Carcere per un arbitrario ordine di esecuzione

Prospettive reali
Ph. Elena Franco / Prospettive reali

534 giorni in carcere e un indennizzo di 125.000 euro per un illegittimo ordine di esecuzione. L’ennesimo orrore giudiziario senza che gli artefici siano chiamati a risponderne civilmente, disciplinarmente e per danno erariale.

La vicenda narrata è stata esaminata dalla corte di cassazione con la sentenza n. 42152 del 3 novembre 2021 e svela, tra le righe, un macroscopico caso di malagiustizia passato sotto silenzio.

Il Signor T. D. il 19 dicembre del 2016 viene condotto in carcere in forza di un titolo esecutivo emesso il 17 dicembre 2002 per due condanne divenute irrevocabili il 4 febbraio e il 31 ottobre del 2002.

Sottolineo che sono trascorsi oltre 14 anni il passaggio in giudicato delle due sentenze di condanna.

Il titolo esecutivo è palesemente viziato ed eseguito in violazione dell’articolo 172 del codice penale che prevede l’estinzione della pena della reclusione essendo trascorso il termine di prescrizione di dieci anni che nel caso specifico risulta spirato in data 4 febbraio e 31 ottobre del 2012. Per una disamina dell'articolo 172 codice penale "Estinzione delle pene della reclusione e della multa per decorso del tempo":

In pratica le due sentenze indicate nel titolo esecutivo risalivano al lontano 2002 e la mancata esecuzione delle stesse nel termine di 10 anni aveva estinto la pena come previsto dall’art. 172 del codice penale.

Il Giudice di Tempio Pausania in tre occasioni aveva respinto l’incidente di esecuzione presentato sostenendo che la prescrizione prevista dall’articolo 172 c.p. non era decorsa posto che andava contestata la recidiva.

In pratica il Giudice nella fase esecutiva (sic) provvedeva a rilevare la recidiva che non era stata contestata nella fase di merito e non poteva perciò essere valutata dal giudice dell’esecuzione.

La giustizia rinnovava l’errore dell’errore e manteneva in carcere un uomo per 534 giorni, dal 19 dicembre 2016 al 7 giugno 2018, fino a quando un altro giudice: “rivalutando gli stessi elementi che ab origine aveva valutato il P.M. al momento della notifica dell’ordine di esecuzione ed il Gup di Tempio Pausania al momento dell’emissione delle decisioni del 23 dicembre 2016, del 5 gennaio 2017 e del 12 gennaio 2017, dichiarava la prescrizione di tutte le pene inflitte a T. D. al momento della notifica dell’ordine di esecuzione del 19 dicembre 2016 e ne ordinava l’immediata rimessione in libertà”.

La storia non finisce così, prosegue in maniera imbarazzante, ed arriva in cassazione. Il Ministero dell’Economia ha l’ardire di impugnare l’ordinanza della corte di appello di Sassari che il 7 ottobre del 2020 ha riconosciuto l’indennizzo per l’ingiusta detenzione subita da T. D.

Nel ricorso il Ministero dell’Economia sostiene che T.D. ha concorso a dare causa con un comportamento colposo alla sua carcerazione ponendo in essere “un’inerzia qualificata”.

Il paradosso giudiziario si è concluso con il rigetto del ricorso e la condanna del Ministero al pagamento delle spese processuali.

La cassazione ha rilevato, bontà sua, che: " la vicenda non ha avuto risposte adeguate dell'Autorità Giudiziaria competente, tanto che il Gup in data 12.01.2017 aveva erratamente ritenuto sussistente la causa ostativa della recidiva, poi rivelatasi insussistente in quanto mai contestata nel giudizio di merito"

 

Ingiuste detenzioni ed ordini di esecuzioni arbitrali

Va premesso che, con sentenza n. 310 del 25/07/1996, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 314 cod. proc. pen. "nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione". In tale pronunzia è stato affermato che "la diversità della situazione di chi abbia subito la detenzione a causa di una misura cautelare, che in prosieguo sia risultata ingiusta rispetto a quella di chi sia rimasto vittima di un ordine di esecuzione arbitrario non è tale da giustificare un trattamento cosi discriminatorio, al punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e meritevole di equa riparazione e la seconda venga invece dal legislatore completamente ignorata".

Le vicende della fase dell'esecuzione della pena, pertanto, rilevano ai fini della applicabilità dell'istituto disciplinato dall'art. 314 cod. proc. pen., sempre che da esse derivi una ingiustizia della detenzione patita, ingiustizia che, si innesta su un errore dell'autorità procedente (errore che, per definizione, non può mai rinvenirsi nell'esercizio di un potere di apprezzamento discrezionale e che quindi va ricercato nelle eventuali violazioni di legge: Sez. 4, n. 57203 del 21/09/2017, Paraschiva, Rv. 271689).

In tale pronunzia è stato sottolineato che il diritto alla riparazione è configurabile anche ove l'ingiusta detenzione derivi da vicende successive alla condanna connesse all'esecuzione della pena, purché sussista un errore dell'autorità procedente e non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell'interessato che sia stato concausa dell'errore relativo all'esecuzione della pena.

La sentenza n. 57203 del 21/09/2017 della cassazione sezione IV ha illustrato le plurime fattispecie di ordine di esecuzione illegittimo - o divenuto tale successivamente - per fattori non ascrivibili a comportamento doloso o colposo del condannato, nelle quali questa Corte, in applicazione dei predetti principi, ha riconosciuto il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione:

a) ordine di esecuzione legittimamente emesso ma relativo a pena che, a causa del lungo arco temporale intercorso tra l'emissione del titolo e la sua esecuzione, si era poi estinta ex art. 172 cod. pen. (senza che rilevasse l'assenza di un'espressa declaratoria di estinzione della pena) (Sez. 4, n. 45247 del 20/10/2015, Myteveli, Rv. 264895);

b) ordine di esecuzione relativo a pena già estinta per indulto, anche se non ancora applicato dal giudice di esecuzione (Sez. 4, n. 30492 del 12/06/2014, Riva, Rv. 262240);

c) periodo di detenzione eccedente a quello risultante dall'applicazione della liberazione anticipata, in conseguenza di un ordine di esecuzione non ancora aggiornato al nuovo fine pena (Sez. 4, n. 18542 del 14/01/2014, Truzzi, Rv. 259210);

d) tardiva esecuzione dell'ordine di scarcerazione disposta per liberazione anticipata per il periodo di detenzione ingiustamente sofferto (Sez. 4, n. 47993 del 30/09/2016, Pittau, Rv. 268617).

La sentenza n. 57203 del 21/09/2017 cit. ha chiarito l'ampia portata della sentenza n. 310 del 1996 della Corte Costituzionale, evidenziando il rilievo ai fini del riconoscimento del diritto previsto dall'art. 314 cod. proc. pen. a tutte le ipotesi di detenzione illegittimamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione e la distinzione tra pena definita da pronuncia irrevocabile e pena definitiva, dovendosi intendere per tale - alla luce dell'ampio spazio lasciato agli interventi del giudice dell'esecuzione e della magistratura di sorveglianza - "solo quella determinata all'esito della complessiva gestione giudiziale del trattamento sanzionatorio".

Essa, inoltre, ha effettuato un'ampia ricognizione della casistica delle pronunzie della Corte europea dei diritti dell'uomo in tema di detenzione ingiusta (soprattutto in tema di liberazione anticipata), tutte convergenti nel senso della più ampia tutela in caso di ingiusta detenzione per errore nella fase dell'esecuzione della pena.

Da ultimo la Corte a Sezioni Unite, con la pronuncia del 15.07.2021 PM c/ Scott Uhuwamango, rel. Rocchi, la cui motivazione è in corso di deposito ha riaffermato, tra l'altro, il principio che il decorso del tempo ai fini dell'estinzione della pena detentiva ai sensi dell'art. 172 quarto comma cod.pen. ha inizio il giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile e si interrompe con la carcerazione del condannato.