Codice dei crimini internazionali e responsabilità delle persone giuridiche

Codice dei crimini internazionali
Codice dei crimini internazionali

Codice dei crimini internazionali e responsabilità delle persone giuridiche

È stata resa nota pochi giorni fa la relazione finale della Commissione sul “Codice dei Crimini internazionali”, istituita dal Ministro della Giustizia il 23 marzo 2022.

La Commissione ha elaborato una proposta di codice dei crimini internazionali, per assicurare l’adempimento degli obblighi assunti dall’Italia con la ratifica dello Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale, entrato in vigore nel 2002. 

Secondo il c.d. principio di complementarità, la Corte non ha giurisdizione quando un crimine internazionale è (o è stato) oggetto di un procedimento penale davanti all’autorità giudiziaria dello Stato che può esercitare la giurisdizione rispetto a tale crimine, salvo che la mancanza di un procedimento penale nazionale dipenda dall’assenza di volontà o dalla effettiva incapacità dello Stato di investigare e di procedere penalmente.

Nella relazione si scrive che “in assenza di una legislazione con questo contenuto l’Italia sarebbe quindi esposta a un giudizio della Corte dichiarativo dell’assenza di volontà o di incapacità di perseguire crimini internazionali”.

Interessante la parte della relazione relativa all’introduzione della responsabilità amministrativa da crimine internazionale, da collocarsi nell’impianto del d.lg. n. 231/2001.
 

Codice dei crimini internazionali: l'esigenza di punire la c.d. business complicity

Certamente lo Statuto di Roma non contempla la responsabilità dell’ente collettivo ma si è voluto evitare “arretramenti di tutela rispetto allo standard predisposto dallo Statuto” anche con “scelte legislative improntate a maggior rigore rispetto allo standard statutario”, ove queste siano imposte o suggerite da stringenti vincoli di fonte costituzionale o da esigenze di coerenza interna al sistema normativo italiano.

Aggiungo che, nel 2006, un d.d.l. propose l’estensione alle persone giuridiche della responsabilità per i crimini rientranti nella giurisdizione della CPI.

La Commissione ha preso pertanto in considerazione il tema del ruolo degli attori economici nella commissione dei crimini internazionali (c.d. “business complicity” o “corporate complicity”).

Sul tema si può utilmente consultare, tra l’altro, il Principio 2 e relative note esplicative del Global Compact delle Nazioni Unite.

Si aggiunge che i crimini internazionali assumono rilevanza “per effetto della sussistenza di un elemento di contesto che ne segnala il carattere tendenzialmente sistematico e comunque non episodico”; d’altro canto, è necessario “preservare lo svolgimento di attività economiche lecite che presentano intrinseche dimensioni di rischio (tipicamente la produzione e commercializzazione di materiale di armamento, ma anche la fornitura di software o tecnologia a duplice uso)”.
 

Codice dei crimini internazionali: le scelte operate dalla Commissione

La Commissione ritiene di poter operare una selezione in ragione della rilevanza del contributo dell’ente, mediante l’impiego della formula utilizzata dall’art. 13 d.lg. n. 231/2001 in tema di sanzioni interdittive: “Quando il reato sia stato determinato da gravi carenze organizzative”.

Ciò sia per l’ipotesi in cui il reato sia espressione della politica aziendale (reato del soggetto apicale), sia nel caso in cui esso risulti da una colpa di organizzazione che abbia consentito la commissione del crimine da parte di un soggetto sottoposto alla direzione e vigilanza dell’apicale.

Vengono poi individuate le ipotesi di condotte aggravate che possono dare luogo a sanzioni pecuniarie più elevate: la Commissione rimarca che devono essere valutate “con attenzione nella dosimetria sanzionatoria, tenendo conto del fatto che al comma 1 sono state già introdotte le sanzioni pecuniarie di massima entità contemplate nella parte generale del decreto”.

È poi prevista l’ipotesi di applicazione delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma 2, senza esclusioni di sorta, al ricorrere delle consuete condizioni di cui al d.lg. n. 231/2001.

Sul punto, la Commissione non ha definito la durata, “tenendo conto delle scelte dissonanti compiute dal legislatore con riferimento all’art. 25 del d.lgs., che impongono una attenta riflessione di sistema”.

Il passaggio contiene un chiaro riferimento critico alla circostanza che la legge n. 3/2019 (c.d. “spazza-corrotti”) ha introdotto – in via esclusiva per alcuni delitti di corruzione – una particolare (ed inasprita) durata delle sanzioni interdittive, distinguendo, peraltro, tra reato del soggetto apicale e reato del sottoposto.

Viene poi prevista l’ipotesi della c.d. impresa illecita (sul modello degli artt. 24-ter e 25-quater del d.lg. n. 231/2001), caratterizzata dalla stabile destinazione dell’ente o di una sua unità organizzativa alla commissione dei crimini internazionali, cui consegue l’applicazione della sanzione dell’interdizione definitiva dell’esercizio dell’attività ai sensi dell’art. 16, comma 3 del suddetto decreto.

Infine, la Commissione ritiene di escludere la responsabilità dell’ente in presenza di provvedimenti dell’autorità che autorizzino l’attività espletata, suggerendo l’introduzione di una causa di non punibilità dell’ente formulata nei termini seguenti: “L’ente non risponde quando la condotta sia stata realizzata nel rispetto di provvedimenti dell’autorità”.

Si tratta certamente di disposizione distonica rispetto al sistema del d.lg. 231, ai sensi del quale le vicende che interessano la punibilità della persona fisica non interessano l’ente (art 8).