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Art. 240 - Documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali

1. I documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall’imputato.

2. Il pubblico ministero dispone l’immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti. Allo stesso modo provvede per i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. Di essi è vietato effettuare copia in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento ed il loro contenuto non può essere utilizzato.

3. Il pubblico ministero, acquisiti i documenti, i supporti e gli atti di cui al comma 2, entro quarantotto ore, chiede al giudice per le indagini preliminari di disporne la distruzione.

4. Il giudice per le indagini preliminari entro le successive quarantotto ore fissa l’udienza da tenersi entro dieci giorni, ai sensi dell’articolo 127, dando avviso a tutte le parti interessate, che potranno nominare un difensore di fiducia, almeno tre giorni prima della data dell’udienza.

5. Sentite le parti comparse, il giudice per le indagini preliminari legge il provvedimento in udienza e, nel caso ritenga sussistenti i presupposti di cui al comma 2, dispone la distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti di cui al medesimo comma 2 e vi dà esecuzione subito dopo alla presenza del pubblico ministero e dei difensori delle parti.

6. Delle operazioni di distruzione è redatto apposito verbale, nel quale si dà atto dell’avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione illecita dei documenti, dei supporti e degli atti di cui al comma 2 nonchè delle modalità e dei mezzi usati oltre che dei soggetti interessati, senza alcun riferimento al contenuto degli stessi documenti, supporti e atti.

Rassegna giurisprudenziale

Documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali (art. 240)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 240 comma 5 nella parte in cui non prevede, per la disciplina del contraddittorio, l’applicazione dell’art. 401 commi 1 e 2 (Corte costituzionale, sentenza 173/2009).

È costituzionalmente illegittimo l’art. 240 comma 6 nella parte in cui non esclude dal divieto di fare riferimento al contenuto dei documenti, supporti e atti, nella redazione del verbale previsto dalla stessa norma, le circostanze inerenti all’attività di formazione, acquisizione e raccolta degli stessi documenti, supporti e atti (Corte costituzionale, sentenza 173/2009).

Il documento anonimo non soltanto non costituisce elemento di prova, ma neppure integra notitia criminis, e pertanto del suo contenuto non può essere fatta alcuna utilizzazione in sede processuale (salvo quanto disposto dall’art. 240, con riferimento alla natura di corpo di reato eventualmente riconoscibile al documento anonimo ovvero alla provenienza del medesimo dall’imputato).

L’unico effetto degli elementi contenuti nella denuncia anonima, infatti, può essere quello di stimolare l’attività di iniziativa del PM e della PG al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall’anonimo possono ricavarsi gli estremi utili per l’individuazione di una notitia criminis.

Tali investigazioni, volte ad acquisire elementi di prova utilizzabili, si pongono, peraltro, fuori delle indagini preliminari, appunto in quanto sfornite di pregressa notitia criminis, sicché l’accusa non può procedere - sulla sola base di una denuncia anonima o confidenziale, non inseribile in atti ed inutilizzabile - a perquisizioni, sequestri, intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l’esistenza di indizi di reità (Sez. 1, 51400/2016).

Per documento contenente dichiarazioni anonime, ai sensi dell’art. 240, deve intendersi non quello che sia solo privo di sottoscrizione o di altro valido elemento di identificazione dell’autore, ma quello di cui sia ignota la provenienza. Non può essere, quindi, considerato documento anonimo quello sul quale siano stampati dati che siano stati tratti da un “computer” utilizzato da un soggetto identificato (Sez. 5, 44384/2015).

L’assoluta inutilizzabilità dei documenti anonimi, sancita dall’art. 240, si riferisce ai documenti rappresentativi di dichiarazioni, sicché la norma non trova applicazione in relazione a quelli fotografici.

I rilievi fotografici rappresentativi dello stato dei luoghi, nozione rientrante nella categoria delle “cose” contemplata dall’art. 234, comma 1, rientrano invece a pieno titolo nelle prove documentali che, avendo contenuto figurativo, non costituito cioè dalla scrittura, bensì dalle immagini, costituiscono di per sé piena prova che può esser sempre acquisita, e sulla quale il giudice può validamente fondare il proprio convincimento.

La loro provenienza, non richiedendo alcuna sottoscrizione a differenza dei documenti dichiarativi, è logicamente ascrivibile alla stessa parte che le produce (Sez. 3, 19139/2018).

L’assoluta inutilizzabilità dei documenti anonimi, sancita dall’art. 240, si riferisce ai documenti rappresentativi di dichiarazioni sicché la norma non trova applicazione in relazione ad un elenco di telefonate e ai supporti magnetici in cui sono state registrate le conversazioni telefoniche; dall’altro nessuna incertezza è configurabile sulla provenienza e sulla corrispondenza al vero di tale documentazione, posto che non è da ritenersi anonimo il documento, pur privo di sottoscrizione, di cui l’AG sia in grado di identificare l’autore, sulla base di logiche e pertinenti considerazioni (Sez. 5, 17044/2014).

L’art. 240 che originariamente si componeva del solo attuale primo comma con cui si stabilisce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni anonime fatte salve alcune eccezioni espressamente indicate, è stato dapprima modificato dall’art. 1 DL 259/2006 con l’aggiunta dei commi 2 e 3.

E dunque oltre ad estendere l’ambito di applicazione dell’art. 240 includendo nella disposizione oltre ai documenti anonimi anche quelli illegalmente formati attraverso l’attività illecita di intercettazione o di acquisizione comunque illegale di informazioni, il legislatore affidava all’AG il compito di procedere alla distruzione.

La soluzione adottata è stata oggetto di interventi emendatori operati dal Senato in sede di conversione, essendosi posta la necessità di chiarire chi tra giudice e PM avesse l’effettivo potere di disporre la distruzione.

Il nodo è stato sciolto in favore del GIP, ma con la precisazione che lo stesso debba procedere su istanza del solo PM. Non è prevista, infatti, alcuna facoltà per la parte diversa dal PM di rivolgersi al GIP per ottenere la distruzione del documento in mancanza dell’iniziativa del PM.

La disciplina è differente quindi rispetto a quella dettata per altre situazioni in cui pure si pone l’esigenza di evitare la compressione di diritti fondamentali dell’individuo quali la riservatezza (art. 269) o la proprietà (art. 263) in assenza di reali esigenze di carattere processuale.

Il compito di verificare ed accertare eventuali profili di illiceità nella formazione dell’atto di cui si chiede la distruzione non può che rientrare, infatti, nella competenza esclusiva del PM in quanto accessoria all’attività di raccolta delle prove da parte di quest’ultimo, ferma restando ovviamente la sanzionabilità in via autonoma di eventuali abusi.

Peraltro l’inutilizzabilità degli atti illegalmente formati a mente del comma 2 dell’art. 240 nella attuale formulazione non preclude che gli stessi possano valere come spunto di indagine, così come accade per gli scritti anonimi (Sez. 3, 29433/2013).