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Pinocchio: un’idea pazza e stupenda

Pinocchio
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Pinocchio: un’idea pazza e stupenda


Attraversare le pagine del “Diario” di Sigfrido Bartolini intitolato Una disperata felicità per ricostruire la storia del Pinocchio da lui illustrato con 309 xilografie in bianco e nero e colori, in occasione del centenario della pubblicazione del capolavoro collodiano, significa accompagnare l’artista attraverso la documentazione di un lavoro protrattosi per oltre dodici anni.                                  

A dispetto dell’ampio lasso di tempo, le note direttamente riferibili al “Pinocchio” nella prima fase del lavoro sono poche. Tutto sembra cominciare con quei grilli che gli furono regalati in occasione della fiorentina festa del Calendimaggio alle Cascine a Firenze, divenuti i primi soggetti che egli schizzò su un album destinato a diventare una sorta di controcanto per immagini del diario di questo decennio. In esso l’artista fermerà, in disegni a matita, a penna o a piccoli acquerelli, tutti quei soggetti colti dal vero che richiamavano quanto, per Sigfrido Bartolini, era assimilabile al Collodi che egli voleva rappresentare graficamente: «Vorrei fare il Pinocchio che tutti conosciamo, ma ambientato nella mia Toscana, nel mio paesaggio, che è poi il suo».                                                        

Il richiamo alla Toscana non vuole essere il confinamento entro un limite geografico della fiaba collodiana in onore alla sua origine, e neppure un recupero di gusto archeologico, ma piuttosto l’estensione della poetica che Bartolini esprime in pittura, la sua applicazione al lavoro d’illustrazione che egli interpreta in maniera personale e originale.

un'idea pazza

                                                                           

Nel lavoro pittorico l’artista elegge a soggetti privilegiati vecchi casolari abbandonati della campagna toscana, trasformandoli in modernissime fortezze mitiche, essenziali nelle forme fino alla trasfigurazione quasi astratta; epiche dimore di un’umanità che ancora possedeva la chiave per vivere in magnifica sintonia con la natura adeguandosi ai ritmi del tempo e delle stagioni. Questi soggetti perdono così la collocazione strettamente localistica per assurgere a simboli senza tempo e senza luogo, ma comunque agganciati ad un archetipo che l’artista ha individuato nella sua terra d’origine.        L’elaborazione artistica di Sigfrido Bartolini partecipa di tradizione e modernità richiamando la famosa esortazione del poeta André Chénier: «sur des pensers nouveau faisons des vers antiques»; nello stesso modo per illustrare “Pinocchio” si dedica alla costante minuziosa raccolta di soggetti capaci di partecipare della tradizione e proiettarsi nella modernità.                                                                  

Il romanzo collodiano impone all’artista il confronto con un’opera letteraria densa di simboli, significati, richiami filosofici e valori tradizionali. Perciò nel decennio ’70-’80 il diario dà conto di una intensa preparazione che travalica il mero esercizio grafico: letture e riflessioni che contribuiranno in vario modo alla perspicuità del risultato finale.                                                                  “Pinocchio” è una grandiosa fiaba senza tempo, magnifico simbolo di valori morali, civili, religiosi, dimora dei miti naturali, rappresentazione di quella dimensione epica che, come scrive Tolkien a proposito delle fiabe, «[…] scendendo per li rami sarebbero divenute racconti popolari, marchen, storie di fate, novelle infantili». La rappresentazione iconica della narrazione collodiana non può prescindere, per Sigfrido Bartolini, dalla sua natura di genere secondo l’interpretazione che, appunto della fiaba e del suo intimo rapporto con il mito e l’epica, ne fanno Tolkien e in seguito Eliade.                                                                                                                                                                 Il biennio 1976-1977 rappresenta un momento cruciale nel decennio di cui stiamo parlando, sia per l’improvviso e irrimediabile acutizzarsi dell’artrite reumatoide che lo affligge da tanti anni; sia per l’intenso lavoro per il completamento delle xilografie con le quali illustra il testo di Bernardo Di Clairvaux dedicato ai Templari, che lo induce a indagare nel mito e nella storia del medioevo. Non è un caso perciò che Sigfrido Bartolini legga in questi anni proprio il Signore degli anelli di Tolkien appena pubblicato in Italia, Mircea Eliade, nonché  l’Autunno del medioevo di Huizinga. Tali letture – alle quali si aggiungono (fra quelle citate nel Diario di questi anni) i libri della collana Rusconi dedicata alla storia degli indiani d’America (dei quali il primo fu il celebre Cavallo Pazzo di Mary Sandoz uscito in Italia nel 1971) e la biografia di Nietzsche scritta da Daniel Halevy – concorrono a creare quell’humus culturale e filosofico di cui si nutrirà l’estetica dell’artista al momento del difficile confronto con la fiaba collodiana.          

Pinocchio illustrato da Bartolini
Pinocchio illustrato da Bartolini

                                                                                                    

Illustrare Pinocchio, infatti, non vuol essere, nell’intento di Sigfrido Bartolini, un lavoro di semplice rappresentazione per immagini della fabula, ma piuttosto una sorta di commento iconografico dell’anima del racconto. La storia del burattino di legno che si trasformerà in bambino solo dopo una serie di prove iniziatiche destinate a forgiarne l’umanità, si assimila a quelle dei giovani indiani d’America che entravano nella virilità passando attraverso una serie di riti di iniziazione tradizionali, così Pinocchio bambino viene raffigurato con l’arco e le frecce che rappresentano sia il gioco infantile che l’esercizio delle armi nobili.  Nello stesso modo il Signore degli Anelli offre lo spunto per l’evocazione dell’agnizione della regalità attraverso la pratica della medicina naturale, così nella tavola fuori testo, nel capitolo sulla malattia e la guarigione del burattino –resuscitato dall’impiccagione grazie all’intervento della fatina– troviamo in primo piano bottiglie e contenitori di  medicinali sui quali compaiono i nomi di Athelas, Lembas e Gala Thilion. Athelas è la foglia che nelle mani di Granpasso cura Frodo da un’arma altrimenti mortale dei cavalieri oscuri, e che, secondo la tradizione degli antichi re taumaturghi, rivela il lignaggio del ramingo rivelando Aragorn. Lembas è il nome del “pan di via” donato ai membri della Compagnia dell’Anello dalla Dama degli elfi Galadriel e infine Gala Thilion è l’albero bianco della rinascita di Tirion.                                                      

Risulta dunque chiaro come nelle illustrazioni di Sigfrido Bartolini quel richiamo alla Toscana non vuol essere un limite locale, ma un punto di partenza, l’origine narrativa dalla radice di una terra che l’ha generata, per proiettare la fiaba oltre il tempo, nell’iperuranio del racconto fantastico che nasce dall’epica tradizionale ricongiungendosi con tutta la grande tradizione europea; come testimonia  il ricco repertorio di immagini che evocano antiche leggende popolari, ma anche  luoghi estranei alla Toscana che suggeriscono atmosfere mitico-fiabesche, colte e rappresentate dalle xilografie di Sigfrido Bartolini per il “suo” Pinocchio.