Cosa è veramente RaTG13?
Leggi la prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta.
Le continue reticenze, omissioni e mezze bugie di Zengli SHI (the “Batwoman”) e la catena di aiuto della rete Internet.
Errori e reticenze al WIV di Wuhan
Stiamo arrivando alla conclusione di un quadro, una panoramica che ho affrontato inizialmente a ritroso, per cercare di spiegare quali siano gli elementi scientifici oggi in gioco e per capire quale delle due teorie, quella cioè della zoonosi-naturale (NZ) ovvero quella del laboratory-leak (LL), sia la più probabile.
Tornerò nelle mie considerazioni finali su calcoli che ci permettano di valutare la veridicità delle due teorie. Simili valutazioni probabilistiche erano state effettuate in Biologia Molecolare anche precedentemente. Vale la pena però fare qualche osservazione sugli inizi di questo viaggio esplorativo ancora in corso.
Tutti sappiamo e ricordiamo come la pandemia sia iniziata a dicembre 2019 nella megalopoli di Wuhan nello stato di Hubei, CN. Ma sappiamo anche che -come è rapidamente e drammaticamente successo poi in Italia a partire da Febbraio 2020- se un paziente veniva identificato nel paese di Codogno in Lombardia ovvero in quello di Vo’ nel Veneto, quella diagnosi non era isolata, aveva un significato ben preciso.
Qualunque paziente può essere tracciato – in molti casi lo si è fatto – ed associato ad un precedente caso.
Una serie di connessioni e ramificazioni che portano a ritroso ad un solo punto dell’emisfero terrestre: Wuhan in Cina. E abbiamo anche visto che il virus si è dimostrato sin dall’inizio geneticamente stabile e capace di infettare rapidamente Homo sapiens.
Il virus SARS2 appare cioè identico ed immutato, a parte le limitate mutazioni che si riscontrano nelle varianti, i cui valori sono in termini percentuali praticamente inesistenti. Si parla in altre parole di differenze dello 0,1% (ad esempio le 32 mutazioni di omicron su di un genoma virale di circa 30.000 basi), mentre dobbiamo spiegare differenze circa 40 volte superiori (3.8% nel caso di RaTG13/BTCoV/4991).
Abbiamo oggi accumulato in tutto il mondo ben oltre 3 milioni di sequenze complete di SARS-2. Tutte queste sequenze vengono ricondotte ad un’unica sequenza virale.
Questa è la sequenza del 1° paziente COVID-19, il 39enne cinese ricoverato e diagnosticato per la prima volte con una sindrome (allora ignota) associata rapidamente al SARS-CoV-2 all’Ospedale del People Liberation Army (PLA) di Wuhan, un ospedale che dista appena un paio di km dall’istituto di Virologia di Wuhan (WIV).
Quindi noi ad oggi abbiamo evidenza esclusivamente per one-jump, cioè un unico salto nella specie umana, anche se ignoriamo totalmente quale possa essere stato un ospite intermedio e sappiamo semplicemente (vista la limitata omologia con RaTG13/BTCoV/4991 = 96.2% a livello genomico) che l’ospite iniziale, o reservoir, è stato il pipistrello .
Questa totale mancanza di retro-diversità (“posterior diversity”) è stata anche notata e sottolineata dalla dottoressa SHI e dalla Commissione WHO.
Che tuttavia non hanno dedotto da questa evidenza di un unico capostipite, la inferenze appropriata, la conclusione logica. Perché questo è molto rilevante?
Nel caso della SARS1 per fare un esempio, il virus SARS-1 aveva accumulato agli albori del suo salto-zoonotico meno di un terzo delle mutazioni necessarie per infettare efficacemente H. sapiens nella regione della Spike Protein (quindi l’elemento chiave che determina e spiega la sua infettività). Al contrario, SARS2 aveva fin dall’inizio, fin da quel “primogenito” del paziente al PLA Hospital già il 95% di tutte le mutazioni che hanno ottimizzato la sua corsa scellerata.
Diciamo in linguaggio darwiniano, che questo prototipo era praticamente perfettamente-adattato a H. Sapiens sin dall’inizio.
L’ipotesi di un virus del pangolino come intermedio fra pipistrello e uomo.
Tuttavia la caccia ad un ipotetico precursore di SARS2 è stata anche contrassegnata da momenti di vera e propria suspense, con clamori mediatici che affermavano ad esempio che una specie intermedia fra il pipistrello e l’uomo sarebbe stata costituita dal pangolino.
Questo è un piccolo mammifero (unico con le scaglie) delle dimensioni di un cane di piccola taglia, caratterizzato da vera e propria corazza fatta di scaglie che lo protegge su tutto il corpo e la lunga coda. Animali solitari, si proteggono dai predatori arrotolandosi “ a palla” un po’ come fanno i ricci: da questo comportamento deriva la radice del nome.
La passione per i cibi esotici così dilagante in Cina ha da anni colpito anche questo grazioso animale, che rischia adesso l’estinzione di alcune specie, soprattutto cinesi.
Anche la medicina tradizionale cinese richiede le sue scaglie sostenendo che esse possano correggere svariati problemi: dall’impotenza alla mancanza di latte materno, a fenomeni infiammatori arrivando fino al cancro. Si può capire quindi come sia fiorito un intenso traffico illegale e di contrabbando, con le scaglie di pangolino che vengono vendute a prezzi fino a 1800 dollari per kg.
Dal 2017 infatti, il commercio di questi animali è divenuto fuori-legge. Proprio in una vasta operazione della polizia cinese, vennero confiscati nel 2019 nella regione di Guangdong 155 pangolini: di questi solo 121 erano inizialmente vivi. Mentre la maggior parte venne poi portata nella regione di Guanxì, si cercò di preservare e studiare 21 di questi esemplari nell’osservatorio per animali selvatici alla periferia di Guanzhou, capitale del Guangdong.
Apparvero subito in cattivo stato e cominciarono a morire. Quando solamente 5 animali erano rimasti vivi, venne infine contattata un’associazione di protezione degli animali, che tentò di salvarne 3 ma senza successo (non sappiamo la fine degli altri 2).
In conclusione, i sospetti sulla presenza di un agente infettivo che potesse essere responsabile della morte dei pangolini in cattività vennero verificati analizzando campioni di 11 dei 21 pangolini del Guangdong. In tutti gli animali, vi era evidenza di un’affezione polmonare: tuttavia vennero isolati ben 14 virus diversi, la maggior parte dei quali (85%) appartenevano a famiglie non associabili a virus SARS.
E cioè, virus Herpes o Paramixovirus, in particolare un Paramixovirus chiamato Virus del Sendai, che è noto causare polmoniti animali (presente in 6 pangolini).
Solo in 2 dei 21 pangolini, vi era evidenza di virus SARS, ma di vari tipi diversi. Quindi, sulla base di 2/21 animali potenzialmente affetti, venne suggerito a fine 2019 che i pangolini potessero trasmettere una malattia di tipo SARS.
Ad inizio febbraio 2020, nuovo equivoco: viene detto in conferenza stampa da autori cinesi che uno dei virus isolati da questi animali è al 99% geneticamente simile come sequenza al SARS-CoV-2, che allora era stato appena isolato e sequenziato. Con i calcoli che abbiamo fatto nei precedenti capitoli (4 e 6), capiamo che questo dato avrebbe potuto essere interessante, anzi la migliore omologia scoperta finora.
Tuttavia, solo poche settimane dopo, tutto cambia: l’omologia del 99% si riferiva solo alla breve regione RBM, cioè il breve tratto di aminoacidi/nucleotidi che legano il recettore ACE2 sulle cellule umane. La vera omologia dell’intera sequenza è solo del 90%, quindi notevolmente inferiore a quella di RaTG13, che abbiamo già discusso.
E tuttavia, ben 4 lavori verranno pubblicati sull’argomento e sempre sostenendo l’ipotesi del pangolino come specie intermedia di SARS2, quindi dell’intera pandemia COVID-19.
Due sulla prestigiosissima rivista Nature Communications (Impact Factor-IF- = 14.96), uno su PLoS pathogens (IF = 6.51) ed uno su Current Biology (IF = 10.83). Ricordo tutto questo un po’ anche come “parabola”, per spiegare cioè come la scienza-ufficiale si sia spesso arroccata dietro a riviste estremamente quotate per pubblicare dati che, come spiegherò fra un attimo, sono stati in realtà falsificati successivamente.
Tutto questo verrà affrontato anche in un capitolo successivo (The VIRUS and the LAW/ Il virus e la legge), in cui affronto soprattutto questioni etiche e legali.
All’uscita dei lavori precedentemente citati, alcuni di noi si sono fatte domande proprio per l’immediatezza delle pubblicazioni ed il clima concitato del momento (Febbraio 2020). Ancora una volta, la coppia Chan-Zhan è riuscita ad incanalare la problematica in un quesito aggredibile bio-informaticamente.
Meravigliandosi dell’assoluta omologia delle sequenze descritte nel pangolino, hanno verificato l’origine dei dati, scoprendo che si trattava in realtà di unici sets di sequenze che venivano analizzati, sempre le stesse sequenze, anche varie volte (quindi erano present solo 1-2 diversi isolati virali).
Gli stessi sets di dati utilizzati anche da autori diversi in pubblicazioni diverse ! Vista l’assoluta omologia delle sequenze virali che dimostravano 0 o pochissime mutazioni, l’ipotesi più probabile è che gli stessi pangolini possano essere stati infettati successivamente –i.e. in cattività- con ceppi di SARS-CoV-2 umani.
Come ha successivamente commentato la stessa Alina Chan, è come se in un trial clinico, si ri-analizzassero gli stessi dati e gli stessi pazienti con un processo di copia-incolla e cambiando semplicemente il nome dei pazienti: inaccettabile !
L’origine di RaTG13 dalle miniere di rame di Mojian nello Yunnan
Dopo aver sottomesso un manoscritto su queste scoperte informatiche (ancora visibile solo si bioRxiv, quindi ancora in stallo per la pubblicazione ufficiale), la coppia Chan-Zhan ha visto anche la sua rivalsa morale da numerose pubblicazioni nelle quali si assolvono completamente i pangolini (una anche con Daszak co-autore): sono privi di virus correlabili a SARS2, anche quelli contrabbandati illegalmente.
L’atto finale di questa saga sui pangolini ed in generale sui possibili ospiti intermedi è avvenuto nel maggio 2020, quando George Gao, Direttore del CDC cinese, ha comunicato che nessuno degli animali presenti nel mercato del pesce di Huanan a Wuhan era risultato positivo ad un virus simile a SARS-CoV-2.
Quindi, anche campioni ambientali SARS2 positivi, erano dovuti ad infezioni umane certamente presenti nel mercato (27/41 pazienti in uno dei primi lavori avevano avuto contatti con il mercato di Huanan).
Come spiegato nei punti precedenti, le possibili ragioni di questo perfetto adattamento di SARS2 a Homo Sapiens sono state ricercate da numerosi gruppi e laboratori, cercando di trovare, isolare e caratterizzare dei precursori di SARS2, che non si sono però mai materializzati: non vi è ad oggi evidenza che siano presenti in natura, come esemplificato dalla caccia al virus del pangolino appena riportata.
La stessa Commissione-WHO insieme agli scienziati Cinesi ha ammesso apertamente nel rapporto CINA-WHO che questi precursori non esistono in natura. Se però non esistono in natura, bisogna allora pensare a dove possano essere esistiti.
La risposta più probabile: un virus ormai perfettamente adattato a H. Sapiens, è stato in realtà ricercato, e potenzialmente manipolato e selezionato con esperimenti specifici eseguiti proprio in laboratori presenti a Wuhan (non solo il WIV, anche il laboratorio CDC che dista poche centinaia di metri dal mercato di Huanan).
Ma per capire meglio come si sono originati e successivamente indirizzati i nostri sospetti, bisogna tornare alla prima descrizione dei fatti: il famoso lavoro sulla rivista Nature pubblicato il 3 Febbraio 2020, coordinato da Zengli SHI, chiamata appunto Batwoman.
È infatti in questo lavoro che appare per la prima volta la designazione RaTG13, come sequenza di un virus del pipistrello che avrebbe la maggiore omologia con quella del nuovo virus SARS2.
Come ho già accennato si tratta di una omologia non ottimale: 96.2%, per la quale si sta cercando una spiegazione scientifica in quanto circa 50 anni di evoluzione separerebbero le due sequenze (RaTG13 da SARS2).
A maggio 2020, Dean Bengston, uno studente di bioinformatica cerca di capire che cosa ci sia dietro la sigla RaTG13. Si accorge con deduzioni logiche e basandosi su di un’altra pubblicazione di laboratori cinesi che il nuovo virus SARS2 studiato da gennaio a Wuhan è in realtà molto simile ad una sequenza chiamata BtCoV/4991.
Viene quindi ipotizzato che le due sequenze RaTG13 e BtCoV/4991 siano la stessa cosa, appartengano allo stesso virus. Questa omologia era stata segnalata anche, indipendentemente, da Rossana Segreto, una ricercatrice italiana che lavora all’Università di Innsbruck (Austria).
E’ a questo punto che una coppia di ricercatori dell’Università di Pune in India occidentale ha messo in connessione la nuova sigla BtCoV/4995 con una particolare miniera di rame nello Yunnan (a circa 1900 km da Wuhan !), nella quale Zengli SHI, aveva appunto cercato ed isolato Coronavirus del pipistrello vari anni prima, nel 2013.
Il motivo di interesse sta nel fatto che in quella particolare miniera di Tongguan, Mojian, Yunnan, China si erano verificati dei casi drammatici e sospetti di polmonite atipica nel 2012.
A sei minatori venne dato l’incarico di liberare la cava dal guamo (sterco) di pipistrelli ed altri animali presenti nella miniera. Di questi minatori, tutti e sei si ammalarono di una forte polmonite: tre morirono dopo alcuni mesi di degenza in un ospedale regionale.
Il sospetto dunque che questi casi con letalità così elevata (50%) fossero associabili a BtCoV/4991 (o RaTG13, visto che adesso sappiamo che sono la stessa cosa) era forte nella mente di Monali e Rahul la coppia di ricercatori indiani di Puni.
Ma come provarlo? Marito e moglie decidono di pubblicare innanzi tutto un preprint con quanto avevano finora scoperto. Lo inviano alla prestigiosa rivista Nature che però lo rifiuta, ma troveranno ugualmente modo per pubblicarlo in una rivista prestigiosa e con buona visibilità del gruppo Frontiers.
Lo stesso giorno della pubblicazione di un preprint appare improvvisamente da Internet un messaggero anonimo. Si fa chiamare su twitter @TheSeeker268 e fornisce ai ricercatori indiani gli indirizzi internet per rintracciare due tesi di ricerca (una per un masters ed una per un PhD) che trattano proprio di questo argomento.
Le tesi sono state adesso tradotte dal cinese: dimostrano che i casi della miniera di Mojiang erano indistinguibili dai milioni di casi di COVID-19 dei quali siamo stati spettatori in questi due anni.
Per i sei pazienti della miniera era stato consultato anche Zhong Nanshan, il grande esperto a partire dalla Sars-1 (venne consultato anche dalla nostra Università –Università di Firenze- nel marzo 2020). Il responso di Zhong Nanshan era stato che si trattava molto probabilmente di: 1. infezione virale primaria seguita da 2. infezione fungina secondaria.
È forse per questo che la batwoman Zenli SHI ha parlato solo, per i sei minatori della miniera, di infezione da un fungo? Parlare solo di infezioni fungine (molti dei pazienti SARS e COVID-19 soccombono poi per questo tipo di infezioni secondarie fungine o batteriche) è perlomeno fuorviante.
Ma c’è di più: la tesi per il PhD di Canping HUANG –con George Gao come mentore della tesi- riporta che 4 minatori erano stati testati per anticorpi contro la Sars (Sars-1) proprio al WIV ed erano risultati IgG positvi. Inoltre dalla Master-tesi di XU L., si evince che un ulteriore paziente era positivo per IgM. Ma a novembre 2020, la Dr. Shi ha negato che vi fossero positività con test immunologici (ELISA assay) per campioni da questi pazienti (ritestati al WIV nel 2020).
Se l’evidenza di A è diversa da quella di B, qualcuno qui sta mentendo: questa non è una questione di Biologia Molecolare ma di Logica Aristotelica!
Words 2407
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