Cassazione Tributaria: indennità suppletiva di clientela deducibile solo nell’esercizio di corresponsione all’agente

La Corte di Cassazione ha giudicato non condivisibile il proprio precedente orientamento in materia di deducibilità degli accantonamenti relativi all’indennità suppletiva di clientela, secondo cui: "il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 70, comma 3, che prevede che sono deducibili gli accantonamenti di fine rapporto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, letto d), si riferisce alle indennità percepite per la cessazione del rapporto di agenzia delle persone fisiche, tra le quali rientra indennità suppletiva di clientela".

La Sezione Tributaria, invece, ha precisato che l’articolo 70, comma terzo, del D.P.R. n. 917 del 1986, che estende agli accantonamenti relativi alle indennità di cui all’articolo 16, comma primo, lettere c), d) e f), le disposizioni riguardanti gli accantonamenti per l’indennità di fine rapporto, non è applicabile all’indennità suppletiva di clientela prevista dagli accordi economici collettivi disciplinanti i rapporti di agenzia.

Secondo la Cassazione, "poi che "l’indennità... suppletiva di clientela, che ha origine e disciplina esclusivamente collettiva, è... dovuta solo se "il contratto a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente", viene corrisposta dal proponente, è ragguagliata alle provvigioni relative agli affari conclusi ed è soggetta a particolari regole e limitazioni, previste dagli accordi economici collettivi succedutisi nel tempo, che non trovano corrispondenza nella disciplina legale della indennità di fine rapporto", "l’indennità in questione - in quanto connotata, per la disciplina collettiva che la regola, dall’incertezza dell’obbligo del proponente alla sua corresponsione - costituisce, in pendenza del rapporto di agenzia, un costo meramente eventuale sia nell’an che nel quantum e, come tale, (non accantonabile fiscalmente e, quindi) non deducibile dal reddito d’impresa, manifestando, invece, la qualità di componente negativo deducibile solo nell’esercizio in cui venga concretamente corrisposta". 

La Cassazione ha giudicato non ammissibile il diverso orientamento, favorevole alla deducibilità, formulato dall’Agenzia delle Entrate con Circolare 59/2004.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Tributaria, Sentenza 29 febbraio 2008, n.5456).

La Corte di Cassazione ha giudicato non condivisibile il proprio precedente orientamento in materia di deducibilità degli accantonamenti relativi all’indennità suppletiva di clientela, secondo cui: "il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 70, comma 3, che prevede che sono deducibili gli accantonamenti di fine rapporto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, letto d), si riferisce alle indennità percepite per la cessazione del rapporto di agenzia delle persone fisiche, tra le quali rientra indennità suppletiva di clientela".

La Sezione Tributaria, invece, ha precisato che l’articolo 70, comma terzo, del D.P.R. n. 917 del 1986, che estende agli accantonamenti relativi alle indennità di cui all’articolo 16, comma primo, lettere c), d) e f), le disposizioni riguardanti gli accantonamenti per l’indennità di fine rapporto, non è applicabile all’indennità suppletiva di clientela prevista dagli accordi economici collettivi disciplinanti i rapporti di agenzia.

Secondo la Cassazione, "poi che "l’indennità... suppletiva di clientela, che ha origine e disciplina esclusivamente collettiva, è... dovuta solo se "il contratto a tempo indeterminato si scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente", viene corrisposta dal proponente, è ragguagliata alle provvigioni relative agli affari conclusi ed è soggetta a particolari regole e limitazioni, previste dagli accordi economici collettivi succedutisi nel tempo, che non trovano corrispondenza nella disciplina legale della indennità di fine rapporto", "l’indennità in questione - in quanto connotata, per la disciplina collettiva che la regola, dall’incertezza dell’obbligo del proponente alla sua corresponsione - costituisce, in pendenza del rapporto di agenzia, un costo meramente eventuale sia nell’an che nel quantum e, come tale, (non accantonabile fiscalmente e, quindi) non deducibile dal reddito d’impresa, manifestando, invece, la qualità di componente negativo deducibile solo nell’esercizio in cui venga concretamente corrisposta". 

La Cassazione ha giudicato non ammissibile il diverso orientamento, favorevole alla deducibilità, formulato dall’Agenzia delle Entrate con Circolare 59/2004.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Tributaria, Sentenza 29 febbraio 2008, n.5456).