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Giurisprudenza ragionata della CEDU: casi recenti in materia di tutela della proprietà, della vita familiare e della libertà di circolazione

Causa D’Aniello c. Italia – Seconda Sezione – sentenza 19 gennaio 2010 (ricorso n. 28220/05)

Protezione della proprietà – sotto il profilo del mancato indennizzo per l’espropriazione del bene – violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1, CEDU – non sussiste.

La Corte dichiara non sussistente la violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1, CEDU, relativo alla protezione della proprietà, stante l’estinzione del diritto all’indennità di esproprio per prescrizione

Fatto. La vicenda trae origine da una procedura di espropriazione acquisitiva ai danni del ricorrente, proprietario di un terreno edificabile di 4.982 metri quadrati e registrato al catasto, oggetto di un’ordinanza del Comune di Adrano che autorizzava l’occupazione d’urgenza finalizzata alla costruzione di abitazioni in affitto a canone moderato. In data 19 maggio 1983, il ricorrente e l’I.A.C.P. concludevano un accordo di cessione del terreno con cui l’espropriazione fu formalizzata ai sensi della legge n. 385 del 1980. In applicazione di questa legge, il Comune di Adrano versava a titolo di acconto la somma di 3.650 Lire (€ 1,89) al metro quadrato, riservandosi di determinare l’indennizzo definitivo una volta fissati dal legislatore i criteri di indennizzo specifici per i terreni edificabili.

Successivamente alla declaratoria di incostituzionalità della legge n. 385 del 1980, ed alla conseguente riviviscenza della legge n. 2359 del 1965, l’indennità di espropriazione tornava ad essere calcolata sulla base del valore commerciale del terreno.

Solo nell’ottobre 1996 il ricorrente, rimasto in attesa di ricevere l’indennità complementare, citava in giudizio il Comune di Adrano. Il Tribunale di Catania dichiarava la propria incompetenza, indicando che il ricorso doveva essere introdotto dinanzi alla Corte d’appello di Catania. Tale organo giudicante, una volta adito, rilevava che il termine di prescrizione di dieci anni era cominciato a decorrere dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale (con la quale era stata dichiarata l’incostituzionalità della legge 385 del 1980), risultando così eliminato l’ostacolo giuridico che impediva all’interessato di richiedere l’indennità di espropriazione e che la lettera inviata all’I.A.C.P. il 13 gennaio 1986 non aveva interrotto il termine di prescrizione.

Con sentenza depositata in cancelleria il 4 febbraio 2005, la Corte di cassazione respingeva il ricorso del sig. D’Aniello.

Diritto. La Corte ha rilevato che per effetto della dichiarazione di incostituzionalità della legge n. 385 del 1980, che aveva determinato la reviviscenza della legge n. 2359 del 1865, costituiva onere dell’espropriato richiedere l’indennità di espropriazione, fino a concorrenza del valore commerciale del terreno. Nel caso di specie, la Corte ha dichiarato non sussistente la violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1, stante l’imputabilità della situazione denunciata esclusivamente al ricorrente, che ha omesso di attivarsi per ottenere l’indennità prima che il relativo diritto cadesse in prescrizione.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Art. 1, Protocollo n. 1, CEDU – Protezione della proprietà

L. n. 865 del 1971

L. n. 385 del 1980, dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 223 del 1983

L. n. 2359 del 1865

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI

Art. 1, Protocollo n. 1, CEDU – relativamente all’accordo fra le parti valente come espropriazione ai sensi della L. n. 385 del 1980: Scordino c. Italia (ricorso n. 36813/97), Bortesi ed atri c. Italia (ricorso n. 71399/01), Mason ed altri c. Italia (ricorso n. 43663/98), Stornaiuolo c. Italia (ricorso n. 52980/99), Gigli Costruzioni s.r.l. c. Italia (ricorso n. 10557/03).

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Causa Moretti e Benedetti c. Italia – Sezione Seconda – sentenza 27 aprile 2010 (ricorso n. 16318/07)

Diritto al rispetto della vita privata e familiare – sotto il profilo dell’illegittima ingerenza nella vita familiare – violazione dell’art. 8 CEDU – sussiste.

La Corte ha constatato la violazione dell’art. 8 CEDU in quanto l’inosservanza della legge e delle norme di procedura da parte del giudice nazionale ha avuto un impatto pregiudizievole sul diritto alla vita familiare dei ricorrenti.

Fatto. I ricorrenti, Luigi Moretti e sua moglie Maria Brunella Benedetti, vivevano con la loro figlia e un bambino adottato dalla sig.ra Benedetti.

In passato avevano già avuto in affido temporaneo dei bambini, che poi erano stati adottati da altre famiglie.

Con un decreto urgente del 20 maggio 2004, una neonata, abbandonata dalla madre qualche giorno dopo la nascita, fu temporaneamente affidata a loro per decisione del tribunale per i minorenni di Venezia per un periodo di cinque mesi, in seguito prolungato fino a dicembre 2005.

Il 26 ottobre 2004, i ricorrenti presentarono una domanda di adozione speciale, che fu reiterata nel marzo 2005, vista la mancata risposta da parte del tribunale per i minorenni di Venezia.

In data 7 marzo 2005, il tribunale dichiarò lo stato di adattabilità della bambina e successivamente rigettò l’opposizione a tale provvedimento da parte della madre biologica.

Il 30 novembre 2005 due giudici si recarono presso i ricorrenti con lo scopo di chiedere a questi ultimi di aiutare la bambina ad inserirsi nella nuova famiglia adottiva scelta dal tribunale.

Il 19 dicembre 2005, con una decisione che non fu notificata ai ricorrenti, il tribunale affidò la custodia ad una nuova famiglia e, lo stesso giorno, la bambina venne allontanata dalla casa degli affidatari a titolo provvisorio con l’aiuto della forza pubblica.

Il 21 dicembre 2005, il tribunale per i minorenni di Venezia respinse la domanda di adozione dei sig.ri Moretti e Benedetti, motivando che la scelta della nuova famiglia era nell’interesse superiore della minore.

La Corte d’appello, adita dai ricorrenti, annullò il decreto del tribunale, rilevando in particolare un difetto di motivazione e sottolineando che la domanda di adozione dei ricorrenti avrebbe dovuto essere esaminata prima di dichiarare adottabile la bambina e di scegliere una nuova famiglia.

Una consulente nominata dalla Corte d’appello concluse che la bambina manifestava attaccamento ad entrambe le coppie in causa, ma che sembrava ben integrata nella nuova famiglia.

Il 27 ottobre 2006, la Corte d’appello dichiarò che non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe rischiato di traumatizzare la bambina.

L’adozione divenne poi definitiva in data non precisata.

I sig.ri Moretti e Benedetti adivano, quindi, la Corte EDU, deducendo la violazione dell’art. 8 CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) per l’illegittima ingerenza nella loro vita privata e familiare dovuta ad un’erronea applicazione della legge e delle norme procedurali e degli artt. 6 (Diritto a un equo processo) e 13 CEDU (Diritto ad un ricorso effettivo) per l’iniquità del procedimento controverso e per non aver beneficiato di un ricorso effettivo davanti ad un giudice nazionale.

Diritto. La Corte ha ritenuto opportuno, dopo aver qualificato i fatti di causa, esaminare i motivi del ricorso unicamente sotto il profilo dell’art. 8 CEDU.

Per quanto riguarda la legittimazione ad agire dei ricorrenti in nome e per conto della minore, la Corte ha rilevato che il signor Moretti e la signora Benedetti non esercitano alcuna patria potestà sulla bambina, che le loro procedure di adozione non sono state accolte e che non è stata sottoscritta alcuna procura a rappresentare gli interessi della stessa.

Quindi i ricorrenti non hanno i requisiti necessari per rappresentare gli interessi legali della bambina e la parte della domanda presentata per conto di quest’ultima è respinta in quanto incompatibile con le disposizioni della Convenzione.

La Corte, conformemente alla sua giurisprudenza, ha ricordato che l’esistenza di una "vita familiare" ai sensi dell’articolo 8 CEDU non si limita ai rapporti fondati sul matrimonio, ma può comprendere altre relazioni familiari de facto se esistono altri elementi di dipendenza, diversi dai legami affettivi normali.

Inoltre, la determinazione del carattere familiare delle relazioni di fatto deve tener conto di un certo numero di elementi, quali il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni, così come il ruolo assunto dall’adulto nei confronti del bambino.

La Corte ha osservato che i ricorrenti hanno vissuto con la minore le prime tappe importanti della sua vita per diciannove mesi e che la stessa è stata ben integrata nella famiglia, favorendo il suo sviluppo sociale.

Considerando il forte legame stabilito tra i ricorrenti e la bambina, la Corte ha statuito, nonostante l’assenza di un rapporto giuridico di parentela, che tale legame rientrava nel campo della vita familiare ai sensi dell’articolo 8 CEDU.

Tale disposizione non garantisce il diritto di adottare, ma non esclude che gli Stati possano avere, in determinate circostanze, l’obbligo di consentire la formazione di legami familiari.

Nel caso in esame, risultava essenziale che la domanda di adozione speciale avanzata dai ricorrenti dovesse venire esaminata con attenzione in tempi brevi.

La Corte, infatti, ha ricordato che, nelle questioni riguardanti la vita familiare, il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili.

E’ deplorevole che la domanda di adozione presentata dai ricorrenti non sia stata esaminata prima di dichiarare la minore adottabile e che sia stata respinta senza motivazione alcuna.

Non c’è dubbio che non spetta alla Corte sostituirsi alle autorità nazionali competenti in relazione alle misure che avrebbero dovuto essere adottate ed alla buona fede dei tribunali per salvaguardare il benessere della bambina.

Tuttavia, le carenze appalesatesi nello svolgimento del procedimento in questione hanno avuto un impatto diretto sul diritto alla vita familiare degli interessati, il cui rispetto non è stato effettivamente assicurato dalle autorità nazionali.

Di conseguenza, la Corte ha concluso per la violazione dell’articolo 8 CEDU.

Ai sensi dell’articolo 41 CEDU, la Corte ha liquidato ai ricorrenti congiuntamente la somma di 10.000 euro per i danni morali e di 5.000 euro per spese legali.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Art. 8 CEDU – Diritto al rispetto della vita privata e familiare

Art. 6 CEDU – Diritto a un equo processo

Art. 13 CEDU – Diritto ad un ricorso effettivo

L. n. 184/1983

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI

Art. 8 CEDU – sui presupposti di fatto per l’esistenza di una “vita familiare”: Marckx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1979, serie A n. 31, pp. 14 e segg., § 31; Giusto e altri c. Italia (dec.), n. 38972/06, CEDU 2007 V (estratti).

Art. 8 CEDU – sull’equilibrio fra l’interesse pubblico all’applicazione delle disposizioni di legge e quello dei privati fondato sul diritto al rispetto della vita privata e familiare: Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 76; Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 102, CEDU 2000 I.

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Causa Villa c. Italia – Sezione Seconda – sentenza 20 aprile 2010 (ricorso n. 19675/06)

Libertà di circolazione – in merito alle modalità di applicazione della libertà vigilata – violazione dell’art. 2, Protocollo n. 4 CEDU – sussiste.

La Corte riconosce la violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 in ragione dell’adozione e dell’esecuzione tardive della decisione di revoca della libertà vigilata dopo l’udienza del 1° luglio 2005, precisando, inoltre, che non vi è stata violazione di questa stessa disposizione in ragione dell’applicazione della libertà vigilata e del suo mantenimento fino al luglio 2005.

Fatto. Con sentenza del 4 maggio 1999, depositata in cancelleria il 19 maggio 1999, il ricorrente fu riconosciuto colpevole ma parzialmente irresponsabile dei suoi atti dal giudice di Milano e condannato ad una pena detentiva di 3 mesi e 13 giorni per aver minacciato di morte ed aggredito suo padre con un coltello.

Tale pena fu irrogata tenendo conto di una perizia psichiatrica disposta dal giudice e di una cartella clinica prodotta in giudizio dalla quale risultava che il ricorrente soffriva di una psicosi paranoide cronica ed era invalido al 100%.

In applicazione dell’art. 56 della L. n. 689 del 1981, la misura della detenzione fu sostituita dall’applicazione della libertà controllata per sette mesi in quanto il giudice ritenne che una terapia di rieducazione fosse preferibile alla reclusione.

La pericolosità sociale del ricorrente, inoltre, motivò l’applicazione di una misura di sicurezza quale la libertà vigilata.

La sentenza del 4 maggio divenne definitiva il 20 luglio 1999.

Con ordinanza del 9 ottobre 2001, il magistrato di sorveglianza di Milano dichiarò che il sig. Villa era ancora socialmente pericoloso e, di conseguenza, decise di sottoporlo, per la durata di un anno, alla misura di sicurezza della libertà vigilata.

Questa misura comportava per l’interessato i seguenti obblighi:

- presentarsi una volta al mese agli organi di polizia incaricati della sorveglianza;

- mantenere i contatti con il centro psichiatrico dell’ospedale Niguarda;

- abitare a Milano, in viale Abruzzi, n. 18;

- rimanere in casa tra le ore 22:00 e le 7:00.

Il ricorrente aveva inoltre l’obbligo di conservare e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia l’ordinanza che lo sottoponeva agli obblighi derivanti dalla libertà vigilata, ordinanza che gli fu notificata il 17 ottobre 2001.

Il 18 dicembre 2001, il magistrato di sorveglianza di Milano dispose il ricovero del ricorrente presso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino fino al 5 ottobre 2002.

Il 4 ottobre 2002 questa misura fu prorogata fino al 9 aprile 2003.

Il 5 novembre 2002 il magistrato di sorveglianza di Firenze autorizzò il ricorrente a dimorare presso la casa di suo padre, a Milano, a titolo di "permesso finale a titolo probatorio".

Il 14 novembre 2002 il ricorrente lasciò l’ospedale psichiatrico per recarsi a Milano; a partire da questa data, egli fu nuovamente sottoposto al regime della libertà vigilata.

Questa misura fu prorogata fino al 9 ottobre 2003, poi al 9 febbraio, al 9 giugno, al 9 ottobre 2004 e infine fino al 9 luglio 2005.

Il 1° luglio 2005, il magistrato di sorveglianza di Firenze decise di revocare la misura di sicurezza, tenendo conto soprattutto del rapporto corretto e collaborativo dell’interessato con il centro psichiatrico di Milano e del miglioramento della relazione con il padre.

Quest’ultima decisione fu depositata in cancelleria solo il 2 novembre 2005 e notificata al ricorrente il 7 novembre 2005.

Il 29 dicembre 2005, il sig. Villa, sostenendo che la fine del suo processo coincideva con la revoca della misura di sicurezza, introdusse innanzi alla Corte d’appello di Brescia una domanda in base alla L. n. 89 del 2001 volta ad ottenere la riparazione dei danni subiti a causa della durata di oltre otto anni del procedimento penale di cui era stato oggetto.

Con decisione dell’8 marzo 2006, la Corte d’appello rigettò questa domanda con la motivazione che il procedimento penale era durato circa due anni.

Il ricorrente non propose ricorso per cassazione avverso questa decisione.

In data 20 aprile 2006, il sig. Villa proponeva ricorso alla Corte EDU ai sensi dell’art. 5 CEDU (Diritto alla libertà e alla sicurezza) e dell’art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU (Libertà di circolazione), deducendo la durata eccessiva ed il carattere arbitrario della misura di sicurezza di cui era stato oggetto.

Diritto. La Corte ha statuito innanzitutto che la libertà vigilata non ha comportato una privazione della libertà fisica della persona prevista dall’art. 5, par. 1, CEDU, ma semplici restrizioni alla libertà di circolazione, come desumibile da criteri quali il genere, la durata, gli effetti e le modalità di esecuzione della misura considerata.

Ne consegue che alla fattispecie in esame non è applicabile l’art. 5 CEDU, ma l’art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU.

Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, ogni misura che limita il diritto alla libertà di circolazione deve essere previsto dalla legge, perseguire uno degli scopi legittimi di cui al terzo paragrafo dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 e mantenere un giusto equilibrio tra l’interesse generale e i diritti dell’individuo.

Nel caso di specie, le misure restrittive della libertà di circolazione, previste dal diritto italiano, erano necessarie "al mantenimento dell’ordine pubblico", oltre che alla "prevenzione delle infrazioni penali", come risultava dalla cartella clinica dell’interessato, dai risultati della perizia psichiatrica disposta dal giudice di Milano, dalle aggressioni e dalle minacce commesse dopo la condanna e dai rapporti dei medici che avevano in cura il sig. Villa.

Per quanto riguarda la proporzionalità delle misure incriminate, esse si giustificano così a lungo soltanto se tendono effettivamente alla realizzazione dell’obiettivo che si presume debbano perseguire.

La Corte ha esaminato le ragioni avanzate dalle autorità per prorogare, ogni volta, la durata della misura incriminata, senza trovarvi alcun segno di arbitrio.

Ne consegue che non vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 per quanto riguarda l’imposizione della libertà vigilata e le sue proroghe successive fino a quella del 9 ottobre 2004, data in cui la misura è stata prorogata fino al luglio 2005.

Successivamente, il magistrato di sorveglianza di Firenze ha ripreso l’esame del fascicolo all’udienza in camera di consiglio del 1° luglio 2005, ma ha depositato in cancelleria soltanto il 2 novembre la sua decisione, a sua volta notificata al ricorrente il 7 novembre 2005.

Secondo la Corte, è necessaria una maggiore diligenza e rapidità nell’adozione di una decisione che interessa i diritti garantiti dall’articolo 2 del Protocollo n. 4 e ciò soprattutto al termine di una proroga, la cui durata era già di nove mesi al 1° luglio 2005, delle restrizioni che colpiscono l’interessato.

Nelle particolari circostanze della presente causa, un intervallo di più di quattro mesi tra l’udienza innanzi al magistrato di sorveglianza e la revoca effettiva della libertà vigilata non era giustificata ed è stata tale da rendere sproporzionate le restrizioni alla libertà di circolazione del ricorrente.

Ne consegue che vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 in ragione dell’adozione e della esecuzione tardive della decisione di revoca della libertà vigilata dopo l’udienza del 1 luglio 2005.

Infine la Corte ha respinto la richiesta di risarcimento dei danni materiali avanzata dal ricorrente per mancanza del nesso di causalità, mentre a titolo di danno morale ha ritenuto che questo sia sufficientemente riparato dalla constatazione di violazione dell’art. 2 del Protocollo n. 4 alla quale giunge.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Art. 5 CEDU – Diritto alla libertà e alla sicurezza

Art. 2, Protocollo n. 4, CEDU – Libertà di circolazione

Art. 56 della L. n. 689/1981

Artt. 199-240 c.p.

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI

Art. 2, Protocollo n. 4, CEDU – riguardante l’adozione e l’esecuzione delle misure restrittive della libertà di circolazione: Raimondo c. Italia, serie A n. 281-A, § 39, 22 febbraio 1994; Baumann c. Francia, n. 33592/96, § 61, CEDH 2001-V; Riener c. Bulgaria, n. 46343/99, § 109, 23 maggio 2006; Luordo c. Italia, no 32190/96, § 96, CEDH 2003-IX.

Causa D’Aniello c. Italia – Seconda Sezione – sentenza 19 gennaio 2010 (ricorso n. 28220/05)

Protezione della proprietà – sotto il profilo del mancato indennizzo per l’espropriazione del bene – violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1, CEDU – non sussiste.

La Corte dichiara non sussistente la violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1, CEDU, relativo alla protezione della proprietà, stante l’estinzione del diritto all’indennità di esproprio per prescrizione

Fatto. La vicenda trae origine da una procedura di espropriazione acquisitiva ai danni del ricorrente, proprietario di un terreno edificabile di 4.982 metri quadrati e registrato al catasto, oggetto di un’ordinanza del Comune di Adrano che autorizzava l’occupazione d’urgenza finalizzata alla costruzione di abitazioni in affitto a canone moderato. In data 19 maggio 1983, il ricorrente e l’I.A.C.P. concludevano un accordo di cessione del terreno con cui l’espropriazione fu formalizzata ai sensi della legge n. 385 del 1980. In applicazione di questa legge, il Comune di Adrano versava a titolo di acconto la somma di 3.650 Lire (€ 1,89) al metro quadrato, riservandosi di determinare l’indennizzo definitivo una volta fissati dal legislatore i criteri di indennizzo specifici per i terreni edificabili.

Successivamente alla declaratoria di incostituzionalità della legge n. 385 del 1980, ed alla conseguente riviviscenza della legge n. 2359 del 1965, l’indennità di espropriazione tornava ad essere calcolata sulla base del valore commerciale del terreno.

Solo nell’ottobre 1996 il ricorrente, rimasto in attesa di ricevere l’indennità complementare, citava in giudizio il Comune di Adrano. Il Tribunale di Catania dichiarava la propria incompetenza, indicando che il ricorso doveva essere introdotto dinanzi alla Corte d’appello di Catania. Tale organo giudicante, una volta adito, rilevava che il termine di prescrizione di dieci anni era cominciato a decorrere dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale (con la quale era stata dichiarata l’incostituzionalità della legge 385 del 1980), risultando così eliminato l’ostacolo giuridico che impediva all’interessato di richiedere l’indennità di espropriazione e che la lettera inviata all’I.A.C.P. il 13 gennaio 1986 non aveva interrotto il termine di prescrizione.

Con sentenza depositata in cancelleria il 4 febbraio 2005, la Corte di cassazione respingeva il ricorso del sig. D’Aniello.

Diritto. La Corte ha rilevato che per effetto della dichiarazione di incostituzionalità della legge n. 385 del 1980, che aveva determinato la reviviscenza della legge n. 2359 del 1865, costituiva onere dell’espropriato richiedere l’indennità di espropriazione, fino a concorrenza del valore commerciale del terreno. Nel caso di specie, la Corte ha dichiarato non sussistente la violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1, stante l’imputabilità della situazione denunciata esclusivamente al ricorrente, che ha omesso di attivarsi per ottenere l’indennità prima che il relativo diritto cadesse in prescrizione.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Art. 1, Protocollo n. 1, CEDU – Protezione della proprietà

L. n. 865 del 1971

L. n. 385 del 1980, dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 223 del 1983

L. n. 2359 del 1865

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI

Art. 1, Protocollo n. 1, CEDU – relativamente all’accordo fra le parti valente come espropriazione ai sensi della L. n. 385 del 1980: Scordino c. Italia (ricorso n. 36813/97), Bortesi ed atri c. Italia (ricorso n. 71399/01), Mason ed altri c. Italia (ricorso n. 43663/98), Stornaiuolo c. Italia (ricorso n. 52980/99), Gigli Costruzioni s.r.l. c. Italia (ricorso n. 10557/03).

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Causa Moretti e Benedetti c. Italia – Sezione Seconda – sentenza 27 aprile 2010 (ricorso n. 16318/07)

Diritto al rispetto della vita privata e familiare – sotto il profilo dell’illegittima ingerenza nella vita familiare – violazione dell’art. 8 CEDU – sussiste.

La Corte ha constatato la violazione dell’art. 8 CEDU in quanto l’inosservanza della legge e delle norme di procedura da parte del giudice nazionale ha avuto un impatto pregiudizievole sul diritto alla vita familiare dei ricorrenti.

Fatto. I ricorrenti, Luigi Moretti e sua moglie Maria Brunella Benedetti, vivevano con la loro figlia e un bambino adottato dalla sig.ra Benedetti.

In passato avevano già avuto in affido temporaneo dei bambini, che poi erano stati adottati da altre famiglie.

Con un decreto urgente del 20 maggio 2004, una neonata, abbandonata dalla madre qualche giorno dopo la nascita, fu temporaneamente affidata a loro per decisione del tribunale per i minorenni di Venezia per un periodo di cinque mesi, in seguito prolungato fino a dicembre 2005.

Il 26 ottobre 2004, i ricorrenti presentarono una domanda di adozione speciale, che fu reiterata nel marzo 2005, vista la mancata risposta da parte del tribunale per i minorenni di Venezia.

In data 7 marzo 2005, il tribunale dichiarò lo stato di adattabilità della bambina e successivamente rigettò l’opposizione a tale provvedimento da parte della madre biologica.

Il 30 novembre 2005 due giudici si recarono presso i ricorrenti con lo scopo di chiedere a questi ultimi di aiutare la bambina ad inserirsi nella nuova famiglia adottiva scelta dal tribunale.

Il 19 dicembre 2005, con una decisione che non fu notificata ai ricorrenti, il tribunale affidò la custodia ad una nuova famiglia e, lo stesso giorno, la bambina venne allontanata dalla casa degli affidatari a titolo provvisorio con l’aiuto della forza pubblica.

Il 21 dicembre 2005, il tribunale per i minorenni di Venezia respinse la domanda di adozione dei sig.ri Moretti e Benedetti, motivando che la scelta della nuova famiglia era nell’interesse superiore della minore.

La Corte d’appello, adita dai ricorrenti, annullò il decreto del tribunale, rilevando in particolare un difetto di motivazione e sottolineando che la domanda di adozione dei ricorrenti avrebbe dovuto essere esaminata prima di dichiarare adottabile la bambina e di scegliere una nuova famiglia.

Una consulente nominata dalla Corte d’appello concluse che la bambina manifestava attaccamento ad entrambe le coppie in causa, ma che sembrava ben integrata nella nuova famiglia.

Il 27 ottobre 2006, la Corte d’appello dichiarò che non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe rischiato di traumatizzare la bambina.

L’adozione divenne poi definitiva in data non precisata.

I sig.ri Moretti e Benedetti adivano, quindi, la Corte EDU, deducendo la violazione dell’art. 8 CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) per l’illegittima ingerenza nella loro vita privata e familiare dovuta ad un’erronea applicazione della legge e delle norme procedurali e degli artt. 6 (Diritto a un equo processo) e 13 CEDU (Diritto ad un ricorso effettivo) per l’iniquità del procedimento controverso e per non aver beneficiato di un ricorso effettivo davanti ad un giudice nazionale.

Diritto. La Corte ha ritenuto opportuno, dopo aver qualificato i fatti di causa, esaminare i motivi del ricorso unicamente sotto il profilo dell’art. 8 CEDU.

Per quanto riguarda la legittimazione ad agire dei ricorrenti in nome e per conto della minore, la Corte ha rilevato che il signor Moretti e la signora Benedetti non esercitano alcuna patria potestà sulla bambina, che le loro procedure di adozione non sono state accolte e che non è stata sottoscritta alcuna procura a rappresentare gli interessi della stessa.

Quindi i ricorrenti non hanno i requisiti necessari per rappresentare gli interessi legali della bambina e la parte della domanda presentata per conto di quest’ultima è respinta in quanto incompatibile con le disposizioni della Convenzione.

La Corte, conformemente alla sua giurisprudenza, ha ricordato che l’esistenza di una "vita familiare" ai sensi dell’articolo 8 CEDU non si limita ai rapporti fondati sul matrimonio, ma può comprendere altre relazioni familiari de facto se esistono altri elementi di dipendenza, diversi dai legami affettivi normali.

Inoltre, la determinazione del carattere familiare delle relazioni di fatto deve tener conto di un certo numero di elementi, quali il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni, così come il ruolo assunto dall’adulto nei confronti del bambino.

La Corte ha osservato che i ricorrenti hanno vissuto con la minore le prime tappe importanti della sua vita per diciannove mesi e che la stessa è stata ben integrata nella famiglia, favorendo il suo sviluppo sociale.

Considerando il forte legame stabilito tra i ricorrenti e la bambina, la Corte ha statuito, nonostante l’assenza di un rapporto giuridico di parentela, che tale legame rientrava nel campo della vita familiare ai sensi dell’articolo 8 CEDU.

Tale disposizione non garantisce il diritto di adottare, ma non esclude che gli Stati possano avere, in determinate circostanze, l’obbligo di consentire la formazione di legami familiari.

Nel caso in esame, risultava essenziale che la domanda di adozione speciale avanzata dai ricorrenti dovesse venire esaminata con attenzione in tempi brevi.

La Corte, infatti, ha ricordato che, nelle questioni riguardanti la vita familiare, il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili.

E’ deplorevole che la domanda di adozione presentata dai ricorrenti non sia stata esaminata prima di dichiarare la minore adottabile e che sia stata respinta senza motivazione alcuna.

Non c’è dubbio che non spetta alla Corte sostituirsi alle autorità nazionali competenti in relazione alle misure che avrebbero dovuto essere adottate ed alla buona fede dei tribunali per salvaguardare il benessere della bambina.

Tuttavia, le carenze appalesatesi nello svolgimento del procedimento in questione hanno avuto un impatto diretto sul diritto alla vita familiare degli interessati, il cui rispetto non è stato effettivamente assicurato dalle autorità nazionali.

Di conseguenza, la Corte ha concluso per la violazione dell’articolo 8 CEDU.

Ai sensi dell’articolo 41 CEDU, la Corte ha liquidato ai ricorrenti congiuntamente la somma di 10.000 euro per i danni morali e di 5.000 euro per spese legali.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Art. 8 CEDU – Diritto al rispetto della vita privata e familiare

Art. 6 CEDU – Diritto a un equo processo

Art. 13 CEDU – Diritto ad un ricorso effettivo

L. n. 184/1983

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI

Art. 8 CEDU – sui presupposti di fatto per l’esistenza di una “vita familiare”: Marckx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1979, serie A n. 31, pp. 14 e segg., § 31; Giusto e altri c. Italia (dec.), n. 38972/06, CEDU 2007 V (estratti).

Art. 8 CEDU – sull’equilibrio fra l’interesse pubblico all’applicazione delle disposizioni di legge e quello dei privati fondato sul diritto al rispetto della vita privata e familiare: Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 76; Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 102, CEDU 2000 I.

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Causa Villa c. Italia – Sezione Seconda – sentenza 20 aprile 2010 (ricorso n. 19675/06)

Libertà di circolazione – in merito alle modalità di applicazione della libertà vigilata – violazione dell’art. 2, Protocollo n. 4 CEDU – sussiste.

La Corte riconosce la violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 in ragione dell’adozione e dell’esecuzione tardive della decisione di revoca della libertà vigilata dopo l’udienza del 1° luglio 2005, precisando, inoltre, che non vi è stata violazione di questa stessa disposizione in ragione dell’applicazione della libertà vigilata e del suo mantenimento fino al luglio 2005.

Fatto. Con sentenza del 4 maggio 1999, depositata in cancelleria il 19 maggio 1999, il ricorrente fu riconosciuto colpevole ma parzialmente irresponsabile dei suoi atti dal giudice di Milano e condannato ad una pena detentiva di 3 mesi e 13 giorni per aver minacciato di morte ed aggredito suo padre con un coltello.

Tale pena fu irrogata tenendo conto di una perizia psichiatrica disposta dal giudice e di una cartella clinica prodotta in giudizio dalla quale risultava che il ricorrente soffriva di una psicosi paranoide cronica ed era invalido al 100%.

In applicazione dell’art. 56 della L. n. 689 del 1981, la misura della detenzione fu sostituita dall’applicazione della libertà controllata per sette mesi in quanto il giudice ritenne che una terapia di rieducazione fosse preferibile alla reclusione.

La pericolosità sociale del ricorrente, inoltre, motivò l’applicazione di una misura di sicurezza quale la libertà vigilata.

La sentenza del 4 maggio divenne definitiva il 20 luglio 1999.

Con ordinanza del 9 ottobre 2001, il magistrato di sorveglianza di Milano dichiarò che il sig. Villa era ancora socialmente pericoloso e, di conseguenza, decise di sottoporlo, per la durata di un anno, alla misura di sicurezza della libertà vigilata.

Questa misura comportava per l’interessato i seguenti obblighi:

- presentarsi una volta al mese agli organi di polizia incaricati della sorveglianza;

- mantenere i contatti con il centro psichiatrico dell’ospedale Niguarda;

- abitare a Milano, in viale Abruzzi, n. 18;

- rimanere in casa tra le ore 22:00 e le 7:00.

Il ricorrente aveva inoltre l’obbligo di conservare e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia l’ordinanza che lo sottoponeva agli obblighi derivanti dalla libertà vigilata, ordinanza che gli fu notificata il 17 ottobre 2001.

Il 18 dicembre 2001, il magistrato di sorveglianza di Milano dispose il ricovero del ricorrente presso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino fino al 5 ottobre 2002.

Il 4 ottobre 2002 questa misura fu prorogata fino al 9 aprile 2003.

Il 5 novembre 2002 il magistrato di sorveglianza di Firenze autorizzò il ricorrente a dimorare presso la casa di suo padre, a Milano, a titolo di "permesso finale a titolo probatorio".

Il 14 novembre 2002 il ricorrente lasciò l’ospedale psichiatrico per recarsi a Milano; a partire da questa data, egli fu nuovamente sottoposto al regime della libertà vigilata.

Questa misura fu prorogata fino al 9 ottobre 2003, poi al 9 febbraio, al 9 giugno, al 9 ottobre 2004 e infine fino al 9 luglio 2005.

Il 1° luglio 2005, il magistrato di sorveglianza di Firenze decise di revocare la misura di sicurezza, tenendo conto soprattutto del rapporto corretto e collaborativo dell’interessato con il centro psichiatrico di Milano e del miglioramento della relazione con il padre.

Quest’ultima decisione fu depositata in cancelleria solo il 2 novembre 2005 e notificata al ricorrente il 7 novembre 2005.

Il 29 dicembre 2005, il sig. Villa, sostenendo che la fine del suo processo coincideva con la revoca della misura di sicurezza, introdusse innanzi alla Corte d’appello di Brescia una domanda in base alla L. n. 89 del 2001 volta ad ottenere la riparazione dei danni subiti a causa della durata di oltre otto anni del procedimento penale di cui era stato oggetto.

Con decisione dell’8 marzo 2006, la Corte d’appello rigettò questa domanda con la motivazione che il procedimento penale era durato circa due anni.

Il ricorrente non propose ricorso per cassazione avverso questa decisione.

In data 20 aprile 2006, il sig. Villa proponeva ricorso alla Corte EDU ai sensi dell’art. 5 CEDU (Diritto alla libertà e alla sicurezza) e dell’art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU (Libertà di circolazione), deducendo la durata eccessiva ed il carattere arbitrario della misura di sicurezza di cui era stato oggetto.

Diritto. La Corte ha statuito innanzitutto che la libertà vigilata non ha comportato una privazione della libertà fisica della persona prevista dall’art. 5, par. 1, CEDU, ma semplici restrizioni alla libertà di circolazione, come desumibile da criteri quali il genere, la durata, gli effetti e le modalità di esecuzione della misura considerata.

Ne consegue che alla fattispecie in esame non è applicabile l’art. 5 CEDU, ma l’art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU.

Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, ogni misura che limita il diritto alla libertà di circolazione deve essere previsto dalla legge, perseguire uno degli scopi legittimi di cui al terzo paragrafo dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 e mantenere un giusto equilibrio tra l’interesse generale e i diritti dell’individuo.

Nel caso di specie, le misure restrittive della libertà di circolazione, previste dal diritto italiano, erano necessarie "al mantenimento dell’ordine pubblico", oltre che alla "prevenzione delle infrazioni penali", come risultava dalla cartella clinica dell’interessato, dai risultati della perizia psichiatrica disposta dal giudice di Milano, dalle aggressioni e dalle minacce commesse dopo la condanna e dai rapporti dei medici che avevano in cura il sig. Villa.

Per quanto riguarda la proporzionalità delle misure incriminate, esse si giustificano così a lungo soltanto se tendono effettivamente alla realizzazione dell’obiettivo che si presume debbano perseguire.

La Corte ha esaminato le ragioni avanzate dalle autorità per prorogare, ogni volta, la durata della misura incriminata, senza trovarvi alcun segno di arbitrio.

Ne consegue che non vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 per quanto riguarda l’imposizione della libertà vigilata e le sue proroghe successive fino a quella del 9 ottobre 2004, data in cui la misura è stata prorogata fino al luglio 2005.

Successivamente, il magistrato di sorveglianza di Firenze ha ripreso l’esame del fascicolo all’udienza in camera di consiglio del 1° luglio 2005, ma ha depositato in cancelleria soltanto il 2 novembre la sua decisione, a sua volta notificata al ricorrente il 7 novembre 2005.

Secondo la Corte, è necessaria una maggiore diligenza e rapidità nell’adozione di una decisione che interessa i diritti garantiti dall’articolo 2 del Protocollo n. 4 e ciò soprattutto al termine di una proroga, la cui durata era già di nove mesi al 1° luglio 2005, delle restrizioni che colpiscono l’interessato.

Nelle particolari circostanze della presente causa, un intervallo di più di quattro mesi tra l’udienza innanzi al magistrato di sorveglianza e la revoca effettiva della libertà vigilata non era giustificata ed è stata tale da rendere sproporzionate le restrizioni alla libertà di circolazione del ricorrente.

Ne consegue che vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 in ragione dell’adozione e della esecuzione tardive della decisione di revoca della libertà vigilata dopo l’udienza del 1 luglio 2005.

Infine la Corte ha respinto la richiesta di risarcimento dei danni materiali avanzata dal ricorrente per mancanza del nesso di causalità, mentre a titolo di danno morale ha ritenuto che questo sia sufficientemente riparato dalla constatazione di violazione dell’art. 2 del Protocollo n. 4 alla quale giunge.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Art. 5 CEDU – Diritto alla libertà e alla sicurezza

Art. 2, Protocollo n. 4, CEDU – Libertà di circolazione

Art. 56 della L. n. 689/1981

Artt. 199-240 c.p.

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI

Art. 2, Protocollo n. 4, CEDU – riguardante l’adozione e l’esecuzione delle misure restrittive della libertà di circolazione: Raimondo c. Italia, serie A n. 281-A, § 39, 22 febbraio 1994; Baumann c. Francia, n. 33592/96, § 61, CEDH 2001-V; Riener c. Bulgaria, n. 46343/99, § 109, 23 maggio 2006; Luordo c. Italia, no 32190/96, § 96, CEDH 2003-IX.