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Art. 640 - Truffa

1. Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032 (1).

2. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549 (2):

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell'Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; (3)

2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità;

2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5) (4).

3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall’art. 61, primo comma, numero 7 (5).

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

(2) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

(3) l'inciso "o dell'Unione europea" è stato aggiunto dall'art. 1, lettera e) del D. Lgs. 75/2020.

(4) Numero aggiunto dal comma 28 dell’art. 3, L. 94/2009.

(5) Comma aggiunto dall’art. 98, L. 689/1981 e di seguito modificato dal DLGS 36/2018.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

La truffa è un reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii in capo al soggetto passivo; istantaneo perché il suo perfezionamento non consente né una protrazione ininterrotta dell’attività criminosa dell’agente, con la costituzione di uno stato soggettivo od oggettivo antigiuridico duraturo, né la possibilità per l’agente di far cessare volontariamente tale stato in modo giuridicamente efficace; di danno, poiché l’evento consumativo risulta esplicitamente tipizzato in forma di conseguimento del profitto con il danno altrui, elementi questi dell’arricchimento e del depauperamento che sono collegati tra loro in modo da costituire concettualmente due aspetti di un’unica realtà (SU, 1/1999).

Il delitto di truffa è configurabile anche quando il soggetto passivo del raggiro è diverso dal soggetto passivo del danno ed in difetto di contatti diretti tra il truffatore e il truffato, sempre che sussista un nesso di causalità tra i raggiri o artifizi posti in essere per indurre in errore il terzo, il profitto tratto dal truffatore ed il danno patrimoniale patito dal truffato (Sez. 2, 2281/2016).

Nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie "postepay"), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente, che ottiene l'immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima (Sez. 1, 2567/2022).

…Artifici e raggiri

Ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l'idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione spesso determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri: in particolare, in tema di "truffa contrattuale", l'eventuale mancanza di diligenza o di prudenza da parte della persona offesa non esclude la idoneità del mezzo, in quanto determinata dalla fiducia che l'agente ha saputo conquistarsi presso la controparte contrattuale (Sez. 5, 18675/2021).

Gli artifizi e raggiri per configurare il delitto di truffa debbono cronologicamente precedere il conseguimento del profitto con danno della persona offesa (Sez. 2, 9197/2017).

Gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa possono consistere anche nel semplice silenzio maliziosamente serbato su circostanze fondamentali ai fini della conclusione di un contratto, da chi abbia l’obbligo, anche in forza di una norma extra penale, di farle conoscere in quanto il comportamento dell’agente in tal caso non può ritenersi meramente passivo, ma artificiosamente preordinato a perpetrare l’inganno e a non consentire alla persona offesa di autodeterminarsi liberamente (Sez. 2, 23079/2018).

Ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non elimina l’idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione, spesso determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri (Sez. 2, 42941/2014).

In tema di truffa, l’idoneità degli artifici e raggiri non è esclusa dal fatto che per svelarli sia necessario il successivo intervento di atti di controllo, atteso che l’idoneità postula che i comportamenti truffaldini siano astrattamente capaci, con valutazione “ex ente”, di causare l’evento (Sez. 2, 40624/2012).

…Induzione in errore

In tema di truffa, pur non esigendosi l’identità tra la persona indotta in errore e quella che subisce conseguenze patrimoniali negative per effetto dell’induzione in errore, va esclusa la configurabilità del reato nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che, sulla base di una prospettazione falsa, abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all’imputato: detto provvedimento non è, infatti, equiparabile ad un libero atto di gestione di interessi altrui, non costituendo espressione di libertà negoziale ma esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, finalizzato all’attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti, con la conseguenza che gli artifici e raggiri di cui sia vittima il giudice rilevano penalmente soltanto nei casi tassativamente descritti dall’art. 374 (Sez. 2, 11969/2021).

Nell’ottica del reato di cui all’art. 640, l’attività fraudolenta deve generare come risultato l’errore della vittima. L’errore, in questa prospettiva, è dunque una falsa rappresentazione di circostanze di fatto capaci di incidere sul processo di formazione della volontà, a cui il soggetto passivo è stato indotto dagli artifici e raggiri posti in essere dall’agente. Ciò che contraddistingue l’errore, nella truffa, è quindi la peculiarità di essere, ad un tempo, causa dell’atto di disposizione patrimoniale della vittima ed effetto degli artifici e raggiri (Sez. 2, 8471/2019).

…Ingiusto profitto

Nel reato di truffa il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico (Sez. 2, 18762/2013).

Circostanze aggravanti

La sussistenza dell’aggravante del danno di particolare rilevanza deve essere valutata con riferimento al danno complessivo, e non a quello prodotto da ciascun singolo episodio, nelle ipotesi in cui la condotta di truffa nei diversi episodi sia diretta nei confronti della stessa persona offesa, (Sez. 2, 2201/2014).

È configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 e 8 D.LGS. 74/2000) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma 2, n. 1), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta all’evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all'interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all'evasione fiscale (Sez. 3, 37597/2021).

Ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n. 1, anche gli enti a formale struttura privatistica devono qualificarsi come “pubblici”, in presenza dei seguenti requisiti, indicati dal legislatore all’art. 3 del DLGS 163/2006: a) la personalità giuridica; b) l’istituzione dell’ente per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; c) il finanziamento della attività in modo maggioritario da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, oppure la sottoposizione della gestione al controllo di questi ultimi o la designazione da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, di più della metà dei membri dell’organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza (Sez. 2, 29709/2017).

In tema di frode in danno di enti previdenziali per ricezione indebita di emolumenti periodici, è configurabile il reato di truffa c.d. a consumazione prolungata quando le erogazioni pubbliche, a versamento rateizzato, siano riconducibili ad un originario ed unico comportamento fraudolento, mentre si configurano plurimi ed autonomi fatti di reato quando, per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima, sia necessario il compimento di ulteriori attività fraudolente; ne consegue che, ai fini della prescrizione, nella prima ipotesi il relativo termine decorre dalla percezione dell’ultima rata di finanziamento, mentre nella seconda dalla consumazione dei singoli fatti illeciti (Fattispecie nella quale l’imputato, quale addetto all’area contabile del proprio ufficio con lo specifico compito della trasmissione mensile delle competenze stipendiali, con artifici e raggiri consistiti nell’indicazione di indennità maggiorate, a vario titolo non dovute, aveva indotto in errore i relativi enti previdenziali in ordine alla effettuazione dei servizi indicati, procurandosi un ingiusto profitto per diversi anni consecutivi. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha ritenuto che le indebite percezioni delle indennità dovessero ritenersi quali plurimi ed autonomi fatti di reato, con la conseguenza che la prescrizione andava calcolata facendo riferimento a ciascuna delle annualità indicate nell’imputazione e, pertanto, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente ai reati già estinti per prescrizione, con rinvio alla corte di appello competente per la rideterminazione della pena) (Sez.  2, 2576/2022).

Ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 640, comma secondo, n. 1, rientrano nella categoria di enti pubblici tutti gli enti strumentali al perseguimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, posti in situazione di stretta dipendenza nei confronti dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico in senso formale (in applicazione del principio, la S.C. ha riconosciuto la natura pubblicistica ad una SPA partecipata in via maggioritaria da enti pubblici ed istituita al fine di rendere più competitive imprese medio-piccole attraverso l’acquisizione di quote societarie di minoranza delle stesse) (Sez. 2, 17889/2015).

Il reato di truffa aggravata dall'essere stato ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario (art. 640 comma secondo n. 2) si configura allorché venga prospettata al soggetto passivo una situazione di pericolo che non sia riconducibile alla condotta dell'agente, ma che anzi da questa prescinda perché dipendente dalla volontà di un terzo o da accadimenti non controllabili dall'uomo; in tal caso la vittima viene infatti indotta ad agire per l'ipotetico pericolo di subire un danno il cui verificarsi, tuttavia, viene avvertito come dipendente da fattori esterni estranei all'agente, che si limita pertanto a condizionare la volontà dell'offeso, senza peraltro conculcarla, con una falsa rappresentazione della realtà; al contrario se il verificarsi del male minacciato, pur immaginario, viene prospettato come dipendente dalla volontà dell'agente, il soggetto passivo è comunque posto davanti all'alternativa di aderire all'ingiusta e pregiudizievole richiesta del primo o subire il danno: in tali ipotesi pertanto si configura il delitto di estorsione, ed a nulla rileva che la minaccia, se credibile, non sia concretamente attuabile (Nel caso di specie, la Suprema corte ha chiarito come il mancato accertamento della effettiva disponibilità dell'autovettura da parte dell'autore delle minacce, finalizzate a lucrare attraverso la prospettazione della sua restituzione alla persona offesa, non assumesse alcuna rilevanza agli effetti della qualificazione del fatto, correttamente sussunto nel reato di estorsione) (Sez. 6, 13720/2020).

Sussiste l’aggravante della minorata difesa, nell’ipotesi di truffa commessa attraverso la vendita di prodotti online, poiché, in tal caso, la distanza tra il luogo ove si trova la vittima e quello in cui, invece, si trova l’agente determina una posizione di maggior favore di quest’ultimo, che può facilmente schermare la sua identità, fuggire e non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente; tuttavia l’aggravante non sussiste nell’ipotesi in cui il primo contatto tra venditore e acquirente sia avvenuto su una piattaforma web per poi svilupparsi mediante messaggi telefonici e incontri di persona per la visione e cessione del bene atteso che, a differenza delle trattative svolte interamente online, in tal caso non ricorre la costante distanza tra venditore e acquirente idonea a porre quest’ultimo in una situazione di debolezza quanto alla verifica della qualità del prodotto e dell’identità del venditore (Fattispecie nella quale la corte di appello confermava la responsabilità dell’imputato in relazione ad una serie di truffe consumate attraverso l’offerta in vendita di beni online, non ritenendo sussistente l’aggravante della minorata difesa in considerazione della natura della contrattazione telematica “non circostanziale” ma “costitutiva” del reato di truffa. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha annullato la sentenza impugnata con rinvio alla corte di appello competente per nuovo giudizio in ordine alla sussistenza dell’aggravante) (Sez. 2, 2902/2022).

Querela della persona offesa

Il diritto di querela per il delitto di truffa spetta anche al gestore dell’esercizio commerciale che, indipendentemente dalla formale investitura dei poteri di rappresentanza legale da parte dell’impresa fornitrice i beni oggetto del reato, li abbia commercializzati in nome e per conto della stessa, assumendosi in prima persona la responsabilità di qualsivoglia operazione inerente alla vendita del prodotto medesimo (Sez. 2, 8879/2019).

Il diritto di querela per il delitto di truffa, ove la condotta tipica cagioni danno anche a terzi seppure nella forma della mancata acquisizione di un profitto, spetta anche a costoro (Sez. 2, 20169/2015).

Persona offesa del delitto di truffa il cui profitto è costituto dalle disponibilità di un conto corrente bancario è esclusivamente il correntista, in quanto lo stesso, pur se creditore e non titolare delle somme, è il portatore sostanziale della situazione finanziaria verso cui si indirizza la condotta illecita, mentre la banca può assumere solo la posizione di soggetto danneggiato, quando il pregiudizio economico derivante dal reato ricade nella sua sfera patrimoniale, e non in quella del correntista, quale conseguenza della negligente esecuzione del mandato da questi conferitole in relazione al conto. Sicché ne deriva affermare che anche in caso di richiesta di attivazione di un conto corrente a nome di altri soggetti ignari e non consapevoli della azione colui il quale viene usurpata l’identità è legittimato a sporgere querela (Sez. 7, 7784/2019).

In tema di truffa contrattuale, il pagamento di merci effettuato mediante assegni di conto corrente privi di copertura (non costituente, di norma, raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto passivo) concorre ad integrare l’elemento materiale del reato, qualora sia accompagnato da un malizioso comportamento dell’agente nonché da fatti e circostanze idonei a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sul regolare pagamento dei titoli, sicché il raggiro può essere integrato da una serie preordinata di acquisti successivi, dapprima per modesti importi regolarmente onorati, in modo da ingenerare nel venditore l’erroneo convincimento di trovarsi di fronte a un contraente solvibile e degno di credito, e poi per importi maggiori che non vengono invece pagati, purché l’inadempimento degli obblighi contrattuali sia l’effetto di un precostituito proposito fraudolento desumibile in base alle caratteristiche del fatto, come ad esempio la notevole differenza di importo tra i crediti onorati e quelli insoluti. In tal caso, però, è proprio la consegna della merce ad integrare il momento consumativo del reato (previa ricezione degli assegni post datati che costituisce, grazie alle condotte maliziose che l’hanno preceduta, raggiro idoneo per la consumazione del reato di truffa) e non la scadenza degli assegni medesimi che, invece, determina il momento in cui la persona offesa viene ad avere consapevolezza del raggiro subito e, conseguentemente, il momento dal quale decorre il termine per proporre querela (Sez. 2, 11964/2020).

Casistica

Nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile, il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente, che ottiene l'immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima (La Corte precisa che il principio affermato in giurisprudenza fa riferimento alla modalità di pagamento della ricarica della carta "PostePay" ma che, atteso che gli effetti del pagamento sul conto PayPal sono i medesimi, deve trovare applicazione anche nel caso in esame) (Sez. 1, 18680/2022).

Integra il reato di truffa e non quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato la condotta del farmacista che, presentando alla ASL ricette sulle quali sia stata applicata la c.d. fustella, attestante la consegna di farmaci in realtà mai consegnati agli assistiti, ottenga il relativo rimborso, in quanto l’apposizione della fustella integra l’artificio o il raggiro che induce la ASL in errore sull’effettività della prestazione erogata. E trattandosi di truffa aggravata ai danni della pubblica amministrazione deve escludersi che la condotta di “defustellazione”, costituita dalla sottrazione della fustella al farmaco, possa essere fatta rientrare nel novero del peculato, trattandosi di artificio diretto a trarre in inganno la pubblica amministrazione che corrisponde il prezzo del farmaco e non di condotta di appropriazione di bene pubblico (Sez. 2, 34913/2021).

In tema di truffa è configurabile il delitto tentato, e non consumato, nel caso di consegna del denaro o del bene sotto il diretto controllo della polizia giudiziaria allertata dalla persona offesa (c.d. ―consegna controllata), in quanto l’atto di disposizione patrimoniale non avviene per l’induzione in errore in cui sia incorsa la vittima, né si è realizzato il profitto tramite l’acquisizione della disponibilità autonoma e definitiva della cosa; diversamente, in caso di estorsione, il reato si consuma non appena l’estorsore riceve il bene dal soggetto passivo e ciò perché l’ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento del reato rispetto alla costrizione derivante dalla violenza o minaccia (Sez. 2, 8859/2021).

In tema di truffa è configurabile il reato tentato e non consumato nel caso di consegna del denaro o del bene sotto il diretto controllo della polizia giudiziaria allertata dalla persona offesa (c.d. “consegna controllata”), in quanto l’atto di disposizione patrimoniale non avviene per l’induzione in errore in cui sia incorsa la vittima, né si è realizzato il profitto tramite l’acquisizione della disponibilità autonoma e definitiva della cosa (Nella fattispecie la Corte, in applicazione del principio enunciato, ha annullato la sentenza impugnata, previa riqualificazione dei fatti come tentativo di truffa, con rinvio ad altra sezione della corte di appello competente per la rideterminazione della pena) (Sez. 2, 37934/2020).

Nel caso del procedimento amministrativo diretto all’emissione di ordinanza ingiunzione per l’emissione di assegni senza provvista o senza autorizzazione non è configurabile il reato di truffa nella condotta del privato che produca false attestazioni di pagamento dei titoli, poiché gli artifizi o raggiri posti in essere dallo stesso nel corso del procedimento sono destinati ad incidere sulla determinazione dell’organo che esercita un potere di natura pubblicistica, mancando l’elemento costitutivo del reato, ossia l’atto di disposizione patrimoniale di natura privatistica (fattispecie nella quale la Corte, in applicazione del principio enunciato, ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste, in relazione alla condotta di tentata truffa contestata all’imputato che avrebbe cercato di indurre in inganno la Prefettura, che aveva irrogato nei suoi confronti una sanzione pecuniaria per l'emissione di assegni senza autorizzazione ovvero senza provvista, inviando alla stessa false dichiarazioni autocertificate a firma dei prenditori degli assegni i quali dichiaravano di avere ricevuto gli importi) (Sez. 2, 32444/2020).

La sottrazione di energia elettrica attuata mediante la manomissione del contatore che alteri il sistema di misurazione dei consumi integra il reato di furto e non quello di truffa; detta misurazione, infatti, ha la funzione di individuare l’entità dell’energia trasferita all’utente e quindi di specificare il consenso dell’ente erogatore in termini corrispondenti, sicché la condotta dell’agente prescinde dall’induzione in errore del somministrante ed è immediatamente diretta all’impossessamento della cosa per superare la contraria volontà del proprietario (SU, 10495/1996 e, più di recente, Sez. 4, 3339/2017).

Con specifico riguardo alla identificazione del danno nella truffa contrattuale, la sussistenza dell’ingiusto profitto e del correlativo danno non sono esclusi dal fatto che il raggirato abbia corrisposto il prezzo del servizio fornito quando risulti che esso sia stato acquistato per effetto di raggiri (Sez. 2, 14801/2003).

Ricorre il delitto di truffa contrattuale quando uno dei contraenti tace o dissimula circostanze che, ove conosciute, avrebbero indotto l’altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto (Sez. 2, 28791/2015).

In tema di truffa contrattuale commessa mediante la compravendita di merci, non costituisce artificio o raggiro, ma mero inadempimento civilistico, la condotta dell’acquirente che, nel contesto di un rapporto commerciale con il fornitore protrattosi per un apprezzabile lasso di tempo e caratterizzato da ordinativi non pagati o pagati con titoli protestati, si presenti nuovamente dal medesimo chiedendo e ottenendo di pagare l’arretrato in contanti e di acquistare altra merce a debito, senza peraltro saldare, alla scadenza, l’ulteriore importo dovuto, atteso che il comportamento di detto acquirente difetta di qualsivoglia carica decettiva, a fronte dalla piena consapevolezza, da parte del fornitore, di operare con un cliente mostratosi ripetutamente insolvente (Sez. 2, 32056/2017).

La sottoscrizione di un foglio di presenza da parte di un dipendente assente è comportamento idoneo a trarre in inganno l’Amministrazione interessata a tale accertamento (Sez. 2, 16087/2019).

La falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi ultimi siano economicamente apprezzabili, osservando che anche una indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica (Sez. 2, 7005/2019).

Il comportamento caratterizzato dalla consegna in pagamento di un assegno del quale si è garantita la copertura, l’inserimento nell’importo delle somme anche dovute a diverso titolo e il mancato pagamento anche in ritardo, integra sia gli artifici e raggiri che l’elemento psicologico del reato di truffa (Sez. 7, 15462/2019).

Ove al dato della consegna di assegni post-datati quali mezzi di pagamento, si accompagnino ulteriori condotte che mirano a conseguire l’effetto decettivo della vittima sussistono gli estremi della fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 640 (Sez. 2, 33441/2015).

Il semplice pagamento di merci effettuato mediante assegni di conto corrente privi di copertura concorre a realizzare la materialità del delitto di truffa quando sia accompagnato da un “quid pluris”, da un malizioso comportamento dell’agente, ovvero da fatti e circostanze idonei a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sull’apparente onestà delle intenzioni del soggetto attivo e sul pagamento degli assegni (Sez. 2, 46890/2011).

Nei contratti ad esecuzione differita conclusi a distanza fra le parti è configurabile il reato di truffa nel caso in cui gli artifici e raggiri siano posti in essere al momento della conclusione del contratto, al fine di far apparire suscettibile di immediata esecuzione un’obbligazione, quale la consegna del bene venduto subito dopo il pagamento del prezzo, che il contraente in realtà non è in grado di adempiere nei tempi promessi o che non ha affatto intenzione di adempiere (Sez. 7, 15407/2019).

La  truffa è un reato a consumazione prolungata allorché sia strumentale alla ricezione di indebite prestazioni di emolumenti e previdenze maturate periodicamente in danno di enti previdenziali; questa particolare forma di truffa, per quanto caratterizzata dalla volontà dell’agente di realizzare, sin dall’inizio, un evento destinato a protrarsi nel tempo, non acquista le caratteristiche del reato permanente perché l’elemento costituivo che ne determina il perfezionamento ovvero la «deminutio patrimonii» del soggetto passivo, si realizza sempre nel momento in cui la prima elargizione da parte dell’ente erogante entra nella sfera giuridica di disponibilità dell’agente che, in tal modo, consegue il profitto (Sez. 1, 39193/2017); l’unica differenza è che il danno patrimoniale si rinnova ed aumenta periodicamente così da perdurare fino a quando non vengano interrotte le riscossioni (momento in cui, cessando la situazione di illegittimità, inizia a decorrere il termine iniziale di maturazione della prescrizione: Sez. 2, 57287/2017) (riassunzione dovuta a Sez. 1, 8039/2017).

La denuncia di un sinistro stradale, mai avvenuto, allo scopo di frodare l’assicurazione costituisce atto iniziale del tentativo di truffa ai danni della compagnia assicuratrice, nei cui confronti il denunciante fa apparire come reale la situazione da cui scaturisce l’obbligo dell’indennizzo (Sez. 2, 8786/2019).

Nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie “postepay”), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente, che ottiene l’immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima (Sez. 2, 14730/2017).

Rapporto con altre fattispecie

Sussiste il delitto di truffa e non quello di appropriazione indebita quando l’artificio e il raggiro risultino necessari alla appropriazione mentre ricorre l’appropriazione indebita quando gli artifizi e raggiri sono posti in essere dall’agente dopo l’appropriazione del denaro a soli fini dissimulatori. L’elemento differenziale tra i due reati riposa, quindi, su un accertamento di fatto che attrae la condotta nell’ambito dell’art. 640 quando la consegna della cosa è stata ottenuta mediante l’inganno mentre se il possesso della cosa da parte dell’agente è frutto di una volontà non viziata della persona offesa si verte nell’ipotesi di cui all’art. 646 (Fattispecie nella quale l’imputato era stato chiamato a rispondere dei reati di truffa e di appropriazione indebita, nonostante la sua condotta fraudolenta non avesse preceduto la consegna del denaro ma fosse stata posta in essere successivamente, allo scopo di dissimulare la conversione fattane in proprio profitto. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di truffa, eliminando la relativa pena) (Sez. 2, 39274/2021).

La truffa concorre con i delitti di falso destinati a integrarne l’estremo degli artifici e raggiri, perché il falso è solo uno dei possibili strumenti di frode (SU, 16568/2007).

L’indebita utilizzazione, a fine di profitto proprio o altrui, da parte di chi non ne sia titolare, di carte di credito o analoghi strumenti di prelievo o pagamento, di cui all’art. 12, comma 1, DL 143/1991, convertito con L. 197/1991, assorbe, per il principio di specialità per specificazione, il delitto di truffa (Sez. 2, 40044/2015).

La  contestazione del delitto di truffa, avente ad oggetto l’erogazione di finanziamenti bancari indotti mediante falsificazione dei bilanci e di altra documentazione relativa alla situazione economico-patrimoniale di una società non impedisce, in ragione del divieto di “bis in idem”, di giudicare l’imputato per il delitto di bancarotta per distrazione, contestato nel medesimo procedimento, in relazione alle somme successivamente sottratte, in presenza di una condotta complessivamente dolosa che avvince in sé anche il fallimento delle società finanziate, trattandosi di fatti illeciti naturalisticamente differenziati (Sez. 5, 13399/2019).

La fattispecie di cui all’art. 642 costituisce un’ipotesi criminosa speciale rispetto al reato di truffa (nella prima, infatti, sono presenti tutti gli elementi della condotta caratterizzanti il secondo e, in più, come elemento specializzante, il fine di tutela del patrimonio dell’assicuratore (Sez. 2, 8786/2019).

Il concorso apparente di norme tra l’art. 455 e l’art. 640 è stato escluso dalla giurisprudenza delle Sezioni unite con una risalente pronuncia, facendo leva principalmente sulla diversità dei beni giuridici tutelati (SU, 6713/1981). La conclusione va confermata anche alla luce della giurisprudenza più recente che individua nel principio di specialità ex art. 15 l’unico criterio idoneo a dirimere i casi di concorso apparente di norme (da ultimo SU, 41588/2017). Detto principio consente alla legge speciale di derogare a quella generale, nel caso in cui le diverse disposizioni penali regolino la “stessa materia”.

Deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma generale (SU, 1235/2011). Il criterio di specialità deve intendersi e applicarsi in senso logico-formale.

Il presupposto della convergenza di norme risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato.

Nel caso in esame la comparazione astratta tra fattispecie evidenzia come quella di cui all’art. 640 presenti segmenti ulteriori rispetto a quella prevista dall’art. 455, poiché la prima si esaurisce nella mera spendita delle monete falsificate (integrante in tesi “artifizi e raggiri”) ma richiede gli ulteriori elementi costitutivi dell’induzione in errore e dell’atto di disposizione patrimoniale.

In ogni caso l’operatività del principio di specialità presuppone l’unità naturalistica del fatto e, pertanto, anche ove il principio di specialità operasse, resterebbe pur sempre impregiudicata l’ipotesi del concorso tra reati qualora l’agente ponga in essere una pluralità di condotte nell’ambito di una progressione criminosa (Sez. 5, 7558/2019).

Il criterio distintivo fra il delitto previsto dall’art. 629 e il delitto di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, capoverso n. 2, va ricercato nella diversità del modo con cui viene determinato nel soggetto passivo il timore del danno. Nel caso dell’estorsione, il colpevole incute il timore di un danno che fa apparire certo e proveniente da lui o da altra persona in rapporto con lui, sicché la persona offesa, posta nell’alternativa di ottemperare a quanto richiestole ovvero di subire un danno patrimoniale, venga coartata nella sua volontà.

Nel caso della truffa aggravata, invece, il colpevole suscita nella vittima l’immaginario pericolo di un danno futuro da lui però non derivante né direttamente, né indirettamente, sicché esso si determina alla condotta unicamente per effetto dell’errore in cui è caduta e non perché coartata (Sez. 2, 46084/2015).

Il reato di cui all’art. 494 può concorrere formalmente con quello di truffa, stante la diversità dei beni giuridici protetti, consistenti rispettivamente nella fede pubblica e nella tutela del patrimonio (Sez. 7, 9883/2019).

Determinazione della competenza per territorio

Richiamata la natura istantanea e di danno del reato di truffa, il cui perfezionarsi è segnato dal momento e nel luogo in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la deminutio patrimoni del soggetto passivo, nella particolare ipotesi di truffa contrattuale, realizzata attraverso la vendita di beni ed il conseguente pagamento on line, il reato si consuma nel luogo ove l'agente consegue l'ingiusto profitto e non già in quello in cui viene data la disposizione per il pagamento da parte della persona offesa (Poiché la questione di diritto sollevata dinanzi alla Corte aveva ad oggetto un conflitto negativo di competenza per territorio, i giudici di legittimità, richiamati due precedenti arresti giurisprudenziali, anche nel caso di specie hanno ribadito il principio secondo il quale “In tema di truffa, se il profitto è conseguito mediante un bonifico bancario, il reato si consuma con l'accreditamento della somma di denaro sul conto corrente del destinatario, ne consegue che, ai fini della determinazione della competenza per territorio, occorre fare riferimento all'istituto bancario del luogo in cui il destinatario del bonifico ha aperto il conto corrente”) (Sez. 1, 39738/2021).