L’epidemiologia molecolare di COVID-19 dimostra il carattere paradossale dell’ipotesi zoonotica
L’epidemiologia molecolare di COVID-19 dimostra il carattere paradossale dell’ipotesi zoonotica
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I dati inaspettati del gruppo di Coutard-Decroly
A questo punto possiamo cominciare a domandarci: perché Vineet Menachery ed il suo gruppo si sono focalizzati proprio su FCS? Cominciamo col dire chi è Menachery: insieme a Ralph Baric (uno dei firmatari della lettera su Science precedentemente citata) è uno dei maggiori esperti statunitensi su Coronavirus. Il loro lavoro su Nature Medicine del 2015 è una pietra miliare degli studi su questi virus e segna un pò l’inizio della fase più intensa e drammatica degli studi di aumento di funzione (gain of function). Il motivo fondamentale è che a distanza ormai di più di due anni dal suo isolamento non troviamo ancora un parente-stretto di SARS2.
Il parente più stretto rilevato finora, come già discusso nel Cap. 3, resta il virus del pipistrello a ferro-di-cavallo Rhinolophus affinis chiamato RaTG13 (inizialmente BtCoV/4991). Tuttavia RaTG13 è simile a SARS2 solamente al 96.2%: circa 4% (corrispondente a circa 1100 nucleotidi su 30.000) in termini di evoluzione darwiniana è una grossa differenza: circa 50 anni di evoluzione. La differenza poi fra i due virus non è cosa da poco, in quanto coinvolge proprio la regione che dà loro la specificità. Coinvolge cioè il gene S che determina la proteina Spike e quindi il cosiddetto RBD (receptor binding domain), la regione di S che lega il virus al recettore cellulare ACE2.
Molti gruppi hanno quindi analizzato le sequenze dei due virus, cercando di evidenziare i punti essenziali di divergenza, che possano spiegare il comportamento estremamente infettivo, patogeno e letale di SARS2. Oltre al segmento RBD, questa analisi informatica riesce infine ad identificare un altro elemento che è tipico di SARS2 –e solo di SARS2 fra tutti i membri di questo subgenus: i Sarbecovirus. Si tratta appunto del FCS, l’elemento studiato adesso sperimentalmente da Menachery. Questa scoperta fondamentale è stata effettuata dal gruppo franco-canadese di Coutard-Decroly. Nel loro lavoro su Antiviral Research dell’aprile 2020, scrivevano: “…questo elemento FCS può fornire a SARS2 – a differenza degli altri membri dei Betacoronavirus di tipo b (Sarbecoviruses) – un aumento-di-funzione (gain of function = GOF), in modo da permettergli di diffondersi nella popolazione umana…”.
L’importante scoperta del gruppo di Alina Chan e collaboratori
Sempre nella primavera del 2020, due ricercatrici di origine cinese (da Hong-Kong) Alina Chan e Shing Hei Zhan che lavorano in British-Columbia (Canada) ed alla Harvard University (USA) hanno letteralmente rivoluzionato la ricerca sull’origine di SARS2.
Curiosamente, il loro lavoro – ormai una pietra miliare e citato da chiunque lavori sulla problematica dell’origine del virus – intitolato “SARS2 è ben adattato alla specie umana. Quali sono le implicazioni per una possibile nuova pandemia?” non è ancora stato pubblicato su di una rivista scientifica “ufficiale”. In altre parole, questo lavoro fondamentale è restato in limbo, pubblicato in internet solo sul sito bioRxiv che accoglie appunto lavori in corso di valutazione/revisione e prima della pubblicazione ufficiale, per circa 2 anni (da maggio 2020). Tornerò in uno dei prossimi capitoli su questo punto, perché apre scenari e problematiche etiche non irrilevanti: è come se la scienza ufficiale delle riviste scientifiche più prestigiose (e con maggior Impact Factor, IF) si ergesse a baluardo e censore contro chiunque presenti dei dati scientifici alternativi alla zoonosi naturale. Ed è anche probabile che la scienza ufficiale discrimini questo lavoro, in quanto le due ricercatrici principali sono donne. Che cosa dicono Zhang e Chan in questo lavoro (il 3° autore Deverman è il capo laboratorio della Chan, ma non sembra si sia interessato a questa problematica successivamente)? Due sono i punti principali:
- In stridente contrasto con casi precedenti di vere zoonosi, SARS-CoV-2 non presenta alcuna variabilità genetica iniziale o posteriore (posterior diversity) che possa spiegare la sua generazione/evoluzione per zoonosi.
E
- SARS-CoV-2 sembra essere sin dall’inizio un virus “clonato” (variazione genetica minima) e perfettamente adattato a H. sapiens.
1. Il primo paradosso è in contrasto stridente con qualunque evento zoonico si sia verificato fino ad oggi, non solo per quel che riguarda Coronavirus, ma anche qualunque altro esempio di vera zoonosi (Hendra, Ebola, West Nile etc.). In altre parole, la tipica zoonosi è caratterizzata da un lento adattamento del virus animale alla sua nuova specie ospite, per SARS2 quindi Homo sapiens. La tipica lentezza di questo passaggio è legata al fatto che questo è un fenomeno di evoluzione darwiniana. Si basa cioè sul principio del trial-error ovvero della mutazione seguita da selezione. È un processo lento perché una singola mutazione avviene – come ho accennato nel caso di CoV-2 – circa ogni due settimane. Non è poi detto che una particolare mutazione – che avviene tipicamente a caso (randomly) – sia favorevole all’evoluzione del virus stesso. Quindi, potrebbe essere selezionata negativamente: quel particolare virus scomparirebbe dall’orizzonte, dalla circolazione. Inoltre, in questi fenomeni tipicamente evolutivi siamo in presenza di uno “sciame” di virus, un insieme cioè di particelle virali, ciascuna delle quali può avere subìto mutazioni diverse.
Ciascuna avrà quindi un iter evolutivo potenzialmente diverso. Una fenomenologia simile si evince anche in pazienti con tumori aggressivi/metastatici, nei quali molteplici cloni – ciascuno caratterizzato da serie di mutazioni diverse – convivono nello stesso paziente. Nella zoonosi classica, vi è quindi un percorso estremamente variegato, un continuo ZIG-ZAG ovvero Back-and-Forth (avanti-indietro), che rallenta continuamente l’emergenza di un a nuova specie. Rallenta soprattutto la formazione di un prodotto virale finale ed evoluto, che sia 1. estremamente infettivo, quindi assai capace di diffondersi nella nuova specie; 2. che abbia una forte patogenicità o addirittura letalità per la nuova specie ospite; 3. che sia ormai geneticamente stabile, tanto da apparire quasi clonato, in quanto non ha più bisogno di ulteriori mutazioni per ottimizzare la sua permanenza e diffusione nella nuova specie. Tutto questo è ben dimostrato e consolidato per le tipiche zoonosi, nelle quali si associano anche – come conseguenza – la descritta “posterior diversity”, ed una variazione genetica assai pronunciata durante tutto il periodo di adattamento alla specie umana.
2. Il secondo concetto – SARS2 è un virus “clonato” (variazione genetica minima) e perfettamente adattato a H. sapiens- è in parte legato al precedente, ma si sofferma non solo sulla quasi totale mancanza di eterogeneità in CoV-2 –sopratutto nella fase che ha preceduto la pandemia (assenza di “posterior diversity”)-, ma anche e soprattutto sul suo peculiare adattamento a H. sapiens, sin dal suo incipit, con anche potenziali implicazioni sul come e perché spiegare un simile e paradossale adattamento immediato.
Per fare solo esempi con i precedenti Coronaviruses, la SARS-1 impiegò un periodo di almeno due anni per arrivare a produrre infine un virus epidemico nell’uomo. Capace cioè non solo di effettuare zoonosi, in questo caso dei gatti-civetta (ospiti intermedi per CoV-1 a partire dall’ospite-reservoir, il pipistrello), ma anche causare passaggio, infezione da uomo a uomo. Stesso dicasi per la MERS nel 2012-14, nella quale l’ospite intermedio erano cammelli/dromedari: l’infezione (che ha fra l’altro una mortalità altissima, superiore a SARS-1 e a COVID-19) si diffuse principalmente per vere e proprie infezioni zoonotiche (nel 50% dei casi) ed iniziò solo successivamente a diffondersi in casi di trasmissione umana (nel restante 50% dei casi).
Non così nella pandemia COVID-19. Il virus SARS-2 appare al contrario identico ed immutato, a parte le limitatissime mutazioni che si riscontrano nelle varianti, i cui valori sono – in termini percentuali – minimi. Ad esempio, nel caso della variante Omicron, che come sappiamo oggi è la variante con maggior numero di mutazioni (32), queste corrispondono ad appena circa 0,1% della sequenza virale. Se utilizziamo il nostro “cronometro” di evoluzione darwiniana, vediamo che questo valore corrisponde a poco più di un anno (0,1 > 0,076).
In altre parole, abbiamo oggi accumulato in tutto il mondo circa 3 milioni e 100 mila sequenze complete di CoV-2 (erano 294.000 al 31 marzo 2021). Tutte queste sequenze, dico tutte, vengono ricondotte ad un’unica sequenza virale. Questa è la sequenza del 1° paziente COVID-19, il 39enne cinese ricoverato e diagnosticato per la prima volte con una sindrome (allora ignota) associata rapidamente al SARS-CoV-2 all’Ospedale del People Liberation Army (PLA) di Wuhan, un ospedale che dista appena un paio di km dall’istituto di Virologia di Wuhan (WIV).
Quindi noi ad oggi abbiamo evidenza esclusivamente per one-jump, cioè un unico salto nella specie umana, anche se ignoriamo totalmente quale possa essere stato un ospite intermedio e sospettiamo semplicemente (vista la scarsa omologia con RaTG13 = 96.2% a livello genomico) che l’ospite iniziale, o reservoir, sia stato il pipistrello. Questa totale mancanza di varianza antecedente o “posterior diversity” è stata anche notata e sottolineata dalla dottoressa SHI e dalla Commissione WHO. Che tuttavia non hanno dedotto da questa evidenza di un unico capostipite, la inferenze appropriata, la conclusione logica.
Perché questo è molto rilevante? Nel caso della SARS1 per fare un esempio, il virus SARS-1 aveva accumulato agli albori del suo salto-zoonotico nella regione della Spike Protein (quindi l’elemento chiave che determina e spiega la sua infettività) meno di un terzo delle mutazioni necessarie per infettare efficacemente H. sapiens. Al contrario, CoV-2 aveva fin dall’inizio, fin da quel “primogenito” del paziente al PLA Hospital già il 95% di tutte le mutazioni che hanno ottimizzato la sua corsa scellerata. Diciamo in linguaggio darwiniano, che questo prototipo era perfettamente adattato a H. Sapiens sin dall’inizio. Come spiegato nei punti precedenti, le possibili ragioni di questo perfetto adattamento sono state ricercate da numerosissimi gruppi e laboratori, cercando di trovare, isolare, caratterizzare dei precursori di CoV-2, che non si sono però mai materializzati, non vi è ad oggi evidenza che siano presenti in natura. La stessa Commissione-WHO insieme agli scienziati Cinesi ha ammesso apertamente nel rapporto CINA-WHO che questi precursori non esistono in natura.
Se però non esistono in natura, bisogna allora pensare a dove possano essere esistiti. La risposta più probabile: questi virus ormai perfettamente adattati a H. Sapiens, sono stati in realtà ricercati, manipolati e selezionati con esperimenti specifici, eseguiti proprio in laboratori presenti a Wuhan, unico posto al mondo in cui tali esperimenti venivano ancora effettuati. Una delle ultime frasi nel lavoro di Zhang e Chan suona così: “Anche l’ipotesi che un precursore non necessariamente manipolato geneticamente possa essersi adattato alla specie umana mentre veniva studiato in un laboratorio va considerata, a prescindere da quanto sia probabile”. Una frase che oggi potremmo tutti sottoscrivere.
Vale però la pena sottolineare qui un’ultima considerazione sulla creazione di un virus così pandemico e letale come SARS-2. Come ho spiegato, c’è una grandissima differenza fra un virus che si sta generando per zoonosi e sta quindi venendo selezionato per crescere in H. sapiens ed uno che è già perfettamente selezionato.
Purtroppo questa differenza si ripercuote anche sulla mortalità. In altre parole, se avessimo saputo sin dall’inizio che proprio di questo si trattava, che non si trattava di un virus zoonotico e che si trattava invece di un virus già selezionato per Homo Sapiens, anche il nostro livello di attenzione e di guardia avrebbe dovuto essere diverso. Insistere sul fatto che sarebbe stato (“doveva essere”) un virus zoonotico, faceva concludere che SARS2 fosse un virus relativamente controllabile, così come era successo già nella SARS-1, ad esempio in Sud-Corea. Quindi questo insistere su di un virus zoonotico è stato certamente fuorviante anche per i possibili interventi per ridurre la mortalità e per il livello di contenimento da adottare.