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Ezra Pound: una lettera mai scritta

Ezra Pound
Ezra Pound

Il Poeta americano fu uno dei protagonisti del modernismo e della poesia di inizio XX secolo. La sua produzione prediligeva un linguaggio d’impatto con temi ricorrenti di nostalgia per il passato. Le sue prese di posizione in favore di Mussolini, Hitler e Oswald Mosley ne hanno fatto una icona, nel dopoguerra, per la destra, e oggi per le frange di estrema destra.

Noi proviamo a risvegliarlo dalla sua tomba del cimitero monumentale di San Michele a Venezia e pubblichiamo una lettera mai scritta.

 

Sono stato condannato a essere pazzo e ho accettato il verdetto dei vincitori. Sono rimasto silente e muto fino alla mia morte a Venezia nel lontano novembre del 1972.

Ora sento il bisogno di interrompere il mio consapevole oblio con queste brevi righe. Non voglio essere l’icona di nessuno, non riconosco chi mi richiama dal mio silenzio.

Avrei potuto difendermi dalle accuse di tradimento, richiamare le mie benemerenze pacifiste.

Ho scritto “Hugh Selwyn Mauberley”, ero conscio di essere nato “in un paese semiselvaggio” e in “tempi sbagliati”.

Morirono alcuni, pro patria

Non «dulce», non «it decor»…

Camminarono immersi fino agli occhi dell’inferno,

Credendo alle bugie dei vecchi, e poi senza credere

Tornarono a casa, a casa, a una bugia,

A casa, a molti inganni,

A casa, a vecchie bugie e a nuova infamia

E tutto questo «per una vecchia cagna sdentata, per una civiltà rabberciata»!

Le scrissi nel 1920 in disprezzo della guerra mondiale e delle sue stragi, nel rispetto dei suoi defunti, in modo sarcastico per i suoi approfittatori.

Nessuno le ricorda in compenso sono ricordato per la mia scelta di chi fra la democrazia calante e il comunismo nascente, si schierò per la terza via: quella fascista. Lo rivendico, era lo sbocco naturale del mio volontarismo aristocratico fondato sui concetti di ordine, gerarchia e autorità.

Questi sono i capi di accusa portati, dai miei carcerieri, a mio carico per provare la mia follia.

Ma ora, non lo feci al tempo non ho simpatia per i pentiti, ricordo i tanti “amici” che condividevano la mia demenza. Eliot che non nascondeva le sue simpatie per il fascismo.

L’elenco sarebbe lungo: Yeats, Wyndham, Kipling, Lewis, Chesterton, Campobello. Belloc scrisse dopo aver incontrato Mussolini “ha capito perfettamente che il Parlamento da noi non è più una cosa seria”.

Shaw loda “l’ispirata precisione” con cui il capo del fascismo “accusa la libertà di essere un cadavere putrefatto”.

Wells afferma che “Mussolini ha lasciato il suo segno nella storia”. Conrad, poco prima di morire, loda “il meravigioso esempio di vitalità dato dall’Italia”, naturalmente fascista, e conclude le sue lettere con un “A tutti gli amici americani – Saluti! Con il braccio destro teso, a’ la fascisti”.

David Herbet Lawrence è accusato da Russel di essere addirittura prefascita; l’altro Lawrence, quello d’Arabia, muore mentre si prepara ad un incontro con Hitler.

Potrei continuare a lungo. Mi fermo, solo io ho scontato, per mia scelta, tredici anni di manicomio criminale. Perché sono rimasto fedele al mio motto: “Se un uomo non è disposto ad affrontare qualche rischio per le sue opinioni, o le sue opinioni non valgono niente, o non vale niente lui”.

A Pisa, all’American Disciplinary Centre, chiuso in una gabbia sotto il sole e la pioggia ho trascorso quasi un mese della mia vita.

Nel silenzio più assoluto e nell’oblio voglio tornare prima di ricordare a tutti che: “Guai a coloro che conquistano con gli eserciti/la cui potenza è l’unico diritto”.

Uncle Ez