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Fine vita: il caso Trentini e la CEDU

Marina di Ravenna
Ph. Alessandro Saggio / Marina di Ravenna

Abstract

La recente sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Genova nel caso Trentini si inserisce nel più ampio dibattitto sul fine vita in Italia. Il commento esamina la pronuncia alla luce dei principi CEDU in materia di fine vita.

The judgment recently issued by the Genoa Assize Court of Appeal in the Trentini case nurtures the Italian debate on end-of-life issues. The contribution examines the judgment in the light of the ECHR principles on end of life.

 

Fine vita, caso Trentini e CEDU

Il tema del fine vita sta assumendo sempre più importanza nel dibattito pubblico italiano. La raccolta firme per l’indizione di un referendum popolare per l’abrogazione parziale dell’articolo 579 c.p. sta ottenendo risultati notevoli, con più di 100.000 firme già raccolte ad oggi.

In questo contesto non può non suscitare interesse la sentenza con cui la Corte d’Assise d’Appello di Genova ha confermato il giudizio assolutorio reso in primo grado nei confronti degli imputati Marco Cappato e Mina Welby (all’anagrafe, Wihelmine Schett) per aver materialmente agevolato il suicidio di Davide Trentini in una clinica svizzera.

Come noto, l’intero processo penale si era incentrato sull’applicabilità o meno dei criteri introdotti dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 242/2019, ovvero delle condizioni al ricorrere delle quali l’agevolazione materiale al suicidio di una persona non determina responsabilità penale ai sensi dell’articolo 580 c.p.

Le motivazioni della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Genova sono state da poco depositate (sono disponibili a questo link) ed offrono spunti di riflessione alla luce dei principi CEDU sul fine vita.

 

Fine vita: quali limiti nella CEDU?

 

Chi scrive ha già avuto modo di chiarire che la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) fornisce indicazioni sul fine vita che l’ordinamento italiano non può permettersi di ignorare.

L’articolo 8 CEDU tutela, infatti, il “diritto a decidere come e quando morire”. Pertanto – anche se il nostro ordinamento non disciplina unitariamente il fine vita, e la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale non parla di un “diritto” a ottenere l’aiuto al suicidio – il diritto a decidere come e quando morire è parte integrante del nostro ordinamento, in quanto imposto dalla CEDU.

Come più ampiamente descritto al contributo pubblicato a questo link, il diritto a disporre del proprio fine vita nel sistema CEDU può subire limitazioni: tuttavia, è necessario che esse rispettino i requisiti di sussistenza di una base legale, scopo legittimo, e relazione di proporzionalità tra limitazione e scopo legittimo.

Il requisito della base legale nel sistema CEDU impone che una limitazione al diritto di decidere come e quando morire sia contemplata da una norma che - anche se di origine giurisprudenziale - rispetti i requisiti qualitativi di accessibilità e prevedibilità di applicazione, consentendo così al consociato di orientare la propria condotta.

 

Fine vita: ordinamento italiano e CEDU

L’ordinamento italiano non disciplina unitariamente il fine vita. Quando una persona voglia esercitare il “diritto a decidere come e quando morire”, si troverà confrontata con tre tipi di limiti:

  1. L’impossibilità di ottenere che un terzo ponga lecitamente fine alla propria vita (su questo limite vorrebbe incidere il menzionato referendum popolare per l’abrogazione parziale dell’articolo 579 c.p.);
  2. I limiti imposti dalla legge 219/2017 al rifiuto/sospensione dei trattamenti vitali;
  3. I limiti, imposti dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 242/2019, entro i quali si può legittimamente ottenere assistenza al suicidio.

I limiti che interessano in questa sede sono quelli del punto 3, che ricomprendono il limite della “dipendenza da trattamenti di sostegno vitale”. Tale limite è potenzialmente problematico alla luce della disciplina CEDU del fine vita.

Infatti, come autorevolmente sottolineato , questo requisito è mutuato dal contesto della sospensione dei trattamenti (limiti di cui al punto 2), ed il suo uso nel contesto dell’assistenza al suicidio appare irragionevole. Tale irragionevolezza rende il requisito facile fonte di divergenze interpretative. Non è dunque escluso - ed anzi, è probabile – che tale limite si presti a interpretazioni divergenti da parte delle corti che si pronunceranno in futuro sul fine vita.

Se in materia di fine vita si sviluppassero interpretazioni giurisprudenziali difformi circa la ricorrenza del requisito di “dipendenza da trattamenti di sostengo vitale”, ciò determinerebbe potenziali violazioni dell’art. 8 CEDU: verrebbe, infatti, a mancare, il requisito della “base legale”, ovvero un quadro normativo chiaro che consenta ai consociati di conoscere l’estensione del proprio diritto a decidere come e quando morire.

 

Fine vita e CEDU: le conclusioni della Corte d’Assiste d’Appello di Genova

La sentenza oggetto del presente commento offre almeno due spunti di riflessione in materia di CEDU e fine vita.

In primis, nella motivazione si legge che Davide Trentini “aveva il diritto (…) di avviarsi alla morte” e “il diritto di rinunciare a vivere ancor prima di affrontare la brutale agonia che la sua gravissima malattia gli avrebbe imposto”. La Corte d’Assise Appello di Genova riconosce dunque il fine vita come diritto, in conformità a quanto imposto dall’articolo 8 CEDU.

In secondo luogo, la sentenza dimostra quanto sia elevato il rischio di divergenze interpretative circa la ricorrenza del requisito della “dipendenza da trattamenti di sostegno vitale”, e quindi il potenziale contrasto con il requisito CEDU della “base legale” accessibile e prevedibile.

Nel provvedimento si rammenta, infatti, che uno dei principali motivi d’appello della Procura era che tale requisito non sussistesse nel caso in questione, perché Davide Trentini non era “attaccato a una macchina”.

La Corte d’Assise d’Appello di Genova conclude che nella “dipendenza da trattamenti di sostegno vitale” rientra anche la dipendenza da un trattamento farmacologico “essenziale per la sopravvivenza”, essendo emersa in primo grado la “certezza che Trentini assumeva farmaci di significato vitale, senza i quali non sarebbe sopravvissuto”.

Tale conclusione – con la quale chi scrive concorda – non era tuttavia scontata. Non si può infatti dimenticare che diversi giudicanti possono avere diverse sensibilità su un tema sensibile come quello del fine vita, a maggior ragione in collegi “misti” come quelli delle corti d’assise. Inoltre, sono davvero numerosi e molteplici i casi che, pur ponendo problemi di fine vita ed essendo meritevoli di tutela, non combaciano né con quello di Fabiano Antoniani né con quello di Davide Trentini.

Lasciare completamente alla giurisprudenza il compito di stabilire i limiti del diritto a decidere come e quando morire porta con sé un altissimo rischio di violazione dell’articolo 8 CEDU, e dei parametri che esso impone in materia di fine vita.

Un intervento legislativo sul fine vita, frutto di adeguato dibattito politico e con la società civile (che il referendum popolare per l’abrogazione parziale dell’articolo 579 c.p. spera di stimolare), è dunque auspicabile alla luce degli impegni assunti dal nostro Stato con l’adesione alla CEDU.

 

Scarica qui la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Genova nel caso Trentini.