito a fare di meglio[3]

Combattere lo sfruttamento lavorativo e il caporalato non significa solo punire i carnefici e tutelare le vittime di questi reati così odiosi, ma anche intervenire su chi ne beneficia, creando valide alternative ai canali illegali di approvvigionamento della manodopera agricola.

La speranza è che il Piano possa essere un primo e decisivo passo in questa direzione.

 

Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato.

Lettera appello Flai CGIL.

 

[1] Cfr. Andrea Merlo, Il contrasto al “caporalato grigio” tra prevenzione e repressione, in Diritto penale contemporaneo, fasc. 6/2019, p. 177.

[2] Alberto Di Martino, “˝Caporalato˝ e repressione penale. Una correlazione (troppo) scontata”, in Leggi, migranti e caporali. Prospettive critiche e di ricerca sullo sfruttamento del lavoro in agricoltura, a cura di Enrica Rigo, Pacini Giuridica, Pisa, 2015, p. 82.

[3] Cfr. Domenico Perrotta“Il caporalato come sistema: un contributo sociologico”, in Leggi, migranti e caporali…, a cura di E. Rigo, op. cit., pp. 22-23.