Great Resignation

Stiamo vivendo una seconda situazione sociale terribile dopo la pandemia, quella della guerra in Ucraina che si porterà dietro un altro cambiamento o addirittura uno stravolgimento nelle relazioni tra persone, coinvolgendo inevitabilmente le relazioni lavorative
Great Resignation
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Great Resignation


Stiamo vivendo una seconda situazione sociale terribile dopo la pandemia da Covid-19, quella della guerra in Europa con l’invasione dell’Ucraina che si porterà dietro un altro cambiamento o addirittura uno stravolgimento nelle relazioni tra persone, oltre che nei rapporti fra gruppi e stati, coinvolgendo inevitabilmente le relazioni lavorative, come è accaduto nei due anni precedenti.

Nello scorso mese di ottobre mi ero soffermato sulla parola cambiamento (https://www. filodiritto.com/cambiamento), non certo immaginando cosa sarebbe poi successo. Non avevo nemmeno colto una tendenza di massa, che riguardava il settore lavorativo: penso a quella propensione a dimettersi dal lavoro, diffusa prima negli Stati Uniti e rapidamente arrivata in Europa ed in Italia. Rispetto ai decenni passati, nei quali eravamo abituati, a riscontrare che le novità della società statunitense prendevano piede da noi solo dopo alcuni anni, ora tutto è diventato molto più rapido, i tempi si sono tremendamente accorciati.

“Great Resignation” è proprio quell’evento sociale cui accennavo, ossia la tendenza diffusa a lasciare il lavoro spontaneamente: ad esso è connesso la “Yolo Economy (da You Only Live Once” cioè “si vive una sola volta”) cioè la decisione di più persone, soprattutto giovani, di abbandonare la propria vita professionale per cercare nuove possibilità più appaganti. Allora, nel mio contributo, segnalavo come un trasloco (anche del proprio studio o del lavoro) fosse considerato, insieme a un lutto, a una separazione, tra gli eventi più stressanti della vita, in grado di far insorgere una depressione reattiva o un sentimento di nostalgia patologico: indubbiamente ciò era anche dovuto al fatto che il lavoro contribuiva a consolidare l’identità personale.

Ci troviamo ora, invece, di fronte ad un fenomeno sociale e comportamentale opposto (non sappiamo certo se sia un fatto solo contingente, ma ho qualche dubbio) che riguarda diversi tipi di lavoratori. Sono state cercate e date alcune spiegazioni: si sostiene, ad esempio, che anche lo smart working (forse è più adeguato parlare di remote working) vi abbia contribuito, facendo sperimentare alle persone come vi possa essere qualcosa di diverso dal rigido dualismo casa-lavoro, casa-ufficio. Così come la qualità della vita, come esigenza personale principale, ha sicuramente giocato un importante ruolo. Il fattore principale di motivazione in Italia di tale scelta sarebbe la possibilità di poter gestire in libertà il proprio tempo: lo scopo è quello di raggiungere un buon livello di bilanciamento vita-lavoro.

Se per caso ci viene alla mente il film del 1961 di Ermanno Olmi Il posto, che nella fase del boom economico, rappresentava le ansie dei giovani per un concorso ad un posto fisso, constatiamo di essere ora in un’altra realtà; ma pure il recente film di Checco Zalone “Quo vado?”, con il tormentone del posto fisso, lo possiamo vedere ora come qualcosa di datato rispetto all’attualità del fenomeno “Great Resignation”, che va considerata anche come una frattura tra generazioni.

Differenze di cultura, di apprendimento, di conoscenze, di capacità operative, di abitudini sia nel modo di operare che nello stile delle relazioni personali e sociali sono alcuni fattori che indubbiamente stanno alla base a questi radicali cambiamenti, essendo soprattutto coinvolti la Generazione Z e i Millenial. Per costoro, in particolare, la Yolo Economy sarebbe una risposta alla “gabbia” del posto fisso, che dà loro inadeguate soddisfazioni, spingendoli a buttarsi nella ricerca di nuove esperienze ed attività a cui dare valore.

Si è diffuso inoltre il modello di lavoro ibrido, che è un mix tra lavoro a distanza e lavoro in presenza, cambiamento in corso del modo di operare talora preferito perché dà più spazio di movimento alle persone nella gestione quotidiana del proprio tempo.

Senz’altro, però, nella comparsa di questo fenomeno sociale vanno presi in considerazione anche altri risvolti che possono contribuire a farci comprendere meglio questo punto di rottura rispetto al passato: per alcuni potrebbe essere dovuto ad un eccesso di fatica per carichi di lavoro eccessivi e scarsa sicurezza sul futuro, per altri addirittura ad una condizione di burnout, da cui la ricerca di un lavoro che possa preservare il proprio benessere, per altri ancora la pandemia può aver fatto rivedere la personale e familiare scala dei valori nelle aspettative sul lavoro, modificando le priorità nella vita.

Queste ipotesi sono confermate dai recenti dati forniti dall’Associazione Italiana Direzione Personale, che sulla base di questionari cui ha risposto un campione numeroso, soprattutto in una fascia di età compresa fra i 26 e i 35 anni, ha riscontrato che fra le ragioni che spingono a dare le dimissioni vi è il contrasto fra due esigenze fondamentali, ovvero la questione economica e un maggiore equilibrio fra vita privata e ufficio/fabbrica.

La totale dedizione al lavoro non è più scontata, anzi fa parte di un passato lontano, ed il luogo di lavoro non è più il solo posto dove si costruisce la propria identità; allora non rimane che la via di fuga per intraprendere altre direzioni, se non si sono modificate o non si modificano le relazioni che stanno alla base del sistema occupazionale.

In molti contributi presenti in Umanesimo Manageriale, impossibile riportarli tutti ovviamente, si può rintracciare con facilità un file rouge che ci porta a osservare come la soggettività, le emozioni, gli aspetti personali, le relazioni sociali e il funzionamento dei gruppi non possano essere trascurati per privilegiare l’oggettività, i dati, gli obiettivi ecc. nell’organizzazione delle aziende.

In questa nuova dimensione del lavoro così complessa e disarticolata negli spazi di attività (argomento di cui parlerò nel prossimo contributo) come si possono declinare la collaborazione, l’appartenenza, i rapporti interpersonali, l’ascolto e la riflessione? Non sono più utili e necessari?

Domande a cui tutti dobbiamo dare qualche risposta.