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Caso Palamara: il passaggio dal mito alla realtà

Prospettiva
Ph. Fabio Toto / Prospettiva

È opinione consolidata tra gli storici della scienza che Talete e gli altri pensatori della scuola di Mileto furono tra coloro cui si deve maggiormente la transizione umana dal mito alla scienza.

Grazie a loro e alle menti curiose e illuminate dei tanti che seguirono la stessa strada, i fulmini da strumento della furia di Zeus degradarono a semplice e spiegabile fenomeno atmosferico.

Qualcosa di simile, ma senza alcun segno della grandezza di quella tappa fondamentale del pensiero, sta avvenendo nel nostro Paese da un anno a questa parte.

L’esplosione del cosiddetto “caso Palamara” – denominazione ormai piuttosto riduttiva – impone un’altra transizione che, per quanto modesta si possa considerare nella prospettiva storica, ha una sua non trascurabile importanza negli attuali equilibri della società italiana.

Le captazioni del trojan installato nel cellulare del magistrato romano pongono fine a più di un mito: che la magistratura sia e debba essere l’unico spirito guida della comunità nazionale in virtù della sua superiorità etica su qualunque altro corpo sociale; che bene ha fatto il legislatore a delegarle porzioni crescenti della sua funzione regolatrice; che i comportamenti che contraddicono quella superiorità sono sempre e soltanto individuali sicché il frutto andato a male non può essere inteso come segno del malessere dell’albero che lo ha prodotto.

La fine di questi miti fa spazio ad una ben diversa realtà:

la magistratura è fatta da individui capaci di grandezza e meschinità come chiunque altro e nessuno di essi è estraneo all’intera gamma dei sentimenti umani;

le strutture rappresentative della magistratura hanno chiesto e ottenuto consenso puntando in modo crescente sulla logica dell’appartenenza e sacrificando progressivamente i valori ideali per la cui difesa erano nate;

se è certamente vero che la maggioranza dei componenti dell’ordine giudiziario continua a mantenere il giuramento di fedeltà alla Costituzione, è nondimeno innegabile che esiste e opera attivamente una minoranza che detiene le leve del governo effettivo di quell’ordine e se ne serve per fini di puro potere;

i magistrati – e ce ne sono non pochi – che non si adeguano a questa logica, sono destinati a rimanere in un eterno cono d’ombra e, non “appartenendo” a nessuno, sono meno garantiti, meno tutelati, meno protetti e valorizzati degli altri che invece seguono l’onda.

Questa è la realtà e non dovrebbe far piacere a nessuno.

Una parte di cittadinanza si sentirà più sola ora che il mito è finito perché avrà perso fiducia in un’istituzione che si svela debole dopo essere sembrata a lungo l’unica vera forza su cui gli onesti potevano contare.

Ma la verità è sempre preferibile al mito e si può sperare che il suo sopravvento favorisca una “normalità” istituzionale più equilibrata e avanzata.

Zeus non potrà più scagliare fulmini a suo piacimento. Piace pensare, purtroppo senza averne alcuna certezza, che seguirà il sereno.