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Dialogo tra le corti e nomofilachia, la strada verso l’attuazione del protocollo CEDU n.16

Notte a Comacchio
Ph. Luca Martini / Notte a Comacchio

Dialogo tra le corti e nomofilachia, la strada verso l’attuazione del protocollo CEDU n.16

Il giudice italiano sulla via del confronto a livello euro unitario: la scusante di cui all’art 384 si estende al convivente more uxorio

Da sempre il giudice si trova ad operare in situazioni di incertezza, vivendo di giudizi di probabilità e muovendosi su terreni impervi. È altrettanto vero che il compito del giudice nella fase interpretativa sia insostituibile; senza il suo intervento ai diritti non sarebbe garantita la forma di tutela che gli spetta. Sorge quindi spontaneo domandarsi cos’è che ci si aspetta realmente  dall’attività del giudicante: il rispetto di una serie di canoni normativi, la gradualità, proporzionalità e soprattutto il riferimento alla concretezza dei casi -i casi della vita- che sono ognuno diverso dall’altro, l’equilibrio tra la dimensione parziale creativa -diritto vivente- e i principi di uniformità. È chiaro come vi sia quindi una sorta di “corto circuito” tra la legalità formale, il legislatore e la legalità pratica della giurisprudenza. Gli approdi raggiunti nel tentativo di arginare questo fenomeno si riflettono nel dialogo tra le corti e nel fenomeno della nomofilachia – quest’ultima che mira ad assicurare uniformità nel trattamento dei cittadini innanzi alla legge. È  per questo che gli studiosi parlano di uno ius comune europeo, in cui ci si identificherà per rendere concreta e pratica la tutela dei diritti fondamentali.  Il giudice deve muoversi sulla strada del confronto; il dialogo tra le corti di cui si discorre non deve essere solo orizzontale, ma deve tendere conformarsi a livello euro unitario.

L’importanza di un confronto si fa spazio nel nostro ordinamento da tempo, ma la conferma è arrivata con un recente arresto delle Sezioni Unite che,  con sentenza n. 10381, hanno esteso l’applicazione della scusante di cui all’art. 384 comma 1 c.p. al convivente more uxorio. La Cassazione ha analizzato le disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, le sentenze della Corte EDU in materia, le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e -operando tramite un’analogia in bonam partem- è giunta così alla conclusione che il modello designato rispettivamente dagli artt. 2 e 29 Cost. tutelano le varietà delle relazioni di tipo familiare, comprese appunto le unioni di fatto. In questo caso non c’è stato un dialogo tra i giudici nazionali e sovranazionali, -gli ermellini hanno analizzato quanto disposto a livello europeo, non richiedendo confronti sul merito della questione- eppure appare evidente come partendo da questo presupposto possa dedursi indispensabile un confronto. L’art 384 era chiuso in confini inaccettabili, soprattutto perché si discorre di diritti fondamentali che non solo abbracciano anche le coppie di fatto, ma addirittura preesistono agli istituti giuridici. Il giudice ha svolto un ruolo di indagine in questo caso, facendosi strada nella ricerca costante di elementi che potessero portare ad un’interpretazione chiara, estensiva e accettabile della norma.
 

Un rinvio pregiudiziale alla Corte Europea è possibile?

È auspicabile immaginare, nel più breve tempo possibile, un avvio effettivo di questo rapporto singerico: sarebbe legittimo procedere ad un rinvio pregiudiziale alla Corte Europea -senza dover quindi attendere la formazione del giudicato- che consentirebbe, seppur ai soli giudizi nazionali del massimo livello, un confronto nella fasce ascendente, ovvero prima che una sentenza diventi definitiva, senza dover necessariamente attendere la formazione di tutti i gravami interni. I giudici della Suprema Corte con la sentenza depositata a marzo del 2021 -n. 10381- hanno evidenziato come effettivamente occorra un intervento, presupponendo una partecipazione attiva della Corte Europea non più nella sola fase discendente. Agendo così verso un “indirizzo mirato” nella costituzione di una nomofilachia europea, uno ius comune europeo,  in tema di garanzie per i diritti e le libertà della persona. C’è una forte carenza nel rispetto dei principi e diritti fondamentali, e l’accertamento di una violazione esprimerebbe un segnale di inadeguatezza dell’ordinamento interno rispetto al precetto convenzionale, andando così a garantire una revisione anticipata piuttosto che far sopraggiungere la formazione del giudicato. Nella fase discendente infatti potrebbero essere eliminate quelle violazioni considerate illegittime che potrebbero avere gravi conseguenze sulla tutela dei diritti fondamentali, analizzandole a tempo debito e non dopo anni di processi. Senza l’intervento della Corte EDU non si sarebbe avuta la riforma n. 67 del 2014, in tema di giudizio nei confronti dell’assente, e il legislatore avrebbe continuato a brancolare nel buio cercando misure più o meno riparatorie di equilibrio sui giudizi contumaciali. Lo strumento riparatorio è un oggetto consegnatoci dalla giurisprudenza dalla Corte Europea, che intervenendo ha garantito la definizione del processo penale nel caso di mancata costituzione in giudizio da parte dell’imputato.

Ciò che si auspica è che anche in Italia venga “attivato” il protocollo n. 16 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà, introducendo una nuova modalità d’accesso a Strasburgo, presentando richieste su questioni di principio relative all’ interpretazione e all’applicazione della CEDU. Queste modifiche consentirebbero un’apertura verso il diritto euro-unitario, seppur accompagnate da periodi formativi per gli operatori del diritto intenti a esplorare tali nuove procedure.  L’Italia, di riflesso, alzerebbe i suoi standard qualitativi di giudizio proiettandosi in una nuova dimensione legalitaria e sempre attenta al rispetto dei diritti e alle garanzie di libertà.