Giudice di Pace: onere della prova alla p.a. per la servitù di pubblico passaggio
Il Giudice di Pace ha ricordato che “la Giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha precisato che sono soggette ad imposizione anche le occupazioni su aree private soggette a servitù di pubblico passaggio. La c.d. dicatio ad patriam quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico consiste nel comportamento del proprietario di un bene che denoti in modo univoco la volontà di mettere l’area privata a disposizione di una comunità indeterminata di cittadini, per soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives”.
Inoltre “la Corte di Cassazione ha stabilito che per la configurazione dell’uso pubblico non sia sufficiente la sola utilizzazione di fatto da parte di soggetti diversi dal proprietario, essendo, altresì, necessario che:
A) il bene risulti posto al servizio della generalità dei cittadini;
B) la collettività ne faccia autonomamente uso per la circolazione;
C) l’uso si sia protratto per il tempo necessario all’acquisto per usucapione.
In altri termini, in assenza del titolo costitutivo e onde poter escludere che l’uso sia frutto della mera tolleranza dominicale, la servitù si realizza quando vi sia stata la volontaria messa a disposizione dell’area alla collettività (Cfr. Cass. 24.3.2005 n.6401 e Cons. Stato 3316 del 21.6.2007)”.
Nel caso di specie, secondo il Giudice di Pace “il provvedimento comunale impugnato non fornisce alcun elemento, anche di minima persuasività, che consenta di definire in che cosa consistesse, per il Comune, la servitù pubblica …. Né è possibile rilevare sia dal provvedimento, sia dagli atti preparatori ai quali si richiama, esplicitamente o implicitamente, da quale dato sia stata desunta la volontà di mettere a disposizione dei cittadini la strada”.
In definitiva, “affinché una strada possa ricondursi fra quelle gravate da servitù anche di solo passaggio, è necessario che l’uso risponda alla necessità o alla utilità di una collettività di persone (V Sezione 28 gennaio 1998, n. 102). Il carattere “interno” dell’area esclude il presupposto in esame”.
(Giudice di Pace di Eboli - Avv. Luigi Vingiani, Sentenza 12 dicembre 2010)
Il Giudice di Pace ha ricordato che “la Giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha precisato che sono soggette ad imposizione anche le occupazioni su aree private soggette a servitù di pubblico passaggio. La c.d. dicatio ad patriam quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico consiste nel comportamento del proprietario di un bene che denoti in modo univoco la volontà di mettere l’area privata a disposizione di una comunità indeterminata di cittadini, per soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives”.
Inoltre “la Corte di Cassazione ha stabilito che per la configurazione dell’uso pubblico non sia sufficiente la sola utilizzazione di fatto da parte di soggetti diversi dal proprietario, essendo, altresì, necessario che:
A) il bene risulti posto al servizio della generalità dei cittadini;
B) la collettività ne faccia autonomamente uso per la circolazione;
C) l’uso si sia protratto per il tempo necessario all’acquisto per usucapione.
In altri termini, in assenza del titolo costitutivo e onde poter escludere che l’uso sia frutto della mera tolleranza dominicale, la servitù si realizza quando vi sia stata la volontaria messa a disposizione dell’area alla collettività (Cfr. Cass. 24.3.2005 n.6401 e Cons. Stato 3316 del 21.6.2007)”.
Nel caso di specie, secondo il Giudice di Pace “il provvedimento comunale impugnato non fornisce alcun elemento, anche di minima persuasività, che consenta di definire in che cosa consistesse, per il Comune, la servitù pubblica …. Né è possibile rilevare sia dal provvedimento, sia dagli atti preparatori ai quali si richiama, esplicitamente o implicitamente, da quale dato sia stata desunta la volontà di mettere a disposizione dei cittadini la strada”.
In definitiva, “affinché una strada possa ricondursi fra quelle gravate da servitù anche di solo passaggio, è necessario che l’uso risponda alla necessità o alla utilità di una collettività di persone (V Sezione 28 gennaio 1998, n. 102). Il carattere “interno” dell’area esclude il presupposto in esame”.
(Giudice di Pace di Eboli - Avv. Luigi Vingiani, Sentenza 12 dicembre 2010)