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Felicità, amore e comprensione

spirale
Ph. Simona Cavucci / spirale

La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è legge italiana dal 1991 (l. 27 maggio 1991 n. 176Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989”) e dovrebbe essere anche regola cui attenersi in qualsiasi scelta per la vita dei figli (e non per la propria vita): “interesse superiore del fanciullo”, “ascolto”, “sviluppo”, … Quelle indicate nella Convenzione non sono mere parole, ma insostituibili tasselli di vita.

Si potrebbe ri-cominciare a dare senso a una delle asserzioni più significative del Preambolo: “Riconosciuto che il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”.

Felicità, amore e comprensione: parole inflazionate ma, al tempo stesso, svuotate di senso e consenso proprio in famiglia. 

Il giornalista Antonio Polito scrive sulla felicità: “I genitori non si preoccupano tanto della felicità dei figli quanto di lasciarli in pace, che vivano in pace”. La felicità è un retroterra da coltivare e concimare in famiglia e non una chimera cui aspirare o cose materiali con cui appagarsi. Ridere e piangere come un bambino, ridere e piangere con un bambino: il massimo che ci sia per il massimo della vita! Questa la semplicità della felicità da trasmettere.

“La dimensione relazionale e affettiva è indispensabile per la felicità, proprio perché appartiene alla categoria del gratuito, del «senza prezzo» (P. Ricoeur): quando tende a commercializzarsi (come nella sessualità ridotta a merce), si perverte, diventando motivo di malessere” (lo studioso gesuita Giovanni Cucci). I bambini vanno educati alla gratuità circondandoli di “felicità, amore e comprensione” e non si deve promettere, dare o portare loro sempre qualcosa di materiale per sentirsi dire, poi, “Cos’hai per me? Cosa mi hai comprato?” e vedere sui loro volti l’insoddisfazione o la contrarietà se si è a mani vuote. In tal modo i bambini sarebbero indotti a mercificare o reificare tutto e tutti.

“Un amore che se è davvero tale non può non generare – così la sociologa Chiara Giaccardi –: oltre l’io/tu, oltre il nido piccolo, oltre il privato. L’amore si moltiplica amando, impegnandosi insieme per la bellezza e la giustizia, dentro e fuori la famiglia. Senza temere che il mondo ci contagi, ma cercando piuttosto di contagiarlo con la gioia che, se ci lasciamo afferrare dalla forza dell’amore che ci salva, sapremo irradiare”. Facendo giochi linguistici con il verbo “abbandonare” si ricava: abbonare (rendere buono o migliore), abbondare, andare, badare, donare, dare. Tutto questo è amare quando è necessario “abbandonare” l’altro, soprattutto un figlio, alla sua vita e continuare ad amarlo attraverso la sua vita, senza causare ferite abbandoniche. Abbandonare per far sentire pure la mancanza, per stimolare la ricerca, per suscitare emozioni, per far conoscere il vuoto e il contrario della pienezza, per far provare il senso della frustrazione e promuovere la resilienza. Amare la famiglia e amare in famiglia significa amare la vita in tutti i suoi tempi, passato (quello che è stato), presente (quello che è), futuro (quello che diverrà e non si sa). Bisogna perciò coniugare e declinare quotidianamente e adeguatamente “felicità, amore e comprensione”.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni evidenzia un atteggiamento generalizzato: “Nessuno che spieghi che per dire i tuoi sentimenti non bastano gli emoticon (le faccine) o scrivere tutto in maiuscolo. Nessuno che insegni che se non vedi in faccia la persona a cui stai parlando, e non senti la sua voce, è come se parlassi a un fantasma e quindi non ti preoccupi più di tanto se può restarci male quando gli dici cose sgradevoli”. L’amore non è virtuale, ma è persone che danno e si fanno amore, è linguaggio, comunicazione, codice di vita.

Il saggista Gerolamo Fazzini osserva: “I giovani non hanno perso nulla di quell’«istinto» verso l’amore che connota la nostra specie. E che si dona sempre come un’esperienza di eterno in mezzo all’esistenza finita e contingente, anzi che ne costituisce il motore e lo scopo ultimo. Essendo però l’amore anche lavoro, fatica, cammino, i nostri giovani sono maggiormente sfidati, rispetto alle generazioni precedenti, dalle condizioni culturali e socio-economiche in cui debbono realizzare il proprio futuro e quindi i loro progetti matrimoniali e genitoriali”. I giovani, per spingersi verso l’amore e non respingerlo, devono crescere sospinti nell’amore e spinti all’amore, avere esempi di “eros”, pulsione di vita, e non di “thanatos”, pulsione di morte.

Lo psicoterapeuta Alberto Pellai ammonisce: “I litigi in famiglia sono tremendi. Seminano odio e separazione. Lasciano i bambini in balia delle emozioni negative che gli adulti impongono loro. E alla fine generano distanze incolmabili. Ci si ritrova nemici, senza più potersi sostenere nelle difficoltà, confortare di fronte alle fatiche della vita. I motivi? Quasi sempre si tratta di questioni di denaro, di possesso di case e terreni, spesso presenti in testamenti ed eredità, in funzione dei quali nessuno guarda più il proprio fratello negli occhi e tutti litigano con tutti. I nostri figli ci osservano e giorno dopo giorno imparano da noi e dal nostro esempio”.

Anche per l’amore è e rimane fondamentale l’educazione (articolo 30 comma 1 Cost., articoli 147 e 315 bis comma 1 cod. civ.) con la sua “arte della maieutica”, perché l’educazione è una forma d’amore per l’altro, per la vita. Il pedagogista Daniele Novara consiglia: “Se proprio occorre, l’URLATA una tantum può essere la classica eccezione che conferma la regola e che crea un’attenzione particolare nei piccoli. Ma se è quotidiana, oltre che risultare inefficace, non fa altro che indebolire il rapporto educativo, che è soprattutto un rapporto di fiducia reciproca, tra figli e genitori. I bambini sono immaturi per natura. Arrabbiarsi perché hanno comportamenti acerbi risulta davvero inutile e dannoso”. “Felicità”, fecondità, “amore”, ardore, “comprensione”, prendere insieme: uno stile di vita, la quotidianità della vita. I genitori non devono concepire i figli solo una volta, ma di volta in volta, ogni volta.

Secondo la giornalista Renata Maderna: “La retorica dell’amorevolezza che sbocci con la nascita come un fiore delicato serve solo alle immagini sdolcinate della pubblicità, ma non aiuta certo a far vivere la famiglia dove gli equilibri sono stati inevitabilmente scossi dall’arrivo del magnifico neonato. Che è qualcosa di grandioso, ma non per questo è meno pesante, preoccupante e anche destabilizzante”. L’equilibrio di ogni famiglia è un equilibrio omeostatico che va continuamente ricercato e costruito. Bisogna tener conto di questo soprattutto nelle coppie vacillanti che concepiscono figli ritenendoli elementi di saldamento della coppia. I figli sono fiori (parola che etimologicamente deriva da una radice indoeuropea col significato di “traboccare” e i figli sono fiori perché traboccano di vita, ricordando che ogni fiore ha un linguaggio) e per crescere e sbocciare hanno bisogno di un prato verdeggiante, aria e acqua piovana e non di cespugli soffocanti e inquinamento: hanno bisogno, come tutti e ciascun membro della singola famiglia e della famiglia umana, di amore, felicità e comprensione.