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Errori giudiziari senza responsabili e responsabilità

Interni esterni
Ph. Cinzia Falcinelli / Interni esterni

L’associazione Errorigiudiziari.com ha anticipato i dati relativi agli errori giudiziari e ingiuste detenzioni aggiornati al 31 dicembre 2020. Sulla base di questi possiamo fare il punto della situazione. Ricordando che c’è una differenza tra le vittime di ingiusta detenzione (cioè coloro che subiscono una custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, salvo poi venire assolte) e chi subisce un vero e proprio errore giudiziario in senso stretto (vale a dire quelle persone che, dopo essere state condannate con sentenza definitiva, vengono assolte in seguito a un processo di revisione).

Per avere una prima idea di quanti sono gli errori giudiziari in Italia vale la pena di mettere insieme sia le vittime di ingiusta detenzione sia quelle di errori giudiziari in senso stretto. Ebbene, dal 1991 al 31 dicembre 2020 i casi sono stati 29659: in media, poco più di 988 l’anno. Il tutto per una spesa complessiva dello Stato gigantesca, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri: 869.754.850 euro e spiccioli, per una media appena superiore ai 28 milioni e 990 mila euro l’anno.

Nel 2020 si registrano un leggero calo, rispetto al 2019, delle ingiuste detenzioni, i casi sono stati 750, per una spesa complessiva in indennizzi di cui è stata disposta la liquidazione pari a 36.958.648,64 euro. Rispetto all’anno precedente, si assiste a un netto calo sia nel numero di casi (- 250) sia nella spesa.

La flessione non è purtroppo un segnale di un cambio di passo virtuoso ma si spiega con il rallentamento dell’attività giudiziaria, causa Covid19, delle corti di appello chiamate a decidere sulle domande di riparazione.

A fronte della situazione descritta rimane in piedi l’interrogativo di fondo, come mai gli strumenti della giustizia disciplinare e della vigente normativa sulla responsabilità civile dello Stato-giustizia non frenano gli errori giudiziari e le ingiuste detenzioni?

In attesa di esaminare nel dettaglio la relazione 2020, che il Governo comunica alle Camere ai sensi dell’articolo 15 Legge 47/2015, registriamo nella comunicazione del 2019 i dati impietosi delle azioni disciplinari.

Il report sugli illeciti disciplinari contestati ai magistrati ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera g), d.lgs. 109/1996, ipotesi che ricorre nei casi di grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile.

È bene precisare che la rilevazione ha preso in considerazione soltanto le azioni disciplinari esercitate in relazione a scarcerazioni disposte oltre i termini di legge.

Risulta dunque che nel 2019 sono state promosse 24 azioni disciplinari di tal genere, due ad iniziativa della Procura generale della Repubblica presso la Corte di cassazione e 21 ad iniziativa del ministro della Giustizia). 16 azioni erano state esercitate nel 2018 e 13 nel 2017 per un totale di 53 azioni nel triennio preso in considerazione.

Solo in quattro casi è stata irrogata una sanzione disciplinare (peraltro sempre e soltanto la censura, cioè la misura più blanda dopo l’ammonimento). Ci sono state poi sette assoluzioni e 9 decisioni di non doversi procedere. 31 procedimenti disciplinari sono ancora in corso.

La giustizia disciplinare è ben lontana dal rappresentare un freno per chi concorre a un uso non meditato del potere cautelare.

Alle stesse conclusioni si arriverebbe se si facesse un’analisi spettrale della vigente normativa sulla responsabilità civile dello Stato-giustizia e sul numero di casi, davvero irrilevante quantitativamente, nei quali si è arrivati alla condanna.

Dalla entrata in vigore della cosiddetta Legge Vassalli (L. 117/1988, modificata nel 2015) sono stati rarissimi i casi di condanna dello Stato-giustizia.

Secondo i dati forniti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a due richieste di accesso, tra il 2006 e il 2017 sono state esercitate 604 azioni a tale titolo e solo in 17 casi hanno avuto esito vittorioso. In questo ambito solo quattro delle controversie arrivate alla fase di legittimità si sono concluse con pronuncia di condanna.

Ognuna di queste componenti è concausa di un’alterazione sistemica, favorita in egual misura da un legislatore che sembra procedere per manifesti simbolici più che sulla base di impulsi razionali e da una magistratura talvolta capace di orientamenti e prassi applicative dimentiche della centralità assoluta del bene della libertà personale.