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Art. 574 - Sottrazione di persone incapaci

Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la responsabilità genitoriale, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la responsabilità genitoriale, del tutore o del curatore, con la reclusione da uno a tre anni (1).

Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio.

Si applicano le disposizioni degli articoli 525 e 544 (2) (3).

(1) Comma così modificato dall’art. 93, comma 1, lettera q), DLGS 154/2013.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 9/1964, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 574, in riferimento all’art. 29, secondo comma, Cost., in quanto limita il diritto di querela al genitore esercente la patria potestà.

(3) I citati articoli 525 e 544 sono stati abrogati, rispettivamente, dall’art. 1, L. 66/1996 e dall’art. 1, L. 442/1981.

Rassegna di giurisprudenza

Per integrare la fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 574 è necessario che, per effetto della sottrazione, l’esercizio della potestà genitoriale venga reso  temporaneamente o definitivamente  impossibile, ovvero talmente difficoltoso, da risultare praticamente tale. Occorre cioè che l’agente, con la propria condotta, interrompa il rapporto che deve intercorrere tra minore e genitore  rapporto che è condizione indispensabile affinché egli possa esercitare la sua potestà nei confronti di quello  e che il minore venga allontanato dalla sfera di accessibilità del genitore, in modo che risulti frapposto un impedimento all’efficace esercizio della sua potestà. Il determinarsi di tale situazione dà luogo di per sé all’evento tipico del reato, nel cui disvalore non ricade propriamente la realizzazione di un concreto nocumento arrecato alla persona del minore.

L’oggettività giuridica del reato, infatti, è da ritenere oggi calibrata su una nozione funzionale della potestà genitoriale, vista quale ufficio di diritto privato, quale mezzo, cioè, attraverso il quale il titolare è messo nelle condizioni di adempiere al meglio i propri obblighi di assistenza nei confronti del figlio.

La tutela della potestà parentale deve dunque declinarsi non in senso statico, per il prestigio che si pretende riconnesso alla figura/istituzione genitoriale o tutoria, ma in senso dinamico, ossia in quanto funzionale alla realizzazione di interessi del minore e, in subordine, all’adempimento degli obblighi che gravano sullo stesso genitore o tutore. Il contenuto dell’illecito, in definitiva, ruota, oltre che su una compromissione degli affetti familiari, sulla capacità della condotta di pregiudicare in misura rilevante, come avvenuto nel caso in esame, la funzionalità propria della potestà dall’ordinamento riconosciuta al genitore, rimanendo l’offesa circoscritta in una dimensione solo simbolica quando la sottrazione sia durata pochi istanti, ovvero per un tempo talmente limitato che nessuno degli interessi coinvolti possa considerarsi seriamente compromesso.

Fondamentale rilievo assumono, ai fini della corretta individuazione della dimensione offensiva della fattispecie in una prospettiva ermeneutica costituzionalmente orientata, le norme civilistiche di cui agli artt. 143, 147, 155 e ss. (queste ultime poi confluite, con modifiche, nelle nuove disposizioni di cui agli artt. 337-bis - 337-octies, CC, a seguito della riforma della disciplina della filiazione introdotta dal DLGS 154/2013, entrato in vigore dal 7 febbraio 2014) e 316 CC, che individuano l’insieme degli obblighi attinenti alla potestà dei genitori, facendo riferimento al diritto-dovere di cura, di istruzione, educazione ed assistenza morale, nonché di intervento sulle scelte riguardanti il minore, con riferimento alla sua educazione, alla salute, alla cura e allo sviluppo della sua personalità.

Esse delineano, infatti, un quadro di posizioni soggettive connotate dal fondamentale dovere di solidarietà che deve ispirare i rapporti tra persone legate dal vincolo coniugale, collegandone l’ambito e le modalità di esplicazione all’esercizio della potestà genitoriale, in quanto strettamente correlate all’incapacità giuridica del soggetto beneficiario del rapporto educativo (Sez. 6, 51488/2013). In tal senso, la fondamentale disposizione contenuta nell’art. 30, comma primo, Cost., secondo cui “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”, assolve la funzione di garantire la situazione familiare elementare del rapporto di filiazione, quale ne sia il titolo, richiamando i genitori alle loro responsabilità nei confronti dei figli senza distinguere in base al vincolo coniugale eventualmente insorto fra loro.

Il ruolo educativo affidato ai genitori, pertanto, consiste nell’assicurare al figlio uno sviluppo ed una maturazione integrale della personalità, conformemente ai precetti fissati negli artt. 2 e 3 Cost., e deve essere inteso in una prospettiva “funzionalista”, che l’art. 30, primo e secondo comma, Cost., costruisce non come frutto dell’esercizio di una loro libertà personale, ma come un diritto-dovere che trova proprio nell’interesse del figlio la sua funzione ed il suo limite (Corte costituzionale, sentenza 132/1992). A tale quadro costituzionale si conforma l’attuale disciplina dell’istituto della potestà genitoriale, in quanto strettamente finalizzato alla protezione dell’interesse del minore ed alla formazione della sua personalità, e da considerare, dunque, sempre meno come “diritto”, e sempre più come “dovere” posto a presidio di diritti fondamentali della persona.

Anche in caso di separazione personale dei genitori, del resto, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale (ex art. 155, comma primo, CC, come sostituito, prima, dall’art. 1 L. 54/1986, e, poi, dal citato DLGS 154/2013, che ha fatto confluire la disposizione, con qualche modifica, nei nuovi artt. 337- bis e 337-ter, CC) (Sez. 6, 33452/2014).

La fattispecie prevista dall’art. 574-bis si distingue da quella meno grave di cui all’art. 574 per la presenza di un elemento specializzante, costituito dalla modalità della condotta di sottrazione e trattenimento del minore, in quanto prevede che il minore sia condotto o trattenuto all’estero così da impedire al genitore legittimato, l’esercizio della responsabilità genitoriale. Il concetto di estero va inteso in senso letterale, in quanto la norma sanziona le condotte di trasferimento o trattenimento del minore al di fuori del territorio nazionale (Sez. 6, 27766/2018).

È colpevole del reato di sottrazione internazionale di minore il genitore che si trasferisce all’estero impedendo all’altro genitore l’esercizio del diritto di visita. Infatti, è irrilevante che il genitore straniero, ritornato in patria col minore (nella specie, in Germania), abbia ottenuto l’affido esclusivo in un secondo momento. Peraltro, in tali ipotesi, non si applica l’attenuante della speciale tenuità del fatto, atteso che si tratta di reato protratto nel tempo (Sez. 6, 17679/2016).

Tra l’imputazione di sottrazione di persone incapaci e quella di ritenzione di persone incapaci non vi è immutazione della contestazione, giacché il reato di cui all’art. 574 può in concreto articolarsi attraverso due forme alternative e, perciò, equivalenti) (Sez. 6, 17799/2014).

Se il fatto di avere sottratto un minore alla persona esercente la potestà genitoriale integra il delitto di cui all’art. 574, ciò non esclude affatto che ricorra anche il delitto di sequestro di persona, poiché le due norme non sono tra loro alternative, né l’una assorbe l’altra e possono quindi concorrere, perché le due fattispecie, sotto il profilo strutturale, sono diverse, con riferimento alla condotta ed all’oggetto materiale: nell’una, quella evocata, la sottrazione del minore o dell’infermo di mente al genitore, al tutore, al curatore o a chi ne abbia la vigilanza o a custodia; nell’altra, quella contestata e ritenuta, la privazione della libertà personale della vittima (Sez. 5, 19224/2015).

Entrambi i coniugi sono contitolari dei poteri-doveri disciplinati dall’art. 316 CC, ma affinché la condotta di uno di essi possa integrare l’ipotesi criminosa prevista dall’art. 574 è necessario che il comportamento dell’agente porti ad una globale sottrazione del minore alla vigilanza dell’altro genitore, sì da impedirgli l’esercizio della funzione educativa ed i poteri inerenti all’affidamento, rendendogli impossibile l’ufficio che gli è stato conferito dall’ordinamento nell’interesse del minore stesso e della società (Sez. 6, 22911/2013).

Risponde del delitto di sottrazione di persona incapace il genitore che, senza il consenso dell’altro, porta via con sè il figlio minore, allontanandolo dal domicilio stabilito, ovvero lo trattiene presso di sé, quando tale condotta determina un impedimento per l’esercizio delle diverse manifestazioni della potestà dell’altro genitore, come le attività di assistenza e di cura, la vicinanza affettiva, la funzione educativa, identificandosi nel regolare svolgimento della funzione genitoriale il principale bene giuridico tutelato dalla norma (Sez. 6, 21441/2008).