L'origine del virus COVID-19: Ulteriori Elaborazioni Di Vari Gruppi
L'origine del virus COVID-19: Ulteriori Elaborazioni Di Vari Gruppi
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L’analisi informatica dei gruppi di Yuri Deigin e Steven Quay
Per capire le implicazioni di questa scoperta, bisogna soffermarsi un attimo sugli elementi molecolari del virus e le fasi iniziali della sua infezione. Questo è quello che hanno fatto due gruppi che fanno capo a ricercatori managers di biotech con interessi anche in bioinformatica. Uno con nazionalità canadese: Yuri Deigin ed uno americano: Steven Quay. In realtà, il lavoro di Deigin è stato fatto in forte collaborazione con l’italiana Rossana Segreto (che è primo autore e corrispondente nella pubblicazione): una validissima ricercatrice italiana che lavora adesso all’Università di Innsbruck in Austria. E va senz’altro dato credito alla Segreto l’aver sottolineato per prima che la sequenza del virus RaTG13 era sostanzialmente identica a quella isolata dalle miniere dello Yunnan e precedentemente chiamata BtCoV/4991. Il secondo gruppo è quello di Steven Quay, un ricercatore e manager di Seattle, che ha poi pubblicato un intero interessante testo sull’argomento (A Bayesian analysis of SARS-CoV-2 Origin). Riassumo quindi qui di seguito alcuni dati salienti ottenuti tramite questi studi di bioinformatica, ovvero importanti associazioni ed intuizioni effettuate anche grazie ai suggerimenti provenienti dalla rete internet, talvolta anche in forma anonima.
Infatti il gene per la Spike, una volta sintetizzato e tradotto quindi in proteina, deve essere processato. Questo significa che l’iniziale polipeptide prodotto è un precursore che andrà poi scisso in due polipeptidi chiamati S1 ed S2. I due elementi avranno poi funzioni diverse nell’inizio dell’infezione da CoV-2: Solo se avviene però un taglio preciso per generare S1 ed S2, questi due elementi possono poi combinarsi in una struttura di ligando-virale che andrà a legarsi con il recettore specifico per CoV-2, cioè l’Angiotensin-Converting-Enzyme-2 ovvero ACE-2.
Proprio il sito che determina il taglio/attivazione nei due elementi S1 e S2 è alla base della nuova scoperta di una manipolazione in laboratorio. Nel caso della SARS-1, la Spike viene inizialmente tagliata da proteasi della famiglia della tripsina, che riconoscono una sequenza aminoacidica di tipo AYT/M. Questa stessa sequenza è presente – nella posizione equivalente della sequenza- anche nel virus SARS-2 del COVID-19. Che cosa ha quindi quest’ultimo che lo rende così infettivo, con Rt sin dall’inizio elevati (intorno a 3) fino a valori estremamente elevati (come accadde in Nord-Italia)?
Ancora una volta, è la presenza della sequenza FCS che dà specificità-di-taglio proteolitico da parte di Furina e che si trova di poco a monte (circa 10 Aminoacidi) dalla precedente. È la sequenza polibasica PRRAR/SV che dà questa specificità di taglio da parte della Furina. Questa proteasi è tristemente famosa, in quanto i virus che si sono dimostrati più patogeni contengono proprio la FCS che permette il taglio attivante da parte dell’enzima Furina. Il motivo è legato sia all’efficienza di quest’enzima nell’effettuare il taglio proteolitico appropriato, sia alla sua ubiquità, la sua presenza cioè in quasi tutti i tessuti e tipi cellulari. L’infezione si può quindi diffondere come il fuoco sulla paglia nel corpo (dell’animale da esperimento ovvero nel caso di SARS2 dell’uomo).
Ma c’è di più. Quando i ricercatori da vari laboratori mondiali osservarono (a partire dagli anni ’90) quest’associazione della Furina e del suo sito di taglio con una maggiore infettività e patogenicità del virus (non solo coronavirus ovviamente, anche virus dell’influenza e molti altri), iniziò una sperimentazione serrata degli effetti di un sito aggiunto per taglio di Furina. Questa sperimentazione è stata ed è molto diffusa ed ha permesso ad esempio di dimostrare che il virus della bronchite infettiva (IBV) diviene assai più infettivo e patogeno quando venga inserito uno di questi siti con manipolazioni in laboratorio (esperimenti di tipo aumento di funzione / GOF = Gain of Function). Vi sono dozzine di esempi di esperimenti di questo tipo. Nel caso poi dei coronavirus, almeno undici esempi di inserimento di sito per taglio con Furina, alcuni dei quali effettuati proprio da Zengli SHI del WIV a Wuhan. Vista quindi la struttura genetica del nuovo virus che compare a Wuhan nel Dicembre 2019, difficile non pensare proprio ad un esperimento GOF per l’inserimento di questa sequenza di 12 nucleotidi (4 nuovi aminoacidi) e quindi di un’origine del SARS2 in un laboratorio, dal quale sarebbe poi fuoriuscito.
Ma c’è di più. La specifica sequenza che è stata inserita nel nuovo virus nel 2019 rafforza notevolmente i nostri sospetti. Il dodecanucleotide è T-CCT-CGG-CGG-CG, il che già ci permette di fare un semplice calcolo di probabilità. La probabilità di trovare questa sequenza è di 1 su circa 17 milioni, quindi assai improbabile che sia presente in un genoma di sole 30mila basi. Se calcoliamo per la sequenza aminoacidica, la probabilità è ancora più bassa = 1 su 64 milioni. È interessante osservare come vari gruppi, sopratutto cinesi, si siano scervellati per spiegare la presenza di una simile sequenza FCS che dà specificità di taglio da Furina. E vedremo alla fine di questo capitolo come un gruppo di ricercatori internazionali con anche il nostro Giorgio Palù ha recentemente dimostrato come la sequenza potrebbe essere più estesa di quanto finora ritenuto: non 12, bensì 19 nucleotidi. Questo ha notevoli implicazioni per i nostri calcoli: non si tratta più di una frazione con decine di milioni, ma una con centinaia di miliardi a denominatore!
La prima potenziale spiegazione e cioè che questo potrebbe essere un semplice processo darwiniano, un processo cioè evolutivo in cui la roulette di mutazione/selezione trova infine la sequenza giusta (anche se probabilità fra 17 e 64 milioni a denominatore rendono l’ipotesi improbabile) viene falsificato anche dalle considerazioni precedenti. Infatti, negli 80.000 animali di varie specie o nei 10.000 campioni umani precedenti al Dicembre 2019 non vi è traccia di tutto ciò: non vi è traccia di un virus che sta rimontando la roulette-evolutiva per creare la sequenza che riscontriamo in SARS2.
Ma c’è di più. In mancanza di una spiegazione zoonotica per l’improvvisa comparsa del sito di taglio per Furina – una spiegazione cioè che si basi sui principi evolutivi di mutazione/selezione –, molti ricercatori hanno considerato invece l’ipotesi di un meccanismo alternativo: quello della ricombinazione. La ricombinazione è quel processo genetico per il quale due organismi, anche virus, possono scambiarsi materiale genetico ereditario (quindi sia DNA che RNA). Ed in effetti, la presenza di uno specifico dodecanucleotide potrebbe essere più facilmente spiegata con un processo ricombinativo che con le molto improbabili roulettes darwiniane. Questo però se la ricombinazione fosse possibile. In altre parole, due organismi per poter ricombinare devono nel caso di animali o piante appartenere alla stessa specie. Se sono dei virus, devono appartenere allo stesso subgenera e poter infettare contemporaneamente la stessa cellula (dove commetterebbero entrambi un errore replicativo o di trascrizione).
Anche qui però, nonostante svariati tentativi di scienziati cinesi e dello stesso Peter Daszak, non è mai emerso un virus che contenesse simili sequenze e potesse ricombinare con SARS2. Quest’ultimo, come notato dallo stesso Daszak, è un Sarbecovirus (lineage B dei Betacoronaviruses) e non può quindi ricombinare con gli altri subgenera dei Betacoronaviruses che sono Embecovirus (lineage A), Merbecovirus (lineage C), Nobecovirus (lineage D). Questi subgenera inoltre vivono in altre province distanti ben oltre 1000 km dallo Hubei e da Wuhan: ulteriormente impossibile pensare ad eventi di co-infezione o di ricombinazione. La stessa Zengli SHI afferma che i pipistrelli della provincia di Hubei non possono essere ospiti per virus correlabili a SARS2. Quindi anche l’ipotesi dell’inserzione per ricombinazione deve essere scartata, falsificata.
Se dobbiamo cercare un partner per la ricombinazione di RaTG13 (ovvero BtCoV/4991) questo non sembra essere un altro Sarbecovirus, per tutte le evidenze che ho presentato finora. Tuttavia gli ultimissimi dati del gruppo di scienziati che include il nostro Giorgio Palù, fanno pensare ad uno scenario del tutto diverso e sconcertante: la ricombinazione di quei 19 nucleotidi che ho precedentemente citato non sarebbe avvenuta con un altro Sarbecovirus, bensì … Con un gene umano!! Si tratterebbe del gene MSH3, addirittura una sequenza complementare di questo gene, come potete leggere qui a fine capitolo.
Ma c’è di più. Se uno analizza in maggior dettaglio la sequenza che ho precedentemente descritto, si accorge che sono lì presenti 3 codoni. I codoni sono le “sillabe” del codice genetico, che segnalano con un alfabeto di nucleotidi quali aminoacidi andranno aggiunti nella proteina (la nuova parola), in questo caso la S protein. Questi sono: CCT = prolina, CGG= arginina, e CGG=arginina. L’attenzione va soffermata su quest’ultimo aminoacido: in natura i Coronavirus utilizzano rarissimamente questo codone – CGG – per l’aminoacido arginina. Ed una doppietta come in questo caso, e cioè CGG-CGG non si è mai verificata prima d’ora in un coronavirus di questo tipo in natura.
Questo punto è in netta contraddizione con l’ipotesi zoonotica (sia per mutazione/selezione che per ricombinazione), ma dimostra ancora una volta l’origine di laboratorio come la più probabile. Per quale motivo? Il codone CGG per arginina è il meno utilizzato da coronavirus in natura, ma il più utilizzato da cellule umane! Non solo: in tutti gli esperimenti di aumento di funzione (GOF), è proprio il codone che è stato utilizzato praticamente sempre per inserimento (con sequenze quindi artificiali, sintetizzate in laboratorio) per creare appunto i siti di taglio da Furina, che aumentano così drammaticamente l’infettività e la patogenicità. E sono stati anche i gruppi di Zengli SHI e di Ralph Baric che li hanno utilizzati in numerose occasioni. Per chi lavora in questo campo, il sito per Furina FCS è stato veramente the smoking gun, la canna fumante che prova l’origine di SARS-2 da un laboratorio. E gli esperimenti di Vineet Menachery – che ho descritto inizialmente – dimostrano che questo sito (FCS) è determinante, essenziale per la replicazione e la patogenicità di SARS2.
L’interessante scoperta di 7 ricercatori internazionali (con anche l’italiano Giorgio Palù, presidente AIFA)
Negli ultimissimi giorni, l’attenzione su questi temi è stata anche risvegliata qui in Italia da un’intervista rilasciata dal Prof. Giorgio Palù, Presidente dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), al Corriere della Sera (lunedì 07 marzo 2022, h. 18.10). Palù fa specificamente riferimento ad un interessante articolo che è stato pubblicato sulla rivista Frontiers in Virology il 21 febbraio 2022 da un gruppo di sette scienziati – con Palù coautore – coordinati principalmente dalle Università dell’Oregon e di Pittsburgh negli USA. Poiché l’intervista su CorSer è rimasta su temi molto generali, ne discuto brevemente qui in quanto questo recentissimo lavoro sembra fornire ulteriori chiarimenti proprio agli interrogativi che ho appena presentato.
Cercando di definire il sito FCS di cui abbiamo parlato a lungo sia qui che nei precedenti capitoli, la cordata di 7 scienziati è riuscita a rintracciare una sequenza omologa più estesa della precedente. Si passa cioè dai 12 nucleotidi descritti a 19 nucleotidi identici: se ricordate i precedenti calcoli, questo fa diminuire enormemente la possibilità che si tratti di un evento casuale. Sia passa cioè da una stima di circa uno su 17 milioni (vedasi inizio capitolo 6) ad un valore infinitesimale di 1 su circa 300 miliardi! Decisamente improbabile – se non impossibile, visto che il nostro genoma umano ha “solo” 3.2 miliardi di basi – che questa sequenza sia stata ottenuta per caso.
A cosa corrisponde questa stringa di 19 nucleotidi? Ad una sequenza “privata” (proprietary) presente in un brevetto USA – depositato nel 2016 – che mira alla modificazione di proteine a scopo oncologico. In particolare, è identica alla copia complementare del gene MSH3, un gene fondamentale per i meccanismi di riparo “da disappaiamento” (mismatch repair o MMR). Questi meccanismi sono essenziali per le nostre difese, ad esempio contro l’insorgenza di tumori e mutazioni proprio nel meccanismo MMR si accompagnano quasi sempre alla comparsa di tumori dell’intestino. Anche per queste scoperte, Paul Modrich, professore emerito alla Duke University, è stato insignito del Premio Nobel nel 2015.
Tuttavia qui la sequenza è peculiare: come ho scritto è “complementare” al messaggio per MSH3. Quindi lo scenario che questo lavoro dei 7 ricercatori propone è inquietante ed al contempo complesso: l’originale virus SARS-CoV-2 sembrerebbe essersi generato facendo crescere un precursore di Sarbecovirus su cellule umane, che verosimilmente producevano un alto livello di MSH3. Questo dato è potenzialmente molto importante: potrebbe confermare quanto si è detto finora: che cioè SARS2 si è molto probabilmente generato in laboratorio con esperimenti (poco controllati o poco sicuri). Sarà tuttavia necessario avere conferme indipendenti sui dati di Ambati et al., soprattutto per verificare come potrebbe essersi verificato un simile evento di ricombinazione che coinvolge – come detto – non l’elica codificante di MSH3, bensì l’elica ad essa complementare.