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Funzionarismo

Teodoro Klitsche de la Grange
Atti amministrativi
Atti amministrativi
Funzionarismo

Funzionarismo, Teodoro Klitsche de la Grange

Perché leggere questo libro

L’Italia è senza dubbio uno dei Paesi dove il rapporto tra i cittadini e la burocrazia è più conflittuale. Come noto, il nostro Paese occupa le ultime posizioni delle classifiche internazionali che misurano l’efficienza della pubblica amministrazione. Paradossalmente, però, l’ipertrofia degli apparati statali non accenna a diminuire.

Questo pamphlet, la cui prima lettura non è semplice e può risultare ostica anche ad un pubblico più esperto – non tanto per i contenuti, quanto per la forma che in alcuni punti è un po’ troppo barocca e tende a perdersi in tecnicismi – è consigliato a tutti coloro che intendono approfondire gli aspetti ideologici e sociologici della burocrazia, e desiderano confrontarsi con le riflessioni di alcuni grandi pensatori del passato che hanno analizzato difetti e ambizioni dei funzionari - o come li definitiva Gianfranco Miglio, “l’aiutantato”.

Ne emerge un quadro dove le tinte fosche prevalgono sugli aspetti positivi, denotando la necessità di ripensare molti dei meccanismi di controllo e di giudizio talvolta previsti in Costituzione, ma male applicati.

 

Punti chiave

  • Il termine “funzionarismo” è caduto in disuso, ma veniva utilizzato da molti illustri studiosi del ‘900 
  • Salandra, Fortunato, Gramsci e Sturzo criticarono il funzionarismo in quanto sistema fondato sul potere della burocrazia 
  • Oggi la Public Choice ha dimostrato che il comportamento dei funzionari pubblici tende a massimizzare il proprio interesse e non quello generale
  • La concezione burocratica dello Stato è in contraddizione con la concezione dello Stato borghese liberal-democratico
  • Chi esercita il potere ha bisogno non solo del consenso dei governati, ma soprattutto di quello dei funzionari che mettono in pratica l’azione di governo
  • L’eccesso di burocratizzazione portò alla rovina l’impero romano
  • La burocrazia, come classe servente del potere politico, non può generare una propria legittimità, una propria autorità e una propria ideologia
  • La classe politica tuttavia protegge e premia con innumerevoli privilegi la classe dei propri funzionari  
  • Nei governi parlamentari la burocrazia è più libera e meno controllata che nei governi assoluti
  • I funzionari tendono a costituirsi come corpo autonomo dal potere politico
  • La burocrazia non solo applica il diritto, ma di fatto lo elabora
  • È necessario non abbassare mai la guardia se si vuole tenere a guinzaglio la burocrazia

 

Riassunto

I critici del funzionarismo

Il termine “funzionarismo” è caduto progressivamente in disuso. Eppure, nei primi decenni del secolo scorso, quattro intellettuali di spicco – il giurista Antonio Salandra, l’economista Giustino Fortunato, il pensatore politico Antonio Gramsci, il sacerdote don Luigi Sturzo – lo impiegavano nelle proprie opere. In generale la funzionarizzazione veniva vista come un processo di depoliticizzazione, nel senso di degenerazione e decadenza della politica. Per Salandra il funzionarismo indicava l’incremento del ruolo e del potere della burocrazia, nonché del numero del personale addetto, il quale ambiva persino a sostituire la politica.

Fortunato, invece, osservava il nesso fra proletariato intellettuale e funzionarismo, da cui conseguiva una proliferazione d’impieghi pubblici di dubbia utilità.

Gramsci invece usava il sostantivo “funzionarismo” per indicare la prevalenza all’interno del sindacato e del partito socialista del potere dei funzionari, in antitesi con lo spirito rivoluzionario. A causa del funzionarismo, secondo il teorico comunista, “il partito diventa organismo burocratico senza animo e senza volontà”, essendo la burocrazia “la forza consuetudinaria e conservatrice più pericolosa”.

Altrettanto rilevante è la riflessione di don Sturzo, il quale denunciava le storture derivanti dall’“anello di congiunzione della partitocrazia con la burocrazia politicante e con il funzionarismo degli enti statali e parastatali”. La democrazia, secondo il sacerdote siciliano, “deve garantirsi da una burocrazia invadente, perché il dominio della burocrazia tende al totalitarismo e anticipa la dittatura”. 

Anche dopo le rivoluzioni francese e americana, molti politici, scienziati della politica, giuristi, economisti e sociologi hanno sviluppato innumerevoli riflessioni sul rapporto, non di rado contrastante, tra interesse generale e interesse del funzionario. Il dibattito è proseguito sino all’epoca contemporanea grazie ai contributi della Scuola delle Scelte Pubbliche (Public Choice), i cui studiosi hanno analizzato i comportamenti degli operatori pubblici, tra i quali la burocrazia, con gli strumenti dell’economia. Emerge che tali operatori spesso si comportano in modo tale da massimizzare il proprio interesse e non quello generale. Ne consegue un aumento del potere dei pubblici funzionari, che si declina in una crescita inesorabile degli organici, degli uffici e delle spese pubbliche al di là delle effettive necessità.

 

Due visioni del mondo: quella borghese e quella burocratica

Non c’è da stupirsi dinanzi a queste considerazioni: da sempre, infatti, il pensiero dei politici che edificarono lo Stato borghese era permeato da una percezione negativa della burocrazia, in quanto portatrice di un proprio interesse particolare che influenzava negativamente il perseguimento dell’interesse generale. Per dirla con le parole di Max Weber, queste diverse “rappresentazioni del mondo” hanno generato due “tipi ideali” di concezioni dello Stato, a seconda che esso sia concepito dal punto di vista borghese o dal punto di vista burocratico.

Il “tipo ideale” dello Stato borghese liberal-democratico si basa su questi punti: 1) la garanzia dei diritti fondamentali; 2) la separazione dei poteri pubblici, secondo il noto schema di Montesquieu; 3) la natura pubblica del potere di governo; 4) la partecipazione dei cittadini ai poteri pubblici; 5) l’accesso alle cariche pubbliche consentito a qualsiasi cittadino; 6) l’elezione del vertice degli enti e organismi pubblici, oppure la loro designazione da parte di organi responsabili nei confronti del corpo elettorale, al fine di controllare e limitare il potere della burocrazia.

Al contrario, se proviamo a ricostruire il “tipo ideale” di uno Stato secondo l’impostazione burocratica, otteniamo i seguenti punti: 1) poiché la competenza dei burocrati è limitata dalle funzioni dell’ufficio, sarà perseguito l’interesse particolare affidato all’ufficio a scapito dell’interesse generale; 2) i diritti dei privati sono considerati d’impaccio e di fastidio, se il funzionario vi si imbatte nel tutelare l’interesse pubblico; 3) allo stesso modo, i controlli giudiziari, sociali e politici sono considerati d’impaccio all’assolvimento del compito dei burocrati; 4) anche l’essere chiamato a rispondere del proprio operato è d’ostacolo all’esercizio della funzione; 5) lo Stato moderno, che è specificatamente uno Stato legislativo vincolato dalla legge, ha il pregio di coprire o comunque di limitare la responsabilità del funzionario; 6) l’accesso alla funzione avviene per cooptazione e solo perché si è in possesso di specifici requisiti. 

Giustino Fortunato aggiunse anche un altro “tipo ideale” di Stato secondo la visione degli interessi privati del burocrate: lo Stato come immensa macchina che usa tutta l’energia consumata per far muovere i propri ingranaggi, e cioè a rendimento zero.

Più si avvicina a tale rendimento, tanto più tale Stato è apprezzato dai burocrati (molto meno dai cittadini). Anche nelle riflessioni di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto si affronta il problema del conflitto tra interessi privati dei governati e dei governanti: Mosca, ad esempio, rileva “la naturale tendenza che hanno coloro che stanno a capo della gerarchia sociale ad abusare dei loro poteri”. 

 

Lo strapotere burocratico 

Si deve proprio allo Stato moderno, e ancor di più allo Stato borghese, la previsione dell’ordinamento di tutta una serie di cautele e di contromisure (garanzie politiche e giuridiche, riesami giudiziari e amministrativi, controlli sugli atti, incompatibilità, eccetera) atte a regolare la tensione dialettica tra gli interessi della classe di governo, dell’apparato burocratico e dei governati.

In altri ordinamenti politici tali norme mancano del tutto o sono incomplete: ad esempio, nel Reich nazionalsocialista venne abolita completamente la giustizia amministrativa. Ancora, nelle defunte “democrazie popolari” i giudici erano nominati dagli organi politici e non v’era alcuna distinzione dei poteri.

Mosca e Pareto hanno altresì osservato che per governare è necessario sia il consenso di chi è governato, sia quello di coloro che attuano i comandi di chi è titolare del potere. Così, l’insieme di coloro che eseguono i comandi si ritaglia un ambito di dominio, che i due studiosi – ma alla medesima conclusione arriva anche Santi Romano – considerano la base della classe politica e un elemento necessario dello Stato.

Chi esercita il potere ha bisogno sia del consenso dei governati che di quello dell’organizzazione di governo, cioè di coloro che Gianfranco Miglio chiama gli “aiutanti”

È opportuno ricordare, in tal senso, la vicenda dell’imperatore romano Settimio Severo, che per accattivarsi il consenso dei soldati ne aumentò la retribuzione, tanto che fu costretto a diminuire il saggio di metallo prezioso delle monete. Ciò, inevitabilmente, provocò l’inflazione e lo scontento della maggior parte dei sudditi. Caracalla seguì le orme del padre, ma per comperare il favore dei soldati servirono somme sempre più grandi e il fondo accumulato da Settimio venne presto dilapidato.

Furono così emanati provvedimenti straordinari che prevedevano il sistematico drenaggio della ricchezza delle classi abbienti, tanto che le relazioni tra Stato e contribuenti, scrive lo storico Dione, “assumevano l’aspetto di una rapina più o meno metodica”.

Il sistema di governo si rivelò economicamente disastroso per lo Stato, ma lucroso per i funzionari imperiali e per gli aiutanti. I sudditi romani finirono col scappare nelle zone occupate dai Germani per sfuggire alla tassazione dei solerti funzionari imperiali.

Il potere burocratico, e il suo arricchimento smisurato, ha dunque concorso in modo decisivo alla decadenza dell’Impero romano d’Occidente, contribuendone alla delegittimazione.

 

Funzionarismo e legittimità

A questo punto sorge una domanda: la burocrazia stessa può produrre una propria legittimità e avere autorità? Carattere comune di ogni concezione della legittimità è che essa, nel rapporto tra cittadini e istituzione politica, s’indirizzi al vertice di quest’ultima.

Pertanto, il carattere “servente” dell’organizzazione burocratica esclude che questa possa essere considerata di per sé legittima, in quanto il potere che essa esercita è indubbiamente subordinato a quello apicale. Inoltre il funzionarismo non può dar luogo a una sintesi politica allo stesso modo del liberalismo o del socialismo: le ideologie politiche o religiose legittimano il potere perché fondate su rappresentazioni generali del mondo e della società, non su un modo di funzionamento e organizzazione dei burocrati.

Il carattere servente, nonché il suo “settorialismo”, che contrasta col carattere “generale” del potere, impedisce inoltre di concludere che la burocrazia abbia in sé autorità. Juan Donoso Cortés osservò un interessante rapporto tra burocrazia e autorità: l’espandersi della prima è anche il prodotto di un’autorità scemante, che viene compensata dal potere dall’apparato amministrativo come fattore di coesione socio-politica.

Tuttavia non si deve pensare che il potere burocratico possa supplire in toto a quello supremo. La burocrazia, come classe di potere statale, è sostenuta dall’alto, dal potere che ha autorità, che è a sua volta legittimato dal basso, cioè dal popolo. Se non è sostenuta dall’uno e tollerata dall’altro, non può restare a mezz’aria, da sola.

 

La burocrazia intoccabile

Anche se non è in grado di produrre una propria legittimità e avere autorità, la burocrazia può comunque contare su una vasta gamma di garanzie istituzionali. A differenza del privato che intraprende, l’aiutantato burocratico gode di un trattamento differenziato della responsabilità, che si aggiunge ad una percentuale di rischio praticamente inesistente. Il privato risponde con tutto il proprio patrimonio per gli atti che compie: tale responsabilità non esiste o è estremamente ridotta riguardo al funzionario, il quale può contare anche sulla garanzia del reddito.

La classe politica protegge il proprio aiutantato, erogandogli rendite di posizione, retribuzioni monetarie e anche non monetarie. Inoltre il legislatore ha circondato la burocrazia di garanzie che si declinano mediante deroghe al diritto comune, che differenziano il burocrate dal normale dipendente di un datore di lavoro privato.

Le garanzie istituzionali non si limitano a costituire diritti soggettivi, ma si estendono anche a deroghe da obblighi, doveri e soggezioni. Ciò è la conseguenza non solo di disposizioni legislative ma talvolta di prassi “fiacche” consolidate che servono a salvaguardare i burocrati. Ad esempio, l’articolo 28 della Costituzione prevede la responsabilità diretta dei funzionari pubblici nei confronti dei danneggiati per “atti compiuti in violazione dei diritti”, ma di fatto è assai poco applicato, rendendo tale responsabilità puramente teorica.

La scarsa applicazione del precetto costituzionale è da ricercarsi nella preferenza per la responsabilità disciplinare, che affida la decisione di punire all’organizzazione gerarchia interna all’apparato amministrativo. L’affidarsi ad un giudice terzo salterebbe il rapporto di comando-obbedienza interno alle strutture.

Infatti l’ordinamento gerarchico dell’amministrazione burocratica – in virtù del “controllo sociale” che da sempre l’aiutantato assicura – deve essere turbato il meno possibile: da qui la preferenza per i controlli gerarchici e la limitazione di quelli giudiziari. Ciò ha condotto ad un’interpretazione “funzionariale” di alcuni principi dello Stato borghese, in particolare per ciò che concerne la distinzione dei poteri e la tutela dei diritti fondamentali.

Nei Paesi anglosassoni la distinzione dei poteri si traduce in un reciproco controllo, perché all’azione di un potere corrisponde il potere di veto di un altro. Invece in altri Paesi come Italia e Francia i poteri si sono mantenuti rigidamente separati, in modo da impedire qualsiasi intervento di uno nei confronti dell’altro. Quanto alla tutela dei diritti fondamentali, il loro depotenziamento è avvenuto in modo più sottile: limitando i poteri del giudice, i tipi di condanna ammissibili contro l’amministrazione, le azioni esercitabili, nonché attraverso la stessa responsabilità personale ridotta dei funzionari.

 

Come la burocrazia si rende autonoma dalla politica

Santangelo Spoto arrivò a scrivere, nelle sue opere, che la burocrazia come “potere proprio degli uffici” è “un male grave per la giustizia e la rettitudine amministrativa, e compromette la vita del governo parlamentare”.

Spoto riteneva che la burocrazia è più libera e meno controllata proprio nei governi parlamentari dove vige il potere impersonale della legge e del Parlamento. Senza un sovrano concreto, l’aiutantato gode di un potere superiore, dato dall’interpretazione e applicazione della legge impersonale.

Nello Stato assoluto, al contrario, vige il potere personale del re sulla burocrazia, e dunque l’unicità del potere assicura la rigida applicazione delle volontà del sovrano. 

Il giurista Maurice Hauriou, in Francia, si collocava sulle medesime conclusioni di Spoto, osservando come la burocrazia mancasse del “carattere rappresentativo” e dunque del potere di determinare la volontà della nazione tipico dei politici, ma avesse il potere di eseguirla con un esteso grado di discrezionalità che la dotava così di un potere reale. Non solo: egli riteneva che tutte le istituzioni politiche finissero col decadere e poi degenerare in “socialismo”: termine che, secondo il giurista francese, aveva un significato non propriamente ideologico-politico, ma più istituzionale, collocandosi tra statalismo e funzionarismo.

Indubbiamente professionalità, ordinamento gerarchico, garanzie istituzionali disposte da leggi costituzionali o ordinarie sono tutti elementi che contribuiscono a rafforzare la posizione della burocrazia nei confronti del potere politico e a renderla “autonoma”. Il fattore che più la rafforza è la durata, a differenza delle cariche politiche che hanno una temporaneità limitata che le depotenzia: non a caso spesso si dice che i ministri passano, i direttori generali restano. 

Questo processo di accumulazione di diritti e di privilegi ha avuto il medesimo effetto che ebbero, oltre un millennio fa, le norme sull’ereditarietà dei feudi per l’aristocrazia. Proprio col feudalesimo, infatti, è iniziata l’evoluzione dell’aiutantato da corpo al servizio del principe a soggetto autonomo. I diritti del vassallo erano intoccabili dal signore perché appropriati, ereditabili e spesso trasmissibili; i diritti del funzionario sono meno penetranti, ma sussistono e sono accompagnati da altri vantaggi.

Ma rispetto ai sudditi dello Stato assoluto, è possibile osservare un notevole peggioramento della situazione dei cittadini per ciò che concerne la richiesta di risarcimenti e indennizzi per gli atti errati compiuti dai funzionari. Nello Stato assoluto, a compensare i sudditi dei danni sopportati per le attività dell’amministrazione provvedeva il fisco, vale a dire la cassa del sovrano, che rispondeva risarcendoli delle perdite arrecate.

Il funzionarismo, al contrario, per non compromettere l’immagine dell’amministrazione, ha contribuito a erodere o eliminare la tutela dei diritti dei cittadini, i quali spesso non sono risarciti o lo sono solo sulla carta. Tutto ciò nonostante i costituenti avessero giustamente provveduto ad inserire nella Carta il già citato articolo 28, di fatto svuotato della propria ratio originaria.

 

Funzionarismo e diritto

Come fa notare Max Weber, la burocrazia, in quanto portatrice di propri interessi, tende non solo ad applicare il diritto, ma anche ad elaborarlo. Le leggi saranno dunque attuate nella forma, parzialmente deformata, della visuale burocratica.

Weber delinea, dunque, tali conseguenze: 1) non interessa tanto se e come la legge vada applicata, ma se e come l’ufficio debba applicarla; 2) l’attuazione del diritto si arresta al compimento del dovere d’ufficio, cioè all’atto; 3) l’attività è eseguita nei limiti delle possibilità dell’ufficio, rigidamente determinate e tendenti all’immutabilità; 4) le responsabilità previste per il mancato o errato esercizio sono interpretate restrittivamente, così come i controlli; 5) il modello normativo “ideale” per la burocrazia, soprattutto quella amministrativa, non è la codificazione fondata su una legge chiara, compiuta e durevole. Un certo grado di equivocità, infatti, aumenta il potere dell’interprete e di colui che la applica, il quale può orientarne il senso mediante circolari e direttive.

È necessario, pertanto, non abbassare la guardia ed essere sempre vigili, poiché dietro ogni buona intenzione di pubblicizzazione di beni, attività, facoltà, diritti c’è il potere di un ufficio o di un ente (già esistente o in via di creazione, eventualità sempre più frequente considerata la complessità delle società moderne) che dovrà gestirli. In Italia, quasi ogni cambio di governo ci ha lasciato in eredità enti, direzioni, ispettorati, uffici la cui resistenza all’estinzione è inversamente proporzionale alla loro utilità. La domanda da porsi per il futuro non è “potere burocratico sì o no?”, bensì quali siano i limiti e controlli per contenerlo e “tenerlo al guinzaglio”.

 

Citazioni rilevanti

Il burocrate e il politico

«Analizzando i comportamenti degli operatori pubblici, tra cui la burocrazia, questi si comportano di guisa da massimizzare l’interesse proprio e non quello generale; il perché della crescita inesorabile degli organici, degli uffici e delle spese pubbliche, al di là delle effettive necessità da soddisfare è dovuto, secondo gli studiosi di Public Choice, all’aumento di potere che questo rappresenta per i pubblici funzionari. Il burocrate, al pari del politico, misura la propria capacità d’incidenza e la propria rilevanza sociale attraverso il potere che esercita.» (p.27)

 

Il funzionario “sale” in politica

«L’indipendenza e l’imparzialità devono essere incentivate con un regime rigoroso d’incompatibilità. Cosa che in Italia è poco attuata, comunque in modo poco efficace. La conseguenza è che lungi dal tutelare imparzialità e indipendenza, tale normativa consente al funzionario la possibilità di far carriera, anche in poteri e organi diversi; in particolare di “salire” in politica. Con la conseguenza di essere, ovviamente, condizionati: lungi dal distinguere i poteri, li confonde. Oltretutto, secondo Max Weber (tra gli altri), ad agevolare l’assunzione di incarichi politici è la garanzia del reddito. Nello Stato moderno, uno dei gruppi così “garantiti” (anzi il principale) è proprio quello dei funzionari pubblici, i quali così costituiscono a un tempo il vivaio e la riserva dell’aiutantato non solo burocratico, ma anche e più specificamente politico. E che consente alla burocrazia opportunità d’influenza politica, altrove più difficile.» (pp.112-13)

 

Il funzionarismo

«Il connotato principale del funzionarismo è che esso stesso è una deviazione della burocrazia: una burocrazia che non si riconosce più come potere servente, ma in grado di soppiantare quello sovrano. È un’”ipertrofia dell’ego” burocratico, la macchina che si considera pilota, l’esecutore che si pensa guida. Il vizio essenziale del funzionarismo è insomma quello descritto (e ripetuto più volte) da Max Weber, di credere di poter sostituire la politica, la classe politica e il politico con la burocrazia, come se una comunità umana potesse essere guidata da un potere di per sè “intermedio” (tra vertice e base), da un aiutantato di servizio alla direzione politica e all’istituzione.» (p.117)

 

L'autore

Teodoro Klitsche de la Grange (Roma 1948). Giurista, avvocato, direttore del trimestrale di cultura politica «Behemoth», collabora e ha collaborato a numerose riviste di politica e di diritto, tra cui: «Nuovi studi politici», «Il Consiglio di Stato», «Il Foro amministrativo», «Giustizia civile», «Catholica», «Telos», «Empresas políticas», «Deus Mortalis», «Ciudad de los Césares», «Nouvelle école». Tra le sue opere più recenti si segnala Dove va lo Stato? (2009).

Per Liberilibri ha pubblicato Apologia della cattiveria (2003); Funzionarismo (2013).

 

INDICE DEL LIBRO

Premessa

Introduzione

Due visioni del mondo

Funzionarismo e direzione dell’interesse

Il doppio circuito

Funzionarismo, legittimità, autorità

Funzionarismo e garanzie istituzionali

Funzionarismo e responsabilità

Funzionarismo, sovrano, rappresentanza

Funzionarismo e ideologia

Funzionarismo e bilanciamento

Funzionarismo e legalità

Funzionarismo e rappresentazioni

Funzionarismo e doveri

Postfazione

 

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Teodoro Klitsche de la Grange, Funzionarismo, Liberilibri, Macerata, 2013, p. 156.