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Il concorso esterno nei reati associativi

La questione relativa alla configurabilità del concorso esterno nei reati associativi forma attualmente oggetto di un ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale, nel quale assumono preminente rilievo due esigenze: da un lato, quella di applicare la sanzione penale esclusivamente in presenza di una adeguata giustificazione sostanziale e comunque nel rispetto dei principi di tassatività e necessaria determinatezza della fattispecie; dall’altro, quella di non lasciare impunite pericolose condotte di sostegno per l’organizzazione criminale, poste in essere da persone che non fanno parte della struttura associativa.

L’applicazione della norma di parte generale sul concorso svolge, infatti, una autonoma funzione incriminatrice rispetto a condotte di per sé prive dei connotati della partecipazione e quindi atipiche, le quali vengono ad acquistare rilevanza penale in quanto strumentalmente connesse al funzionamento dell’organizzazione criminale.

Il problema della configurabilità e della portata applicativa della fattispecie del concorso esterno si pone in relazione ad ogni figura di reato associativo, e trova il suo presupposto nel verificarsi di fenomeni di infiltrazione e radicamento delle organizzazioni criminose in più vasti contesti sociali.

Rispetto all’associazione di tipo mafioso, l’applicazione della figura del concorso eventuale assume particolare importanza con riferimento alle situazioni di “contiguità” all’organizzazione criminale, le quali, rafforzando l’apparato strumentale ed agevolando la realizzazione del programma criminoso dell’illecito sodalizio, possono contribuire in misura rilevante ad esporre a pericolo i beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice (l’ordine pubblico generale, l’ordine economico, l’ordine democratico, il corretto funzionamento della pubblica amministrazione) e presentano pertanto un notevole disvalore.

Occorre premettere che la controversia sulla ammissibilità del concorso esterno nei reati associativi riguarda soprattutto il concorso materiale. Con specifico riferimento al reato associativo previsto dall’art. 305 c.p. (cospirazione politica mediante associazione), la configurabilità del concorso eventuale era già stata affermata dalla I Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1569 del 1969 (imp. Muther). Si era infatti esplicitato che “l’appartenente alla associazione prevista dall’art.305 c.p. è l’accolito del sodalizio, cioè colui che, conoscendone l’esistenza e gli scopi, vi aderisce e ne diviene con carattere di stabilità membro e parte attiva, rimanendo sempre al corrente dell’interna organizzazione, dei particolari e concreti progetti, del numero dei consoci, delle azioni effettivamente attuate o da attuarsi, sottoponendosi alla disciplina delle gerarchie ed al succedersi dei ruoli. La figura del concorrente, invece, è individuabile nell’attività di chi - pur non essendo membro del sodalizio, cioè non aderendo ad esso nella piena accettazione dell’organizzazione, dei mezzi e dei fini - contribuisce all’associazione mercé un apprezzabile e fattivo apporto personale, agevolandone l’affermarsi e facilitandone l’operare, conoscendone la esistenza e le finalità, ed avendo coscienza del nesso causale del suo contributo”.

Questa decisione individuava nell’ingresso nell’associazione, e quindi nell’esserne divenuto membro, l’elemento discretivo tra la partecipazione ed il concorso esterno.

In seguito, tuttavia, l’impostazione che ammetteva la configurabilità del concorso eventuale nel reato associativo, ravvisando nell’ingresso nell’associazione, e quindi nell’esserne divenuto membro, l’elemento discretivo tra la partecipazione ed il concorso esterno, non è stata condivisa, con specifico riferimento all’ipotesi dell’associazione di tipo mafioso, da alcune pronunzie della Suprema Corte che hanno definito la condotta partecipativa sulla base del paradigma del contributo dato all’illecito sodalizio.

In questo senso si è espressa la sentenza n. 8092 del 19 gennaio 1987 (ric. Cillari) della I Sezione della Corte di Cassazione, secondo la quale “la cosiddetta partecipazione esterna, che ai sensi dell’art. 110 c.p. renderebbe responsabile colui che pur non essendo formalmente entrato a far parte di una consorteria mafiosa abbia tuttavia prestato al sodalizio un proprio ed adeguato contributo con la consapevole volontà di operare perché lo stesso realizzasse i suoi scopi, si risolve, in realtà, nel fatto tipico della partecipazione punibile, la quale deve ritenersi integrata da ogni contributo apprezzabile effettivamente apportato alla vita dell’ente ed in vista del perseguimento dei suoi scopi, mediante una fattiva e consapevole condivisione della logica di intimidazione e di dipendenza personale propria del gruppo e nella consapevolezza del nesso causale del contributo stesso”.

Ad analoghe conclusioni è giunta la sentenza n.8864 del 1989 (ric. Agostani) della I Sezione della Suprema Corte, sulla base dell’assunto che nel fatto realizzato dal soggetto esterno al sodalizio mancano sia l’elemento materiale tipico del reato, cioè la condotta esprimente l’apporto all’organizzazione già formatasi o mentre si forma, sia l’elemento soggettivo, che è non solo quello di conoscere e volere quella determinata condotta ma anche quello finalizzato agli scopi sociali (affectio societatis scelerum). Conseguentemente la Corte di Cassazione ha affermato che “l’ipotesi concorsuale ai sensi dell’art. 110 c.p. non trova ingresso nello schema dell’art. 416 c.p. al di là del concorso morale e limitatamente ai soli casi di determinazione od istigazione a partecipare od a promuovere, costituire, organizzare l’associazione per delinquere. Pertanto, una condotta che concretamente favorisce le attività ed il perseguimento degli scopi sociali, posta in essere da un soggetto esterno al sodalizio, non potrà essere ritenuta condotta di partecipazione al reato associativo ove non sia accompagnata, non dalla mera connivenza, bensì dalla coscienza e volontà di raggiungere attraverso quegli atti, anche se di per se stessi leciti, pure i fini presi di mira dall’associazione e fatti propri, trattandosi, in tal caso non già di concorso nel reato di associazione, bensì di attività che realizza, perfezionandosi l’elemento soggettivo e quello oggettivo, il fatto tipico previsto dalla norma istitutiva della fattispecie associativa”.

La configurabilità del concorso eventuale con riferimento all’associazione di tipo mafioso è stata esclusa anche dalle sentenze n. 2343 e n. 2348 della I Sezione della Suprema Corte, emesse all’udienza del 18 maggio 1994 (ric. Mattina e Clementi).

Nella pronunzia in esame la Cassazione ha in primo luogo osservato che per affermare o meno la responsabilità del soggetto in ordine al reato di cui all’art. 416 bis c.p. occorre fare riferimento alle norme dell’ordinamento penale e non alle regole interne dell’organizzazione criminosa, sicché "può verificarsi che un soggetto considerato ’uomo d’onore’, senza ulteriore indicazione di specifica condotta penalmente rilevante, può non essere penalmente perseguibile per il detto reato associativo, mentre altro soggetto, per l’organizzazione criminosa soltanto ’avvicinato’ e, quindi, non organicamente interno alla medesima, potrà essere perseguito per detto reato qualora abbia realizzato condotta costituente contributo ovvero apporto obiettivamente idoneo alla conservazione od al rafforzamento della struttura associativa". Ciò premesso, la sentenza ha precisato che l’elemento materiale del reato dell’art. 416 bis è costituito dalla condotta di partecipazione intesa come “stabile permanenza di vincolo associativo tra gli autori - almeno in numero di tre - del reato allo scopo di realizzare una serie indeterminata di attività tipiche dell’associazione”, e che l’elemento soggettivo è il “dolo nella particolare forma di dolo specifico caratterizzato dalla cosciente volontarietà di partecipare a detta associazione per delinquere con il fine di realizzarne il particolare programma - concretizzantesi sia in condotte illecite che in condotte di per sé lecite ma penalmente perseguibili perché realizzate con le modalità suddescritte - e con la permanente consapevolezza di ciascun associato di fare parte del sodalizio criminoso e di essere disponibile ad operare per l’attuazione del comune programma delinquenziale con qualsivoglia condotta idonea alla conservazione ovvero al rafforzamento della struttura associativa”. Sulla base di queste premesse, si è affermato che “conseguentemente il concorrente ’eventuale’ nel reato in questione non soltanto deve realizzare una condotta, come sopra precisato, o, quanto meno, deve contribuire con il suo comportamento alla realizzazione della medesima, ma deve anche agire con la volontaria consapevolezza che detta sua azione contribuisce all’ulteriore realizzazione degli scopi della societas sceleris: il che, di tutta evidenza, non differisce dagli elementi - soggettivo ed oggettivo - caratterizzanti la ’partecipazione’ e quindi il concorso necessario”.

Secondo la sentenza in questione, l’ammissibilità del concorso eventuale nel reato di cui all’art. 416 bis c.p. non può desumersi neppure dal tenore letterale dell’art. 418 c.p., che stabilisce che la figura criminosa dell’assistenza agli associati è applicabile "al di fuori del caso di concorso nel reato" di associazione di tipo mafioso, poiché "l’interpretazione sistematica di altre norme penali interessanti la materia porta a ritenere che la citata espressione si riferisce al solo concorso necessario di persone nel reato di cui all’art. 416 bis c.p. e non anche al concorso eventuale nel medesimo”.

Ad analoghe conclusioni è pervenuta la sentenza n. 2699 del 1994 (ric. Della Corte) della I Sezione della Corte di Cassazione, secondo la quale «nei reati di associazione e, segnatamente, nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso non è configurabile responsabilità a titolo di cosiddetto "concorso esterno" giacché o il presunto concorrente esterno, nel porre in essere la condotta oggettivamente vantaggiosa per il sodalizio criminoso, è animato anche dal dolo specifico proprio di chi voglia consapevolmente contribuire a realizzare i fini per i quali il detto sodalizio è stato costituito ed opera, e allora egli non potrà in alcun modo distinguersi dal partecipante a pieno titolo; ovvero, mancando in lui quel dolo specifico, la condotta favoreggiatrice o agevolatrice da lui posta in essere dovrà essere necessariamente riguardata come strutturalmente e concettualmente distinta e separata dal reato associativo».

La configurabilità del concorso eventuale è stata esclusa, per ragioni attinenti all’elemento soggettivo del reato, anche dalla sentenza n. 4342 del 1994 (ric. Cavallari) della II Sezione della Corte di Cassazione, secondo la quale "poiché i delitti di cui agli artt. 416 e 416 bis c.p. sono caratterizzati dal dolo specifico, e deve conseguentemente sussistere la volontà del concorrente di contribuire a realizzare gli scopi in vista dei quali è costituito ed opera il sodalizio criminoso, non può ipotizzarsi un concorso nel delitto associativo a titolo di dolo eventuale".

Per quanto attiene all’elemento soggettivo del concorso esterno, si è rilevato che la prevalente dottrina ha ammesso la possibilità del concorso con dolo generico in un delitto a dolo specifico, purché almeno uno dei concorrenti sia animato dalla finalità ulteriore richiesta dalla norma incriminatrice di parte speciale.

Agli argomenti contrari alla configurabilità del concorso esterno per ragioni connesse all’interpretazione sistematica della normativa antimafia si è replicato, in primo luogo, che, a differenza delle aggravanti previste dal comma 2 dell’art. 378 c.p. e dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n.152 convertito con L. 12 luglio 1991 n.203, la figura del concorso eventuale nel delitto associativo è suscettibile di attribuire rilevanza penale a comportamenti non tipizzati da specifiche disposizioni di parte speciale.

In proposito, si è aggiunto che le predette aggravanti sono previste in leggi il cui scopo è quello di rafforzare il presidio penale contro la criminalità organizzata, e sarebbe quindi paradossale che l’esegesi delle norme contenute in atti legislativi emanati in funzione di tale obiettivo portasse a soluzioni interpretative che conseguissero il risultato opposto.

Si è pure rilevato che la funzione sussidiaria svolta dagli artt. 378 e 418 c.p. (applicabili fuori dei casi di concorso nei reati-presupposto) impedisce di attribuire alle stesse norme l’attitudine ad escludere la configurabilità del concorso esterno.

Del resto, il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità ha, con persuasive argomentazioni, ritenuto configurabile il concorso eventuale nell’associazione di tipo mafioso, pur esprimendo vari indirizzi interpretativi sulla identificazione dei casi e sulla definizione dei limiti di operatività di tale fattispecie plurisoggettiva eventuale.

In particolare, la sentenza n. 3492 del 1988 (ric. Altivalle) della I Sezione della Cassazione ha affermato che le condotte di partecipazione all’associazione devono essere caratterizzate “sul piano soggettivo, da quella che è stata chiamata in dottrina l’affectio societatis, ossia dalla consapevolezza e dalla volontà di far parte dell’organizzazione criminosa, condividendone le sorti e gli scopi (alternativamente definiti dal comma terzo dell’art. 416 bis) e, sul piano oggettivo, dall’inserimento nell’organizzazione, che prescinde da formalità o riti che lo ufficializzano, ben potendo esso risultare per facta concludentia, attraverso cioè un comportamento che sul piano sintomatico sottolinei la partecipazione, nel senso della norma, alla vita dell’associazione”; pertanto “per far parte dell’associazione e realizzare quindi la condotta tipica, non basta che [l’agente] aiuti o si attivi a favore dell’associazione: deve farne parte”. Il concorso eventuale, si configura invece “non soltanto nel caso di concorso psicologico, nelle forme della determinazione e dell’istigazione nel momento in cui l’associazione viene costituita, ma anche successivamente, quando questa è già costituita, tutte quelle volte in cui il terzo non abbia voluto entrare a far parte dell’associazione o non sia stato accettato come socio, e tuttavia presti all’associazione medesima un proprio contributo, a condizione però che tale apporto, valutato ex ante, e in relazione alla dimensione lesiva del fatto ed alla complessità della fattispecie, sia idoneo se non al potenziamento almeno al consolidamento ed al mantenimento dell’organizzazione criminosa. Esso, pertanto, deve consistere in un apporto obbiettivamente adeguato e soggettivamente diretto a rafforzare o mantenere in vita l’associazione criminosa, con la consapevolezza e la volontà - elementi minimi per la realizzazione della fattispecie dell’art. 110 c.p. - di contribuire alla realizzazione degli scopi dell’associazione a delinquere. Con la conseguenza che il concorso non sussiste quando il contributo è dato ai singoli associati, ovvero ha ad oggetto specifiche imprese criminose e l’agente persegua fini suoi propri, in una posizione di assoluta indifferenza rispetto alle finalità proprie dell’associazione”.

Una simile impostazione è stata seguita dalla sentenza n.4805 del 1993 (ric. P.M. in proc. Altomonte) della I Sezione della Cassazione, secondo cui “in tema di associazione per delinquere, perché assuma rilevanza la condotta individuale, occorre l’esistenza del pactum sceleris, con riferimento alla consorteria criminale, e dell’affectio societatis, in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un’associazione vietata. E’ punibile, pertanto, a titolo di partecipazione, colui che presti la sua adesione e il suo contributo all’attività associativa, anche per una fase temporalmente limitata. Risponde, invece, a titolo di concorso nel reato associativo il soggetto che, estraneo alla struttura organica del sodalizio, si sia limitato anche ad occasionali prestazioni di singoli comportamenti aventi idoneità causale per il conseguimento dello scopo sociale o per il mantenimento della struttura associativa, avendo la consapevolezza dell’esistenza dell’associazione e la coscienza del contributo che ad essa arreca”.

Nel senso della ammissibilità del concorso esterno si sono altresì pronunciate la sentenza n. 2902 del 1993 (ric. Turiano) della I Sezione della Cassazione (la quale ha affermato che "deve ritenersi ammissibile il concorso eventuale di persone in un reato associativo, che si realizza quando la condotta dell’agente non sia intrinsecamente connaturata con la struttura del sodalizio criminoso, ma ne costituisca soltanto supporto esterno non direttamente incidente sugli elementi necessari per la configurazione dell’associazione", ed ha osservato che la norma relativa al concorso di persone e la natura giuridica del reato plurisoggettivo non escludono la possibilità di un concorso eventuale) e la sentenza del 31 agosto 1993 (imp. Di Corrado) della Sezione Feriale della Cassazione (secondo cui il concorso eventuale nel reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p. è configurabile e si realizza ogniqualvolta un soggetto, senza essere stabilmente inserito nella struttura dell’associazione criminosa, svolga, con coscienza e volontà, un’attività, ancorché occasionale e di importanza secondaria o di semplice intermediazione, che sia conforme alle finalità proprie dell’organizzazione mafiosa e rappresenti un contributo causale apprezzabile per il loro conseguimento).

Le suindicate sentenze della Suprema Corte hanno quindi seguito, ai fini della distinzione tra la condotta di partecipazione e quella di concorso, il criterio fondato sull’inserimento o meno del soggetto nella struttura dell’organizzazione delinquenziale.

La configurabilità del concorso esterno nel reato associativo è stata ammessa anche dalla sentenza n. 9242 del 1988 (ric. Barbella) della I Sezione della Cassazione, che tuttavia ha posto l’accento, per distinguerlo dalla partecipazione, sulla episodicità del contributo, rilevando che "va ravvisato concorso nel reato di associazione per delinquere, e non partecipazione all’associazione stessa, quando l’agente, estraneo alla struttura organica dell’associazione, si sia limitato alla occasionale e non istituzionalizzata prestazione di un singolo comportamento, non privo di idoneità causale per il conseguimento dello scopo del sodalizio, che costituisca autonoma e individuale manifestazione di volontà criminosa e si esaurisca nel momento della sua espressione perché ontologicamente concepita e determinata nei correlativi limiti di tempo e di efficacia".

Invece nel caso di contributo episodico sembra escludere la configurabilità del concorso esterno la sentenza n.2718 del 1994 (ric. Bargi ed altro) della I Sezione della Cassazione, la quale, affrontando la questione se le ipotesi delittuose di agevolazione dell’associazione per delinquere assorbano l’ipotesi di concorso in associazione, ha affermato che concorre nel delitto di associazione per delinquere colui che con azione atipica rispetto a quella propria del delitto stesso, aiuta a realizzare l’evento giuridico dell’associazione, contribuendo alla sua costituzione o alla partecipazione degli aderenti o alla sua efficacia; ha specificato che tale concorso deve essere permanente, così come permanente è il delitto di associazione; ed ha concluso che "si realizza il concorso eventuale di persone nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso ogniqualvolta la condotta dell’agente non sia intrinsecamente connaturata con la struttura e le finalità del sodalizio criminoso, ma ne costituisca solo un supporto esterno non direttamente incidente sugli elementi costitutivi dell’associazione stessa, contribuendo alla sua costituzione o alla partecipazione degli aderenti od alla sua efficacia. Si configura l’agevolazione, invece, quando taluno, con specifica e singola condotta, aiuti l’associazione ad attuare il suo programma criminoso".

La consapevolezza che la disputa sull’ammissibilità del concorso esterno non verte esclusivamente sulla esatta qualificazione giuridica di condotte comunque punibili, ma si risolve anche in una diversa delimitazione dell’area dell’illiceità penale, è riscontrabile con chiarezza nella sentenza del 1° settembre 1994 (ric. Graci) della Sezione Feriale della Cassazione, la quale ha espresso l’avviso che “nella nozione di partecipazione all’associazione di tipo mafioso non possono farsi rientrare tutte quelle condotte atipiche che potrebbero far configurare il concorso eventuale e in particolare che non basti un consapevole apporto causale ad alcune attività dell’associazione per integrare una condotta di partecipazione”. Secondo questa pronunzia “deve infatti considerarsi, da un lato, che l’associazione si basa su un accordo associativo, su un’organizzazione e su regole, anche se è possibile che questi ultimi due elementi siano di carattere rudimentale, e, dall’altro, che la condotta di partecipazione secondo l’art. 416 bis comma 1 c.p. consiste nel ’fare parte’ dell’associazione, cioè nell’esserne divenuto membro attraverso un’adesione alle regole dell’accordo associativo e un inserimento, di qualunque genere, nell’organizzazione, con carattere di permanenza. Inoltre l’adesione deve trovare un riscontro da parte dell’associazione, nel senso che questa, a sua volta, deve riconoscere la qualità di associato alla persona che ha manifestato l’adesione”. La Suprema Corte ha rilevato che “si è detto che le conoscenze circa la struttura di un’associazione per delinquere costituiscono materiale di fatto la cui valutazione, ai fini di affermare o meno la responsabilità di un soggetto in ordine al reato di cui all’art. 416 bis c.p., è riservata alle norme del vigente ordinamento penale e non alla valenza datagli dalle ’regole’ interne dell’organizzazione criminosa (...) e l’affermazione in linea di principio è esatta ma non considera che sono le norme dell’ordinamento, e in particolare gli artt. 416 e 416 bis c.p. con i concetti di ’persone che si associano’, di associazione e di ’fare parte’, che fanno riferimento all’accordo associativo e all’attività degli associati, a loro volta distinti in promotori, dirigenti, organizzatori e semplici partecipi. Non occorrono atti formali o prove particolari dell’ingresso nell’associazione, che ovviamente, a seconda delle regole di questa, può avvenire nei modi più diversi, ed anche solo mediante un’adesione di qualunque genere ricevuta dal capo; ma occorre che un ingresso ci sia stato, che cioè una persona sia divenuta ’parte’ dell’associazione, e non è sufficiente che con l’associazione essa sia entrata in rapporto, trovandone giovamento o fornendo un contributo fattivo ad alcuni associati”.

Da questa pronunzia si desume, quindi, che per integrare l’appartenenza all’associazione si richiede un accordo associativo che faccia riconoscere l’autore come membro dell’associazione. Tale accordo non richiede necessariamente forme particolari e può essere anche tacito ma deve comportare un inserimento nell’associazione. Conseguentemente, la fattispecie della partecipazione non è suscettibile di ricomprendere le condotte che si esauriscono in un consapevole contributo causale ad alcune attività dell’associazione; simili condotte atipiche sono, invece, sussumibili nell’ipotesi del concorso eventuale.

I requisiti oggettivi e soggettivi della figura del concorso esterno sono stati delineati sul modello della fattispecie della partecipazione dalla sentenza n. 3635 del 1994 (ric. Amato) della II Sezione della Cassazione, che ha osservato quanto segue: "in tema di associazione per delinquere comune o di tipo particolare è giuridicamente corretto qualificare concorrenti eventuali nel delitto coloro che si aggiungono ai concorrenti necessari per svolgere attività di cooperazione, istigazione, aiuto, secondo le svariate manifestazioni in cui può estrinsecarsi il concorso previsto dall’art. 110 c.p.; è necessario tuttavia che le loro condotte risultino tutte finalisticamente orientate verso l’evento tipico di ciascuna figura criminosa, consentendo questa convergenza e coincidenza volitiva l’estensione della rilevanza penale a comportamenti i quali, avulsi dal contesto e singolarmente considerati, non rientrerebbero nell’attività esecutiva del reato descritta dalla norma. Applicando questi concetti all’ipotesi prevista dall’art. 416 bis c.p., modellata dal legislatore sullo schema dell’associazione per delinquere comune, non essendo ovviamente consentito al giudice di creare nuove figure di reato, occorre, sotto il profilo materiale, che il concorrente eventuale abbia posto in essere una condotta obbiettivamente dimostrativa quanto meno della sua disponibilità a partecipare all’associazione e coerente con le peculiari finalità della medesima (art. 416 bis, terzo comma, c.p.); e, sotto il profilo morale, che egli abbia agito con la coscienza e volontà di far parte del sodalizio (dolo generico) ed allo scopo di realizzare il particolare programma delinquenziale (dolo specifico), laddove, invece, i moventi personali che costituiscono la causa psichica della sua azione (lucro, sicurezza, ecc.) sono del tutto irrilevanti".

Per porre fine al contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n.16 emessa all’udienza del 5 ottobre 1994 (ric. Demitry), relativa al caso di un soggetto accusato di avere svolto un’attività di intermediazione tra il capo di un’associazione camorristica ed un giudice per l’aggiustamento di un processo penale a carico dei membri del sodalizio criminoso.

Tale pronuncia ha affermato il principio della configurabilità del concorso eventuale nel reato di associazione di tipo mafioso, ponendo in evidenza la diversità di condotta e di atteggiamento psichico tra il partecipe dell’associazione ed il concorrente eventuale materiale.

Secondo le Sezioni Unite, «il partecipe è colui che fa parte dell’associazione, è colui che "entra nell’associazione e ne diventa parte". Come è stato acutamente rilevato dalla dottrina, il legislatore, nell’usare la locuzione "far parte" rispetto alla formula "per il solo fatto di partecipare", adottata in pressoché tutti gli altri reati associativi, "ha avuto consapevolezza di una peculiare caratterizzazione del rapporto associato-associazione nel contesto mafioso, consapevolezza che si è tradotta normativamente in una maggiore tipizzazione della figura del partecipe". "Ciò significa che una condotta, per essere considerata aderente al tipo previsto dall’art. 416 bis per la partecipazione ad una associazione mafiosa, deve rispecchiare un grado di compenetrazione del soggetto con l’organismo criminale tale da potersi sostenere che egli, appunto, faccia parte di esso". Questa compenetrazione, questo "far parte" può essere provato, ovviamente, in tanti modi. E se una delle fonti di prova può essere la chiamata in correità a più voci, è certo che la più sicura fonte di prova o, se si vuole, il riscontro più pregnante delle eventuali chiamate in correità è il ruolo assegnato dall’associazione al partecipe e da quest’ultimo svolto. Sono, in altri termini, i facta, i comportamenti dell’associato che ne proveranno la sua veste di partecipe, comportamenti che, a ben vedere, consistono nell’assolvimento di compiti fisiologicamente propri dell’associazione, anche se la fisiologia è quella di un ente di per se patologico come l’associazione per delinquere. Il partecipe è colui senza il cui apporto quotidiano o, comunque, assiduo l’associazione non raggiunge i suoi scopi o non li raggiunge con la dovuta speditezza, il che apre la strada ad una vasta gamma di possibili partecipi, che vanno da coloro che si sono assunti o ai quali sono stati affidati compiti di maggiore responsabilità… - i promotori, gli organizzatori, i dirigenti - a quelli con responsabilità minori o minime, ma il cui compito è o è pure necessario per le fortune della associazione. Costoro, però, agiscono, per lo più, nella fisiologia, nella vita "corrente", quotidiana dell’associazione».

Sotto il profilo dell’elemento psicologico, il partecipe deve avere sia la volontà di fare stabilmente parte dell’associazione sia la volontà di contribuire alla realizzazione dei suoi fini.

Il concorrente eventuale è, invece, il soggetto che «non vuole far parte dell’associazione e che l’associazione non chiama a “far parte” ma al quale si rivolge sia, ad esempio per colmare temporanei vuoti in un determinato ruolo, sia, soprattutto - e il caso dell’"aggiustamento" di un processo risponde a questa logica - nel momento in cui la “fisiologia” dell’associazione entra in fibrillazione, attraversa una fase patologica, che, per essere superata, esige il contributo temporaneo, limitato di un esterno. Certo, anche in questo caso potrebbe risultare che l’associazione ha assegnato ad un associato il ruolo di aiutarla a superare i momenti patologici della sua vita. Ma resta il fatto che lo spazio proprio del concorso eventuale materiale appare essere quello dell’emergenza nella vita dell’associazione o, quanto meno, non lo spazio della normalità occupabile da uno degli associati. La anormalità, la patologia, poi, può esigere anche un solo contributo, il quale, dunque, può, come sottolinea la dottrina favorevole alla configurabilità del concorso eventuale, essere anche episodico, estrinsecarsi, appunto, in un unico intervento, ché ciò che conta, ciò che rileva è che quell’unico contributo serva per consentire all’associazione di mantenersi in vita, anche solo in un determinato settore, onde poter perseguire i propri scopi”».

Ne consegue che il dolo del concorrente eventuale consiste nella volontà di porre in essere la sua condotta atipica. L’elemento soggettivo del concorso esterno si sostanzia nella volontà del soggetto di prestare il suo contributo e nella consapevolezza di agevolare, con quel contributo, l’associazione. Resta, invece, esclusa la volontà di far parte dell’associazione, e non è neppure richiesta la volontà di realizzare i fini propri dell’associazione; il concorrente eventuale “può disinteressarsi della strategia complessiva di quest’ultima, degli obiettivi che la stessa si propone di conseguire”.

Anche se il concorrente eventuale dà “di norma il suo apporto perseguendo i propri scopi e non quelli della associazione, non è, però, da escludere che possa agire anche con dolo specifico e, ciò nonostante, restare concorrente esterno”.

In altri termini il concorrente eventuale può agire sia con il dolo generico (consistente nella volontà di apportare un contributo all’associazione, essendo cosciente che altri fa parte dell’associazione e agisce con la volontà di perseguirne i fini), sia con il dolo specifico (consistente nella volontà di contribuire agli scopi dell’associazione), senza per questo divenire partecipe.

A queste conclusioni la Suprema Corte a Sezioni Unite è pervenuta affermando l’applicabilità anche all’ipotesi dell’associazione di tipo mafioso del principio generale per cui si può avere concorso con dolo generico in un reato a dolo specifico, a condizione che un altro concorrente abbia agito con la finalità richiesta dalla legge.

La possibilità che anche il concorrente eventuale materiale agisca con il dolo specifico viene desunta dalla sicura ammissibilità, generalmente affermata sia in dottrina che in giurisprudenza, di tale tipo di dolo per il concorrente eventuale morale nel reato associativo. Sul punto, la sentenza in esame ha altresì osservato che «anche l’indirizzo che esclude la configurabilità del concorso eventuale nel reato di associazione per delinquere di stampo mafioso è dell’avviso che il concorso eventuale sia ipotizzabile nella forma del concorso morale, nella forma della istigazione, e dà per certo che il concorrente "morale" possa agire con il dolo specifico e che, pur con questo dolo, continui ad essere concorrente eventuale. Ora, se non v’è nessuna ragione per ammettere, in questo reato, il concorso eventuale nella forma del concorso morale e per escluderlo nella forma del concorso materiale, si deve concludere che il concorrente "materiale" può avere il dolo specifico ed essere, appunto, concorrente eventuale come lo è il concorrente "morale"». Inoltre, la pronunzia ha evidenziato che “la giurisprudenza e la dottrina, allorché si interessano del concorso di persone nel reato, dicono che i concorrenti possono dare un contributo necessario, ponendo in essere una condizione sine qua non del reato, contributo che può essere sia di partecipazione morale, che è quella che dà luogo alla determinazione dell’altrui proposito criminoso, sia di partecipazione materiale, che si esterna in tutte le possibili forme di estrinsecazione del contributo fisico essenziale. Rilevano, poi, che i concorrenti possono fornire un contributo agevolatore, limitandosi soltanto a facilitare la realizzazione del reato, contributo che può essere, ancora una volta, e di partecipazione morale, che rafforza l’altrui proposito criminoso, e di partecipazione materiale, che si manifesta in tutte le forme in cui l’agevolazione fisica può estrinsecarsi. Necessari e agevolatori possono esserlo, pertanto, sia il contributo morale, sia il contributo materiale, i quali, quanto all’elemento soggettivo, sono sullo stesso piano in quanto entrambi manifestazioni di concorso nel medesimo reato”.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno, altresì, respinto l’orientamento ermeneutico secondo cui il legislatore, con l’esplicita previsione della speciale aggravante delineata dall’art. 378 comma 2° c.p. e dell’ulteriore aggravante di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, avrebbe implicitamente escluso la possibilità di ipotizzare il concorso eventuale dell’estraneo nel reato di associazione mafiosa come figura generale del nostro ordinamento.

Al riguardo, la sentenza n.16 del 1994 ha osservato che il concorso eventuale materiale nel reato associativo conserva un proprio autonomo spazio di rilevanza penale (nei limiti della funzione incriminatrice svolta dall’art. 110 c.p., che rende illecite anche condotte atipiche), e può eventualmente concorrere con la responsabilità per i reati-fine aggravati ai sensi dell’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, commessi dall’estraneo a vantaggio dell’organizzazione criminale (ad esempio, nel caso in cui l’associazione, per commettere l’omicidio di un individuo capace di mettere in pericolo la vita del sodalizio, decida di avvalersi di un esterno, il quale accetti di intervenire avendo consapevolezza del "valore" della sua condotta, che contribuisce alla stabilità del vincolo associativo e al perseguimento degli scopi dell’organizzazione).

Una conferma testuale dell’ammissibilità del concorso esterno nel reato associativo, secondo le Sezioni unite, può rinvenirsi nell’art. 418 c.p., che nel prevedere il reato di assistenza agli associati introduce una clausola di riserva (“fuori dei casi di concorso nel reato”) riferibile al concorso eventuale esterno nel reato associativo. Poiché nel testo dell’art. 418 c.p. il legislatore ha fatto ricorso a due differenti espressioni (“chiunque fuori dei casi di concorso” e “persone che partecipano all’associazione”) le quali richiamano necessariamente due realtà differenti, il termine di "concorso" non può ritenersi sinonimo di concorso necessario.

La suddetta pronunzia delle Sezioni Unite ha dunque ritenuto configurabile il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso, ma ne ha circoscritto il campo di operatività, considerandolo possibile solo in situazioni di anormalità, per il cui superamento sia richiesto il contributo (anche episodico) di un soggetto esterno, che serva per consentire all’associazione di mantenersi in vita e perseguire i propri scopi anche solo in uno specifico settore. Il criterio distintivo rispetto alla condotta del partecipe è stato ravvisato nella compenetrazione di quest’ultimo con l’organismo criminale.

La questione concernente il contenuto dell’elemento soggettivo del concorrente esterno nel reato di associazione mafiosa è stata nuovamente presa in esame dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 30 emessa all’udienza del 27 settembre 1995 (ric. Mannino), la quale, con riferimento al caso di specie, ha formulato le seguenti osservazioni: «se è vero che il Mannino ha avuto la consapevolezza di trattare con ambienti e persone mafiosi per chiedere sostegno elettorale e se è vero che ha remunerato questo sostegno in un certo modo, nel modo descritto nel capo di imputazione e in determinate pagine del provvedimento impugnato - con appalti, licenze, concessioni, posti di lavoro, ecc. -, il problema dell’elemento soggettivo trova la soluzione si può dire in re ipsa, sicché non meraviglia se il tribunale, che ha provato, sia pure in sede di riesame di un provvedimento restrittivo della libertà, la natura dei rapporti del Mannino con determinate persone, non abbia speso molte parole sul tema, ma si sia soffermato su quel retroterra mettendo in luce che il Mannino sapeva con chi aveva a che fare - e abbia sottolineato che certi comportamenti, ritenuti gravi indizi di colpevolezza, fossero frutto di quel retroterra, fossero il corrispettivo prestato dal Mannino per il sostegno ricevuto. Queste SS.UU. si sono interessate del problema del dolo, che deve sorreggere la condotta del concorrente esterno nel reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, nella sentenza 05 ottobre 1994, Demitrj. Questa sentenza ha affermato, anzitutto, che il concorrente esterno non può avere il dolo specifico proprio del partecipe, dolo che consiste nella consapevolezza di fare parte dell’associazione, di esserne partecipe, e nella volontà di contribuire a tenere in vita l’associazione e a farle raggiungere gli obiettivi, gli scopi, che si è prefissa. Ha affermato, poi, che il concorrente esterno, pur non essendo partecipe, può avere, però, un proprio dolo specifico, consistente nella volontà, non, evidentemente, di far parte dell’associazione, ma di contribuire alla realizzazione dei fini della stessa. Ha detto, infine, che il concorso esterno, proprio perché postula che l’associazione esista e abbia, quindi, i suoi partecipi con il necessario dolo specifico, fa sì che il concorrente possa avere anche il semplice dolo generico, cioè la semplice coscienza e volontà di dare il proprio contributo, disinteressandosi della strategia complessiva dell’associazione, degli obiettivi che la stessa persegue e, pertanto, della maggiore o minore o, addirittura, insignificante efficacia del proprio contributo ai fini del mantenimento in vita e del conseguimento degli scopi dell’associazione. Ebbene, nella logica del tribunale c’è posto almeno per il dolo generico, per un corrispettivo alle associazioni mafiose o ai mafiosi, in quanto tali, con la consapevolezza, da parte del Mannino, di dare un contributo, anche prescindendo - e disinteressandosene, magari, completamente - dall’efficacia del proprio contributo alle fortune dell’associazione».

La successiva giurisprudenza si è uniformata alla tesi affermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

La I Sezione della Suprema Corte, con la sentenza n. 7940 del 1995 (ric. Alfano ed altri), ha ribadito che “per integrare il concorso esterno di persone nel reato associativo non è richiesta la sussistenza del dolo specifico, ma è sufficiente quello generico, laddove il dolo tipico del reato di cui all’art. 416 bis c.p. caratterizzi la posizione dei concorrenti necessari”.

Alcune pronunzie di legittimità, conformemente all’orientamento seguito dalle Sezioni Unite nella sentenza n.16 del 1994, hanno esplicitato che l’area di applicabilità del concorso esterno resta tendenzialmente circoscritta agli interventi spiegati nei momenti di difficoltà dell’organizzazione criminale.

In particolare, la sentenza n.2080 del 1996 (ric. Blando) della IV Sezione della Cassazione ha affermato che “nell’ipotesi di concorso, anche nella forma cosiddetta eventuale o esterno, nel reato di cui all’art. 416 bis c.p. esiste una cointeressenza che, pur se occasionale, deve presentare il carattere di una rilevante importanza, tale da comportare l’assunzione di un ruolo esterno ma essenziale, ineliminabile ed insostituibile, particolarmente nei momenti di difficoltà dell’organizzazione criminale”.

Analogamente, la VI Sezione della Suprema Corte, con la sentenza n.5649 del 1997 (ric. Dominante ed altri) - riguardante il caso della consumazione di un omicidio "esemplare" di persona che, appartenente ad altro clan, in un momento di crisi del sodalizio di tipo mafioso, aveva contestato la posizione egemonica di quest’ultimo - ha evidenziato che «in tema di concorso esterno materiale nel delitto di cui all’art. 416 bis c.p., la differenza tra l’ipotesi della partecipazione e l’ipotesi del concorso esterno va ravvisata nel fatto che chi pone in essere un comportamento nell’interesse dell’associazione deve intervenire in un momento in cui il sodalizio si trovi in una condizione di difficoltà, tendendo proprio a far sì che l’associazione venga, attraverso il suo contributo, "salvata", purché il concorrente esterno sappia di questa situazione. Di conseguenza, il concorso vale a qualificare il reato posto in essere per salvare l’associazione non come reato-fine ma come reato-mezzo, realizzato per gli scopi del sodalizio, in mancanza della volontà di farli propri».

Si è però manifestato anche un orientamento giurisprudenziale tendente a ravvisare ipotesi di concorso esterno in fattispecie caratterizzate dalla prestazione di un contributo continuativo in favore dell’associazione di tipo mafioso, prescindendo dal verificarsi di una situazione di anormalità della vita dell’organizzazione.

Precisamente, la V Sezione della Suprema Corte, con la sentenza n.4903 del 1997 (ric. P.G. in proc. Montalto), relativa al caso di un soggetto che, pur essendo estraneo all’associazione, aveva svolto con continuità l’attività di riscossione del "pizzo" per conto del sodalizio, ha affermato che “risponde del reato di concorso in associazione per delinquere di stampo mafioso il soggetto che, pur estraneo alla struttura organica del sodalizio, presti un contributo duraturo e consapevole all’attività delittuosa da questa svolta. La responsabilità può essere esclusa solo ove sia acquisita la prova positiva di una formale esclusione del soggetto dall’associazione secondo le regole interne, anche consuetudinarie, di questa. In assenza di tale dimostrazione, ove risulti che gli affiliati fanno preventivo affidamento sul contributo di taluno, la condotta di questi va considerata alla stregua di quella di qualsiasi partecipe”.

Questo indirizzo interpretativo rende, però, assai problematica la distinzione tra la condotta del concorrente esterno e quella dell’associato.

Un inequivocabile sintomo di tale difficoltà può essere individuato nella diverse soluzioni adottate dalla Suprema Corte con riferimento all’ipotesi della persona “avvicinata” dall’organizzazione mafiosa.

Sul punto, la sentenza n. 4379 del 1994 (ric. Ensabella) della V Sezione della Cassazione ha esplicitato che «in materia di associazione per delinquere di stampo mafioso, la qualifica dell’indagato come persona "avvicinata" dall’organizzazione criminale, configura il concorso eventuale nel reato associativo».

L’ipotesi del soggetto “avvicinato” è stata invece sussunta nella fattispecie della partecipazione all’associazione di tipo mafioso dalla I Sezione della Cassazione, che con la pronunzia n.1737 del 1995 (ric. Caldarera) ha evidenziato che «ai fini della emissione di una misura cautelare per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso i gravi indizi di colpevolezza possono essere legittimamente costituiti dalle dichiarazioni di più collaboranti che reciprocamente si riscontrano e che indicano un soggetto come "avvicinato" poiché nel linguaggio mafioso è possibile attribuire a tale termine uno specifico significato teso ad indicare una persona ormai inserita, anche se non ancora a pieno titolo, nell’associazione criminosa; peraltro una volta accertata la partecipazione al sodalizio, il reato di cui all’art. 416 bis c.p. è da ritenersi concretizzato indipendentemente dall’accertamento sugli apporti del soggetto alla realizzazione degli scopi sociali».

Per giungere ad una precisa delimitazione della rispettiva area di operatività delle fattispecie della partecipazione e del concorso esterno, resta quindi imprescindibile il riferimento ai criteri fissati dalla sentenza n.16 del 1994 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che rispondono alla duplice esigenza di assicurare, da un lato, un’efficace tutela dei beni giuridici protetto dalla norma di cui all’art. 416 bis c.p. anche contro le offese prodotte da soggetti estranei alla struttura criminale e, dall’altro, di garantire il rispetto del principio di necessaria determinatezza della fattispecie penale, con riguardo sia alla precisione della descrizione astratta della condotta punibile, sia alla sua rispondenza a comportamenti concreti effettivamente riscontrabili nella realtà sociale.

In ordine alla conformità al principio di tassatività dell’ipotesi delittuosa del concorso esterno, occorre infatti osservare che l’area dei comportamenti penalmente rilevanti risulta adeguatamente delimitata per effetto sia della tipizzazione della condotta sulla base della sua efficacia causale rispetto alla sopravvivenza ed al rafforzamento dell’organizzazione criminosa in fasi “patologiche” della sua vita, sia della obiettiva riconoscibilità, sul piano della realtà sociale, di comportamenti concreti sussumibili nel tipo legale (essendo frequentemente riscontrabili, nel contesto sociale di riferimento, condotte di rilevante sostegno all’organizzazione mafiosa poste in essere da individui non organicamente integrati in essa).

Dal riferimento, compiuto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, alla funzionalità del contributo del concorrente rispetto all’obiettivo di “consentire alla associazione di mantenersi in vita, anche solo in un determinato settore”, può evincersi che la condotta del concorrente esterno acquista rilevanza penale anche quando riveste efficacia causale rispetto all’esistenza ed al rafforzamento di una particolare articolazione dell’associazione mafiosa (ad esempio, una singola “famiglia” di “Cosa Nostra”), invece che dell’intera organizzazione.

Va inoltre sottolineato che se si ravvisa nella compenetrazione del soggetto nell’organismo criminale l’elemento suscettibile di caratterizzare in modo pregnante le condotte di partecipazione distinguendole da quelle di concorso esterno, è possibile pervenire ad una precisa delimitazione del rispettivo ambito di operatività delle due fattispecie attraverso l’esame della struttura e del funzionamento dell’associazione mafiosa, con la conseguente individuazione del rapporto intercorrente tra il soggetto ed il tessuto organizzativo dell’illecito sodalizio.

Poiché la condotta del concorrente esterno – a differenza di quella del partecipe - consiste non nell’assunzione di uno dei ruoli o dei compiti che caratterizzano l’apparato strutturale-strumentale dell’associazione di tipo mafioso nella sua normale operatività, bensì nella realizzazione di un apporto che “serva per consentire all’associazione di mantenersi in vita” in una situazione anormale o patologica, per affermare la responsabilità penale del singolo in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p. occorre accertare che il medesimo soggetto si sia effettivamente attivato per compiere l’intervento richiestogli dall’organizzazione criminale. Non è dunque sufficiente una mera disponibilità dell’estraneo a prestare il contributo richiestogli dall’associazione.

Vanno pertanto condivise le indicazioni dottrinali secondo cui per configurare la condotta di concorso esterno è necessario l’accertamento di un contributo non solo potenziale ma effettivamente fornito all’associazione da parte del soggetto che non ne faccia parte.

Di recente, sono intevenute altre pronunce giurisprudenziali.

Una recentissima sentenza della VI sezione penale (Cass., 3 novembre 2001) è sembrata tornare sulle orme delle Sezioni Unite accettandone i parametri, ma affermando al tempo stesso che "il concorso esterno nel reato associativo presuppone una situazione di emergenza o quanto meno di grave difficoltà nella vita dell’associazione, uno stato di fibrillazione del sodalizio criminale, cioè una situazione in cui la sopravvivenza del sodalizio versi in grave pericolo". Affermazione assai strana e che costituisce comunque un passo indietro. Non si vede infatti perché la mafia dovrebbe ricorrere all’aiuto esterno solo in momenti di crisi e non anche in quelli di floridezza, quando intende aprire nuovi campi di attività o accaparrarsi appalti vantaggiosi.

Dovrebbe essere chiaro a tutti, oltre ogni discussione teorica, che concorrente esterno è colui che non fa parte e non vuole far parte della mafia, ma che pone in essere per i motivi più vari condotte idonee a procurare un vantaggio alla mafia, quale che sia la situazione della medesima: favorevole o sfavorevole.

In tema di “concorso esterno all’associazione per delinquere” da ultimo la Corte di Cassazione, SS.UU. del 12/7/2005 n° 33748, ha precisato che la sua particolare struttura richiede che il dolo del concorrente esterno investa, nella rappresentazione e nella volizione, sia tutti gli elementi essenziali della figura criminosa tipica sia il contributo causale recato dal proprio comportamento alla realizzazione del fatto concreto, con la consapevolezza e la volontà di interagire sinergicamente con le condotte altrui nella produzione dell’evento lesivo del medesimo reato. In particolare nei delitti associativi si esige che il concorrente esterno, pur sprovvisto dell’affectio societatis, sia comunque consapevole dei metodi e dei fini della stessa e si renda compiutamente conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno, vantaggiosa per la conservazione o per il rafforzamento dell’associazione. Quanto poi al profilo della causalità effettivamente vi sono difficoltà di accertamento dell’effettivo nesso condizionalistico tra la condotta e la realizzazione del fatto di reato, mediante la cruciale operazione controfattuale di eliminazione mentale della condotta materiale atipica del concorrente esterno, integrata dal criterio di sussunzione sotto leggi di copertura o generalizzazioni e massime di esperienza dotate di affidabile plausibilità empirica.

La questione relativa alla configurabilità del concorso esterno nei reati associativi forma attualmente oggetto di un ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale, nel quale assumono preminente rilievo due esigenze: da un lato, quella di applicare la sanzione penale esclusivamente in presenza di una adeguata giustificazione sostanziale e comunque nel rispetto dei principi di tassatività e necessaria determinatezza della fattispecie; dall’altro, quella di non lasciare impunite pericolose condotte di sostegno per l’organizzazione criminale, poste in essere da persone che non fanno parte della struttura associativa.

L’applicazione della norma di parte generale sul concorso svolge, infatti, una autonoma funzione incriminatrice rispetto a condotte di per sé prive dei connotati della partecipazione e quindi atipiche, le quali vengono ad acquistare rilevanza penale in quanto strumentalmente connesse al funzionamento dell’organizzazione criminale.

Il problema della configurabilità e della portata applicativa della fattispecie del concorso esterno si pone in relazione ad ogni figura di reato associativo, e trova il suo presupposto nel verificarsi di fenomeni di infiltrazione e radicamento delle organizzazioni criminose in più vasti contesti sociali.

Rispetto all’associazione di tipo mafioso, l’applicazione della figura del concorso eventuale assume particolare importanza con riferimento alle situazioni di “contiguità” all’organizzazione criminale, le quali, rafforzando l’apparato strumentale ed agevolando la realizzazione del programma criminoso dell’illecito sodalizio, possono contribuire in misura rilevante ad esporre a pericolo i beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice (l’ordine pubblico generale, l’ordine economico, l’ordine democratico, il corretto funzionamento della pubblica amministrazione) e presentano pertanto un notevole disvalore.

Occorre premettere che la controversia sulla ammissibilità del concorso esterno nei reati associativi riguarda soprattutto il concorso materiale. Con specifico riferimento al reato associativo previsto dall’art. 305 c.p. (cospirazione politica mediante associazione), la configurabilità del concorso eventuale era già stata affermata dalla I Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1569 del 1969 (imp. Muther). Si era infatti esplicitato che “l’appartenente alla associazione prevista dall’art.305 c.p. è l’accolito del sodalizio, cioè colui che, conoscendone l’esistenza e gli scopi, vi aderisce e ne diviene con carattere di stabilità membro e parte attiva, rimanendo sempre al corrente dell’interna organizzazione, dei particolari e concreti progetti, del numero dei consoci, delle azioni effettivamente attuate o da attuarsi, sottoponendosi alla disciplina delle gerarchie ed al succedersi dei ruoli. La figura del concorrente, invece, è individuabile nell’attività di chi - pur non essendo membro del sodalizio, cioè non aderendo ad esso nella piena accettazione dell’organizzazione, dei mezzi e dei fini - contribuisce all’associazione mercé un apprezzabile e fattivo apporto personale, agevolandone l’affermarsi e facilitandone l’operare, conoscendone la esistenza e le finalità, ed avendo coscienza del nesso causale del suo contributo”.

Questa decisione individuava nell’ingresso nell’associazione, e quindi nell’esserne divenuto membro, l’elemento discretivo tra la partecipazione ed il concorso esterno.

In seguito, tuttavia, l’impostazione che ammetteva la configurabilità del concorso eventuale nel reato associativo, ravvisando nell’ingresso nell’associazione, e quindi nell’esserne divenuto membro, l’elemento discretivo tra la partecipazione ed il concorso esterno, non è stata condivisa, con specifico riferimento all’ipotesi dell’associazione di tipo mafioso, da alcune pronunzie della Suprema Corte che hanno definito la condotta partecipativa sulla base del paradigma del contributo dato all’illecito sodalizio.

In questo senso si è espressa la sentenza n. 8092 del 19 gennaio 1987 (ric. Cillari) della I Sezione della Corte di Cassazione, secondo la quale “la cosiddetta partecipazione esterna, che ai sensi dell’art. 110 c.p. renderebbe responsabile colui che pur non essendo formalmente entrato a far parte di una consorteria mafiosa abbia tuttavia prestato al sodalizio un proprio ed adeguato contributo con la consapevole volontà di operare perché lo stesso realizzasse i suoi scopi, si risolve, in realtà, nel fatto tipico della partecipazione punibile, la quale deve ritenersi integrata da ogni contributo apprezzabile effettivamente apportato alla vita dell’ente ed in vista del perseguimento dei suoi scopi, mediante una fattiva e consapevole condivisione della logica di intimidazione e di dipendenza personale propria del gruppo e nella consapevolezza del nesso causale del contributo stesso”.

Ad analoghe conclusioni è giunta la sentenza n.8864 del 1989 (ric. Agostani) della I Sezione della Suprema Corte, sulla base dell’assunto che nel fatto realizzato dal soggetto esterno al sodalizio mancano sia l’elemento materiale tipico del reato, cioè la condotta esprimente l’apporto all’organizzazione già formatasi o mentre si forma, sia l’elemento soggettivo, che è non solo quello di conoscere e volere quella determinata condotta ma anche quello finalizzato agli scopi sociali (affectio societatis scelerum). Conseguentemente la Corte di Cassazione ha affermato che “l’ipotesi concorsuale ai sensi dell’art. 110 c.p. non trova ingresso nello schema dell’art. 416 c.p. al di là del concorso morale e limitatamente ai soli casi di determinazione od istigazione a partecipare od a promuovere, costituire, organizzare l’associazione per delinquere. Pertanto, una condotta che concretamente favorisce le attività ed il perseguimento degli scopi sociali, posta in essere da un soggetto esterno al sodalizio, non potrà essere ritenuta condotta di partecipazione al reato associativo ove non sia accompagnata, non dalla mera connivenza, bensì dalla coscienza e volontà di raggiungere attraverso quegli atti, anche se di per se stessi leciti, pure i fini presi di mira dall’associazione e fatti propri, trattandosi, in tal caso non già di concorso nel reato di associazione, bensì di attività che realizza, perfezionandosi l’elemento soggettivo e quello oggettivo, il fatto tipico previsto dalla norma istitutiva della fattispecie associativa”.

La configurabilità del concorso eventuale con riferimento all’associazione di tipo mafioso è stata esclusa anche dalle sentenze n. 2343 e n. 2348 della I Sezione della Suprema Corte, emesse all’udienza del 18 maggio 1994 (ric. Mattina e Clementi).

Nella pronunzia in esame la Cassazione ha in primo luogo osservato che per affermare o meno la responsabilità del soggetto in ordine al reato di cui all’art. 416 bis c.p. occorre fare riferimento alle norme dell’ordinamento penale e non alle regole interne dell’organizzazione criminosa, sicché "può verificarsi che un soggetto considerato ’uomo d’onore’, senza ulteriore indicazione di specifica condotta penalmente rilevante, può non essere penalmente perseguibile per il detto reato associativo, mentre altro soggetto, per l’organizzazione criminosa soltanto ’avvicinato’ e, quindi, non organicamente interno alla medesima, potrà essere perseguito per detto reato qualora abbia realizzato condotta costituente contributo ovvero apporto obiettivamente idoneo alla conservazione od al rafforzamento della struttura associativa". Ciò premesso, la sentenza ha precisato che l’elemento materiale del reato dell’art. 416 bis è costituito dalla condotta di partecipazione intesa come “stabile permanenza di vincolo associativo tra gli autori - almeno in numero di tre - del reato allo scopo di realizzare una serie indeterminata di attività tipiche dell’associazione”, e che l’elemento soggettivo è il “dolo nella particolare forma di dolo specifico caratterizzato dalla cosciente volontarietà di partecipare a detta associazione per delinquere con il fine di realizzarne il particolare programma - concretizzantesi sia in condotte illecite che in condotte di per sé lecite ma penalmente perseguibili perché realizzate con le modalità suddescritte - e con la permanente consapevolezza di ciascun associato di fare parte del sodalizio criminoso e di essere disponibile ad operare per l’attuazione del comune programma delinquenziale con qualsivoglia condotta idonea alla conservazione ovvero al rafforzamento della struttura associativa”. Sulla base di queste premesse, si è affermato che “conseguentemente il concorrente ’eventuale’ nel reato in questione non soltanto deve realizzare una condotta, come sopra precisato, o, quanto meno, deve contribuire con il suo comportamento alla realizzazione della medesima, ma deve anche agire con la volontaria consapevolezza che detta sua azione contribuisce all’ulteriore realizzazione degli scopi della societas sceleris: il che, di tutta evidenza, non differisce dagli elementi - soggettivo ed oggettivo - caratterizzanti la ’partecipazione’ e quindi il concorso necessario”.

Secondo la sentenza in questione, l’ammissibilità del concorso eventuale nel reato di cui all’art. 416 bis c.p. non può desumersi neppure dal tenore letterale dell’art. 418 c.p., che stabilisce che la figura criminosa dell’assistenza agli associati è applicabile "al di fuori del caso di concorso nel reato" di associazione di tipo mafioso, poiché "l’interpretazione sistematica di altre norme penali interessanti la materia porta a ritenere che la citata espressione si riferisce al solo concorso necessario di persone nel reato di cui all’art. 416 bis c.p. e non anche al concorso eventuale nel medesimo”.

Ad analoghe conclusioni è pervenuta la sentenza n. 2699 del 1994 (ric. Della Corte) della I Sezione della Corte di Cassazione, secondo la quale «nei reati di associazione e, segnatamente, nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso non è configurabile responsabilità a titolo di cosiddetto "concorso esterno" giacché o il presunto concorrente esterno, nel porre in essere la condotta oggettivamente vantaggiosa per il sodalizio criminoso, è animato anche dal dolo specifico proprio di chi voglia consapevolmente contribuire a realizzare i fini per i quali il detto sodalizio è stato costituito ed opera, e allora egli non potrà in alcun modo distinguersi dal partecipante a pieno titolo; ovvero, mancando in lui quel dolo specifico, la condotta favoreggiatrice o agevolatrice da lui posta in essere dovrà essere necessariamente riguardata come strutturalmente e concettualmente distinta e separata dal reato associativo».

La configurabilità del concorso eventuale è stata esclusa, per ragioni attinenti all’elemento soggettivo del reato, anche dalla sentenza n. 4342 del 1994 (ric. Cavallari) della II Sezione della Corte di Cassazione, secondo la quale "poiché i delitti di cui agli artt. 416 e 416 bis c.p. sono caratterizzati dal dolo specifico, e deve conseguentemente sussistere la volontà del concorrente di contribuire a realizzare gli scopi in vista dei quali è costituito ed opera il sodalizio criminoso, non può ipotizzarsi un concorso nel delitto associativo a titolo di dolo eventuale".

Per quanto attiene all’elemento soggettivo del concorso esterno, si è rilevato che la prevalente dottrina ha ammesso la possibilità del concorso con dolo generico in un delitto a dolo specifico, purché almeno uno dei concorrenti sia animato dalla finalità ulteriore richiesta dalla norma incriminatrice di parte speciale.

Agli argomenti contrari alla configurabilità del concorso esterno per ragioni connesse all’interpretazione sistematica della normativa antimafia si è replicato, in primo luogo, che, a differenza delle aggravanti previste dal comma 2 dell’art. 378 c.p. e dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n.152 convertito con L. 12 luglio 1991 n.203, la figura del concorso eventuale nel delitto associativo è suscettibile di attribuire rilevanza penale a comportamenti non tipizzati da specifiche disposizioni di parte speciale.

In proposito, si è aggiunto che le predette aggravanti sono previste in leggi il cui scopo è quello di rafforzare il presidio penale contro la criminalità organizzata, e sarebbe quindi paradossale che l’esegesi delle norme contenute in atti legislativi emanati in funzione di tale obiettivo portasse a soluzioni interpretative che conseguissero il risultato opposto.

Si è pure rilevato che la funzione sussidiaria svolta dagli artt. 378 e 418 c.p. (applicabili fuori dei casi di concorso nei reati-presupposto) impedisce di attribuire alle stesse norme l’attitudine ad escludere la configurabilità del concorso esterno.

Del resto, il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità ha, con persuasive argomentazioni, ritenuto configurabile il concorso eventuale nell’associazione di tipo mafioso, pur esprimendo vari indirizzi interpretativi sulla identificazione dei casi e sulla definizione dei limiti di operatività di tale fattispecie plurisoggettiva eventuale.

In particolare, la sentenza n. 3492 del 1988 (ric. Altivalle) della I Sezione della Cassazione ha affermato che le condotte di partecipazione all’associazione devono essere caratterizzate “sul piano soggettivo, da quella che è stata chiamata in dottrina l’affectio societatis, ossia dalla consapevolezza e dalla volontà di far parte dell’organizzazione criminosa, condividendone le sorti e gli scopi (alternativamente definiti dal comma terzo dell’art. 416 bis) e, sul piano oggettivo, dall’inserimento nell’organizzazione, che prescinde da formalità o riti che lo ufficializzano, ben potendo esso risultare per facta concludentia, attraverso cioè un comportamento che sul piano sintomatico sottolinei la partecipazione, nel senso della norma, alla vita dell’associazione”; pertanto “per far parte dell’associazione e realizzare quindi la condotta tipica, non basta che [l’agente] aiuti o si attivi a favore dell’associazione: deve farne parte”. Il concorso eventuale, si configura invece “non soltanto nel caso di concorso psicologico, nelle forme della determinazione e dell’istigazione nel momento in cui l’associazione viene costituita, ma anche successivamente, quando questa è già costituita, tutte quelle volte in cui il terzo non abbia voluto entrare a far parte dell’associazione o non sia stato accettato come socio, e tuttavia presti all’associazione medesima un proprio contributo, a condizione però che tale apporto, valutato ex ante, e in relazione alla dimensione lesiva del fatto ed alla complessità della fattispecie, sia idoneo se non al potenziamento almeno al consolidamento ed al mantenimento dell’organizzazione criminosa. Esso, pertanto, deve consistere in un apporto obbiettivamente adeguato e soggettivamente diretto a rafforzare o mantenere in vita l’associazione criminosa, con la consapevolezza e la volontà - elementi minimi per la realizzazione della fattispecie dell’art. 110 c.p. - di contribuire alla realizzazione degli scopi dell’associazione a delinquere. Con la conseguenza che il concorso non sussiste quando il contributo è dato ai singoli associati, ovvero ha ad oggetto specifiche imprese criminose e l’agente persegua fini suoi propri, in una posizione di assoluta indifferenza rispetto alle finalità proprie dell’associazione”.

Una simile impostazione è stata seguita dalla sentenza n.4805 del 1993 (ric. P.M. in proc. Altomonte) della I Sezione della Cassazione, secondo cui “in tema di associazione per delinquere, perché assuma rilevanza la condotta individuale, occorre l’esistenza del pactum sceleris, con riferimento alla consorteria criminale, e dell’affectio societatis, in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un’associazione vietata. E’ punibile, pertanto, a titolo di partecipazione, colui che presti la sua adesione e il suo contributo all’attività associativa, anche per una fase temporalmente limitata. Risponde, invece, a titolo di concorso nel reato associativo il soggetto che, estraneo alla struttura organica del sodalizio, si sia limitato anche ad occasionali prestazioni di singoli comportamenti aventi idoneità causale per il conseguimento dello scopo sociale o per il mantenimento della struttura associativa, avendo la consapevolezza dell’esistenza dell’associazione e la coscienza del contributo che ad essa arreca”.

Nel senso della ammissibilità del concorso esterno si sono altresì pronunciate la sentenza n. 2902 del 1993 (ric. Turiano) della I Sezione della Cassazione (la quale ha affermato che "deve ritenersi ammissibile il concorso eventuale di persone in un reato associativo, che si realizza quando la condotta dell’agente non sia intrinsecamente connaturata con la struttura del sodalizio criminoso, ma ne costituisca soltanto supporto esterno non direttamente incidente sugli elementi necessari per la configurazione dell’associazione", ed ha osservato che la norma relativa al concorso di persone e la natura giuridica del reato plurisoggettivo non escludono la possibilità di un concorso eventuale) e la sentenza del 31 agosto 1993 (imp. Di Corrado) della Sezione Feriale della Cassazione (secondo cui il concorso eventuale nel reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p. è configurabile e si realizza ogniqualvolta un soggetto, senza essere stabilmente inserito nella struttura dell’associazione criminosa, svolga, con coscienza e volontà, un’attività, ancorché occasionale e di importanza secondaria o di semplice intermediazione, che sia conforme alle finalità proprie dell’organizzazione mafiosa e rappresenti un contributo causale apprezzabile per il loro conseguimento).

Le suindicate sentenze della Suprema Corte hanno quindi seguito, ai fini della distinzione tra la condotta di partecipazione e quella di concorso, il criterio fondato sull’inserimento o meno del soggetto nella struttura dell’organizzazione delinquenziale.

La configurabilità del concorso esterno nel reato associativo è stata ammessa anche dalla sentenza n. 9242 del 1988 (ric. Barbella) della I Sezione della Cassazione, che tuttavia ha posto l’accento, per distinguerlo dalla partecipazione, sulla episodicità del contributo, rilevando che "va ravvisato concorso nel reato di associazione per delinquere, e non partecipazione all’associazione stessa, quando l’agente, estraneo alla struttura organica dell’associazione, si sia limitato alla occasionale e non istituzionalizzata prestazione di un singolo comportamento, non privo di idoneità causale per il conseguimento dello scopo del sodalizio, che costituisca autonoma e individuale manifestazione di volontà criminosa e si esaurisca nel momento della sua espressione perché ontologicamente concepita e determinata nei correlativi limiti di tempo e di efficacia".

Invece nel caso di contributo episodico sembra escludere la configurabilità del concorso esterno la sentenza n.2718 del 1994 (ric. Bargi ed altro) della I Sezione della Cassazione, la quale, affrontando la questione se le ipotesi delittuose di agevolazione dell’associazione per delinquere assorbano l’ipotesi di concorso in associazione, ha affermato che concorre nel delitto di associazione per delinquere colui che con azione atipica rispetto a quella propria del delitto stesso, aiuta a realizzare l’evento giuridico dell’associazione, contribuendo alla sua costituzione o alla partecipazione degli aderenti o alla sua efficacia; ha specificato che tale concorso deve essere permanente, così come permanente è il delitto di associazione; ed ha concluso che "si realizza il concorso eventuale di persone nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso ogniqualvolta la condotta dell’agente non sia intrinsecamente connaturata con la struttura e le finalità del sodalizio criminoso, ma ne costituisca solo un supporto esterno non direttamente incidente sugli elementi costitutivi dell’associazione stessa, contribuendo alla sua costituzione o alla partecipazione degli aderenti od alla sua efficacia. Si configura l’agevolazione, invece, quando taluno, con specifica e singola condotta, aiuti l’associazione ad attuare il suo programma criminoso".

La consapevolezza che la disputa sull’ammissibilità del concorso esterno non verte esclusivamente sulla esatta qualificazione giuridica di condotte comunque punibili, ma si risolve anche in una diversa delimitazione dell’area dell’illiceità penale, è riscontrabile con chiarezza nella sentenza del 1° settembre 1994 (ric. Graci) della Sezione Feriale della Cassazione, la quale ha espresso l’avviso che “nella nozione di partecipazione all’associazione di tipo mafioso non possono farsi rientrare tutte quelle condotte atipiche che potrebbero far configurare il concorso eventuale e in particolare che non basti un consapevole apporto causale ad alcune attività dell’associazione per integrare una condotta di partecipazione”. Secondo questa pronunzia “deve infatti considerarsi, da un lato, che l’associazione si basa su un accordo associativo, su un’organizzazione e su regole, anche se è possibile che questi ultimi due elementi siano di carattere rudimentale, e, dall’altro, che la condotta di partecipazione secondo l’art. 416 bis comma 1 c.p. consiste nel ’fare parte’ dell’associazione, cioè nell’esserne divenuto membro attraverso un’adesione alle regole dell’accordo associativo e un inserimento, di qualunque genere, nell’organizzazione, con carattere di permanenza. Inoltre l’adesione deve trovare un riscontro da parte dell’associazione, nel senso che questa, a sua volta, deve riconoscere la qualità di associato alla persona che ha manifestato l’adesione”. La Suprema Corte ha rilevato che “si è detto che le conoscenze circa la struttura di un’associazione per delinquere costituiscono materiale di fatto la cui valutazione, ai fini di affermare o meno la responsabilità di un soggetto in ordine al reato di cui all’art. 416 bis c.p., è riservata alle norme del vigente ordinamento penale e non alla valenza datagli dalle ’regole’ interne dell’organizzazione criminosa (...) e l’affermazione in linea di principio è esatta ma non considera che sono le norme dell’ordinamento, e in particolare gli artt. 416 e 416 bis c.p. con i concetti di ’persone che si associano’, di associazione e di ’fare parte’, che fanno riferimento all’accordo associativo e all’attività degli associati, a loro volta distinti in promotori, dirigenti, organizzatori e semplici partecipi. Non occorrono atti formali o prove particolari dell’ingresso nell’associazione, che ovviamente, a seconda delle regole di questa, può avvenire nei modi più diversi, ed anche solo mediante un’adesione di qualunque genere ricevuta dal capo; ma occorre che un ingresso ci sia stato, che cioè una persona sia divenuta ’parte’ dell’associazione, e non è sufficiente che con l’associazione essa sia entrata in rapporto, trovandone giovamento o fornendo un contributo fattivo ad alcuni associati”.

Da questa pronunzia si desume, quindi, che per integrare l’appartenenza all’associazione si richiede un accordo associativo che faccia riconoscere l’autore come membro dell’associazione. Tale accordo non richiede necessariamente forme particolari e può essere anche tacito ma deve comportare un inserimento nell’associazione. Conseguentemente, la fattispecie della partecipazione non è suscettibile di ricomprendere le condotte che si esauriscono in un consapevole contributo causale ad alcune attività dell’associazione; simili condotte atipiche sono, invece, sussumibili nell’ipotesi del concorso eventuale.

I requisiti oggettivi e soggettivi della figura del concorso esterno sono stati delineati sul modello della fattispecie della partecipazione dalla sentenza n. 3635 del 1994 (ric. Amato) della II Sezione della Cassazione, che ha osservato quanto segue: "in tema di associazione per delinquere comune o di tipo particolare è giuridicamente corretto qualificare concorrenti eventuali nel delitto coloro che si aggiungono ai concorrenti necessari per svolgere attività di cooperazione, istigazione, aiuto, secondo le svariate manifestazioni in cui può estrinsecarsi il concorso previsto dall’art. 110 c.p.; è necessario tuttavia che le loro condotte risultino tutte finalisticamente orientate verso l’evento tipico di ciascuna figura criminosa, consentendo questa convergenza e coincidenza volitiva l’estensione della rilevanza penale a comportamenti i quali, avulsi dal contesto e singolarmente considerati, non rientrerebbero nell’attività esecutiva del reato descritta dalla norma. Applicando questi concetti all’ipotesi prevista dall’art. 416 bis c.p., modellata dal legislatore sullo schema dell’associazione per delinquere comune, non essendo ovviamente consentito al giudice di creare nuove figure di reato, occorre, sotto il profilo materiale, che il concorrente eventuale abbia posto in essere una condotta obbiettivamente dimostrativa quanto meno della sua disponibilità a partecipare all’associazione e coerente con le peculiari finalità della medesima (art. 416 bis, terzo comma, c.p.); e, sotto il profilo morale, che egli abbia agito con la coscienza e volontà di far parte del sodalizio (dolo generico) ed allo scopo di realizzare il particolare programma delinquenziale (dolo specifico), laddove, invece, i moventi personali che costituiscono la causa psichica della sua azione (lucro, sicurezza, ecc.) sono del tutto irrilevanti".

Per porre fine al contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n.16 emessa all’udienza del 5 ottobre 1994 (ric. Demitry), relativa al caso di un soggetto accusato di avere svolto un’attività di intermediazione tra il capo di un’associazione camorristica ed un giudice per l’aggiustamento di un processo penale a carico dei membri del sodalizio criminoso.

Tale pronuncia ha affermato il principio della configurabilità del concorso eventuale nel reato di associazione di tipo mafioso, ponendo in evidenza la diversità di condotta e di atteggiamento psichico tra il partecipe dell’associazione ed il concorrente eventuale materiale.

Secondo le Sezioni Unite, «il partecipe è colui che fa parte dell’associazione, è colui che "entra nell’associazione e ne diventa parte". Come è stato acutamente rilevato dalla dottrina, il legislatore, nell’usare la locuzione "far parte" rispetto alla formula "per il solo fatto di partecipare", adottata in pressoché tutti gli altri reati associativi, "ha avuto consapevolezza di una peculiare caratterizzazione del rapporto associato-associazione nel contesto mafioso, consapevolezza che si è tradotta normativamente in una maggiore tipizzazione della figura del partecipe". "Ciò significa che una condotta, per essere considerata aderente al tipo previsto dall’art. 416 bis per la partecipazione ad una associazione mafiosa, deve rispecchiare un grado di compenetrazione del soggetto con l’organismo criminale tale da potersi sostenere che egli, appunto, faccia parte di esso". Questa compenetrazione, questo "far parte" può essere provato, ovviamente, in tanti modi. E se una delle fonti di prova può essere la chiamata in correità a più voci, è certo che la più sicura fonte di prova o, se si vuole, il riscontro più pregnante delle eventuali chiamate in correità è il ruolo assegnato dall’associazione al partecipe e da quest’ultimo svolto. Sono, in altri termini, i facta, i comportamenti dell’associato che ne proveranno la sua veste di partecipe, comportamenti che, a ben vedere, consistono nell’assolvimento di compiti fisiologicamente propri dell’associazione, anche se la fisiologia è quella di un ente di per se patologico come l’associazione per delinquere. Il partecipe è colui senza il cui apporto quotidiano o, comunque, assiduo l’associazione non raggiunge i suoi scopi o non li raggiunge con la dovuta speditezza, il che apre la strada ad una vasta gamma di possibili partecipi, che vanno da coloro che si sono assunti o ai quali sono stati affidati compiti di maggiore responsabilità… - i promotori, gli organizzatori, i dirigenti - a quelli con responsabilità minori o minime, ma il cui compito è o è pure necessario per le fortune della associazione. Costoro, però, agiscono, per lo più, nella fisiologia, nella vita "corrente", quotidiana dell’associazione».

Sotto il profilo dell’elemento psicologico, il partecipe deve avere sia la volontà di fare stabilmente parte dell’associazione sia la volontà di contribuire alla realizzazione dei suoi fini.

Il concorrente eventuale è, invece, il soggetto che «non vuole far parte dell’associazione e che l’associazione non chiama a “far parte” ma al quale si rivolge sia, ad esempio per colmare temporanei vuoti in un determinato ruolo, sia, soprattutto - e il caso dell’"aggiustamento" di un processo risponde a questa logica - nel momento in cui la “fisiologia” dell’associazione entra in fibrillazione, attraversa una fase patologica, che, per essere superata, esige il contributo temporaneo, limitato di un esterno. Certo, anche in questo caso potrebbe risultare che l’associazione ha assegnato ad un associato il ruolo di aiutarla a superare i momenti patologici della sua vita. Ma resta il fatto che lo spazio proprio del concorso eventuale materiale appare essere quello dell’emergenza nella vita dell’associazione o, quanto meno, non lo spazio della normalità occupabile da uno degli associati. La anormalità, la patologia, poi, può esigere anche un solo contributo, il quale, dunque, può, come sottolinea la dottrina favorevole alla configurabilità del concorso eventuale, essere anche episodico, estrinsecarsi, appunto, in un unico intervento, ché ciò che conta, ciò che rileva è che quell’unico contributo serva per consentire all’associazione di mantenersi in vita, anche solo in un determinato settore, onde poter perseguire i propri scopi”».

Ne consegue che il dolo del concorrente eventuale consiste nella volontà di porre in essere la sua condotta atipica. L’elemento soggettivo del concorso esterno si sostanzia nella volontà del soggetto di prestare il suo contributo e nella consapevolezza di agevolare, con quel contributo, l’associazione. Resta, invece, esclusa la volontà di far parte dell’associazione, e non è neppure richiesta la volontà di realizzare i fini propri dell’associazione; il concorrente eventuale “può disinteressarsi della strategia complessiva di quest’ultima, degli obiettivi che la stessa si propone di conseguire”.

Anche se il concorrente eventuale dà “di norma il suo apporto perseguendo i propri scopi e non quelli della associazione, non è, però, da escludere che possa agire anche con dolo specifico e, ciò nonostante, restare concorrente esterno”.

In altri termini il concorrente eventuale può agire sia con il dolo generico (consistente nella volontà di apportare un contributo all’associazione, essendo cosciente che altri fa parte dell’associazione e agisce con la volontà di perseguirne i fini), sia con il dolo specifico (consistente nella volontà di contribuire agli scopi dell’associazione), senza per questo divenire partecipe.

A queste conclusioni la Suprema Corte a Sezioni Unite è pervenuta affermando l’applicabilità anche all’ipotesi dell’associazione di tipo mafioso del principio generale per cui si può avere concorso con dolo generico in un reato a dolo specifico, a condizione che un altro concorrente abbia agito con la finalità richiesta dalla legge.

La possibilità che anche il concorrente eventuale materiale agisca con il dolo specifico viene desunta dalla sicura ammissibilità, generalmente affermata sia in dottrina che in giurisprudenza, di tale tipo di dolo per il concorrente eventuale morale nel reato associativo. Sul punto, la sentenza in esame ha altresì osservato che «anche l’indirizzo che esclude la configurabilità del concorso eventuale nel reato di associazione per delinquere di stampo mafioso è dell’avviso che il concorso eventuale sia ipotizzabile nella forma del concorso morale, nella forma della istigazione, e dà per certo che il concorrente "morale" possa agire con il dolo specifico e che, pur con questo dolo, continui ad essere concorrente eventuale. Ora, se non v’è nessuna ragione per ammettere, in questo reato, il concorso eventuale nella forma del concorso morale e per escluderlo nella forma del concorso materiale, si deve concludere che il concorrente "materiale" può avere il dolo specifico ed essere, appunto, concorrente eventuale come lo è il concorrente "morale"». Inoltre, la pronunzia ha evidenziato che “la giurisprudenza e la dottrina, allorché si interessano del concorso di persone nel reato, dicono che i concorrenti possono dare un contributo necessario, ponendo in essere una condizione sine qua non del reato, contributo che può essere sia di partecipazione morale, che è quella che dà luogo alla determinazione dell’altrui proposito criminoso, sia di partecipazione materiale, che si esterna in tutte le possibili forme di estrinsecazione del contributo fisico essenziale. Rilevano, poi, che i concorrenti possono fornire un contributo agevolatore, limitandosi soltanto a facilitare la realizzazione del reato, contributo che può essere, ancora una volta, e di partecipazione morale, che rafforza l’altrui proposito criminoso, e di partecipazione materiale, che si manifesta in tutte le forme in cui l’agevolazione fisica può estrinsecarsi. Necessari e agevolatori possono esserlo, pertanto, sia il contributo morale, sia il contributo materiale, i quali, quanto all’elemento soggettivo, sono sullo stesso piano in quanto entrambi manifestazioni di concorso nel medesimo reato”.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno, altresì, respinto l’orientamento ermeneutico secondo cui il legislatore, con l’esplicita previsione della speciale aggravante delineata dall’art. 378 comma 2° c.p. e dell’ulteriore aggravante di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, avrebbe implicitamente escluso la possibilità di ipotizzare il concorso eventuale dell’estraneo nel reato di associazione mafiosa come figura generale del nostro ordinamento.

Al riguardo, la sentenza n.16 del 1994 ha osservato che il concorso eventuale materiale nel reato associativo conserva un proprio autonomo spazio di rilevanza penale (nei limiti della funzione incriminatrice svolta dall’art. 110 c.p., che rende illecite anche condotte atipiche), e può eventualmente concorrere con la responsabilità per i reati-fine aggravati ai sensi dell’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, commessi dall’estraneo a vantaggio dell’organizzazione criminale (ad esempio, nel caso in cui l’associazione, per commettere l’omicidio di un individuo capace di mettere in pericolo la vita del sodalizio, decida di avvalersi di un esterno, il quale accetti di intervenire avendo consapevolezza del "valore" della sua condotta, che contribuisce alla stabilità del vincolo associativo e al perseguimento degli scopi dell’organizzazione).

Una conferma testuale dell’ammissibilità del concorso esterno nel reato associativo, secondo le Sezioni unite, può rinvenirsi nell’art. 418 c.p., che nel prevedere il reato di assistenza agli associati introduce una clausola di riserva (“fuori dei casi di concorso nel reato”) riferibile al concorso eventuale esterno nel reato associativo. Poiché nel testo dell’art. 418 c.p. il legislatore ha fatto ricorso a due differenti espressioni (“chiunque fuori dei casi di concorso” e “persone che partecipano all’associazione”) le quali richiamano necessariamente due realtà differenti, il termine di "concorso" non può ritenersi sinonimo di concorso necessario.

La suddetta pronunzia delle Sezioni Unite ha dunque ritenuto configurabile il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso, ma ne ha circoscritto il campo di operatività, considerandolo possibile solo in situazioni di anormalità, per il cui superamento sia richiesto il contributo (anche episodico) di un soggetto esterno, che serva per consentire all’associazione di mantenersi in vita e perseguire i propri scopi anche solo in uno specifico settore. Il criterio distintivo rispetto alla condotta del partecipe è stato ravvisato nella compenetrazione di quest’ultimo con l’organismo criminale.

La questione concernente il contenuto dell’elemento soggettivo del concorrente esterno nel reato di associazione mafiosa è stata nuovamente presa in esame dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 30 emessa all’udienza del 27 settembre 1995 (ric. Mannino), la quale, con riferimento al caso di specie, ha formulato le seguenti osservazioni: «se è vero che il Mannino ha avuto la consapevolezza di trattare con ambienti e persone mafiosi per chiedere sostegno elettorale e se è vero che ha remunerato questo sostegno in un certo modo, nel modo descritto nel capo di imputazione e in determinate pagine del provvedimento impugnato - con appalti, licenze, concessioni, posti di lavoro, ecc. -, il problema dell’elemento soggettivo trova la soluzione si può dire in re ipsa, sicché non meraviglia se il tribunale, che ha provato, sia pure in sede di riesame di un provvedimento restrittivo della libertà, la natura dei rapporti del Mannino con determinate persone, non abbia speso molte parole sul tema, ma si sia soffermato su quel retroterra mettendo in luce che il Mannino sapeva con chi aveva a che fare - e abbia sottolineato che certi comportamenti, ritenuti gravi indizi di colpevolezza, fossero frutto di quel retroterra, fossero il corrispettivo prestato dal Mannino per il sostegno ricevuto. Queste SS.UU. si sono interessate del problema del dolo, che deve sorreggere la condotta del concorrente esterno nel reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, nella sentenza 05 ottobre 1994, Demitrj. Questa sentenza ha affermato, anzitutto, che il concorrente esterno non può avere il dolo specifico proprio del partecipe, dolo che consiste nella consapevolezza di fare parte dell’associazione, di esserne partecipe, e nella volontà di contribuire a tenere in vita l’associazione e a farle raggiungere gli obiettivi, gli scopi, che si è prefissa. Ha affermato, poi, che il concorrente esterno, pur non essendo partecipe, può avere, però, un proprio dolo specifico, consistente nella volontà, non, evidentemente, di far parte dell’associazione, ma di contribuire alla realizzazione dei fini della stessa. Ha detto, infine, che il concorso esterno, proprio perché postula che l’associazione esista e abbia, quindi, i suoi partecipi con il necessario dolo specifico, fa sì che il concorrente possa avere anche il semplice dolo generico, cioè la semplice coscienza e volontà di dare il proprio contributo, disinteressandosi della strategia complessiva dell’associazione, degli obiettivi che la stessa persegue e, pertanto, della maggiore o minore o, addirittura, insignificante efficacia del proprio contributo ai fini del mantenimento in vita e del conseguimento degli scopi dell’associazione. Ebbene, nella logica del tribunale c’è posto almeno per il dolo generico, per un corrispettivo alle associazioni mafiose o ai mafiosi, in quanto tali, con la consapevolezza, da parte del Mannino, di dare un contributo, anche prescindendo - e disinteressandosene, magari, completamente - dall’efficacia del proprio contributo alle fortune dell’associazione».

La successiva giurisprudenza si è uniformata alla tesi affermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

La I Sezione della Suprema Corte, con la sentenza n. 7940 del 1995 (ric. Alfano ed altri), ha ribadito che “per integrare il concorso esterno di persone nel reato associativo non è richiesta la sussistenza del dolo specifico, ma è sufficiente quello generico, laddove il dolo tipico del reato di cui all’art. 416 bis c.p. caratterizzi la posizione dei concorrenti necessari”.

Alcune pronunzie di legittimità, conformemente all’orientamento seguito dalle Sezioni Unite nella sentenza n.16 del 1994, hanno esplicitato che l’area di applicabilità del concorso esterno resta tendenzialmente circoscritta agli interventi spiegati nei momenti di difficoltà dell’organizzazione criminale.

In particolare, la sentenza n.2080 del 1996 (ric. Blando) della IV Sezione della Cassazione ha affermato che “nell’ipotesi di concorso, anche nella forma cosiddetta eventuale o esterno, nel reato di cui all’art. 416 bis c.p. esiste una cointeressenza che, pur se occasionale, deve presentare il carattere di una rilevante importanza, tale da comportare l’assunzione di un ruolo esterno ma essenziale, ineliminabile ed insostituibile, particolarmente nei momenti di difficoltà dell’organizzazione criminale”.

Analogamente, la VI Sezione della Suprema Corte, con la sentenza n.5649 del 1997 (ric. Dominante ed altri) - riguardante il caso della consumazione di un omicidio "esemplare" di persona che, appartenente ad altro clan, in un momento di crisi del sodalizio di tipo mafioso, aveva contestato la posizione egemonica di quest’ultimo - ha evidenziato che «in tema di concorso esterno materiale nel delitto di cui all’art. 416 bis c.p., la differenza tra l’ipotesi della partecipazione e l’ipotesi del concorso esterno va ravvisata nel fatto che chi pone in essere un comportamento nell’interesse dell’associazione deve intervenire in un momento in cui il sodalizio si trovi in una condizione di difficoltà, tendendo proprio a far sì che l’associazione venga, attraverso il suo contributo, "salvata", purché il concorrente esterno sappia di questa situazione. Di conseguenza, il concorso vale a qualificare il reato posto in essere per salvare l’associazione non come reato-fine ma come reato-mezzo, realizzato per gli scopi del sodalizio, in mancanza della volontà di farli propri».

Si è però manifestato anche un orientamento giurisprudenziale tendente a ravvisare ipotesi di concorso esterno in fattispecie caratterizzate dalla prestazione di un contributo continuativo in favore dell’associazione di tipo mafioso, prescindendo dal verificarsi di una situazione di anormalità della vita dell’organizzazione.

Precisamente, la V Sezione della Suprema Corte, con la sentenza n.4903 del 1997 (ric. P.G. in proc. Montalto), relativa al caso di un soggetto che, pur essendo estraneo all’associazione, aveva svolto con continuità l’attività di riscossione del "pizzo" per conto del sodalizio, ha affermato che “risponde del reato di concorso in associazione per delinquere di stampo mafioso il soggetto che, pur estraneo alla struttura organica del sodalizio, presti un contributo duraturo e consapevole all’attività delittuosa da questa svolta. La responsabilità può essere esclusa solo ove sia acquisita la prova positiva di una formale esclusione del soggetto dall’associazione secondo le regole interne, anche consuetudinarie, di questa. In assenza di tale dimostrazione, ove risulti che gli affiliati fanno preventivo affidamento sul contributo di taluno, la condotta di questi va considerata alla stregua di quella di qualsiasi partecipe”.

Questo indirizzo interpretativo rende, però, assai problematica la distinzione tra la condotta del concorrente esterno e quella dell’associato.

Un inequivocabile sintomo di tale difficoltà può essere individuato nella diverse soluzioni adottate dalla Suprema Corte con riferimento all’ipotesi della persona “avvicinata” dall’organizzazione mafiosa.

Sul punto, la sentenza n. 4379 del 1994 (ric. Ensabella) della V Sezione della Cassazione ha esplicitato che «in materia di associazione per delinquere di stampo mafioso, la qualifica dell’indagato come persona "avvicinata" dall’organizzazione criminale, configura il concorso eventuale nel reato associativo».

L’ipotesi del soggetto “avvicinato” è stata invece sussunta nella fattispecie della partecipazione all’associazione di tipo mafioso dalla I Sezione della Cassazione, che con la pronunzia n.1737 del 1995 (ric. Caldarera) ha evidenziato che «ai fini della emissione di una misura cautelare per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso i gravi indizi di colpevolezza possono essere legittimamente costituiti dalle dichiarazioni di più collaboranti che reciprocamente si riscontrano e che indicano un soggetto come "avvicinato" poiché nel linguaggio mafioso è possibile attribuire a tale termine uno specifico significato teso ad indicare una persona ormai inserita, anche se non ancora a pieno titolo, nell’associazione criminosa; peraltro una volta accertata la partecipazione al sodalizio, il reato di cui all’art. 416 bis c.p. è da ritenersi concretizzato indipendentemente dall’accertamento sugli apporti del soggetto alla realizzazione degli scopi sociali».

Per giungere ad una precisa delimitazione della rispettiva area di operatività delle fattispecie della partecipazione e del concorso esterno, resta quindi imprescindibile il riferimento ai criteri fissati dalla sentenza n.16 del 1994 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che rispondono alla duplice esigenza di assicurare, da un lato, un’efficace tutela dei beni giuridici protetto dalla norma di cui all’art. 416 bis c.p. anche contro le offese prodotte da soggetti estranei alla struttura criminale e, dall’altro, di garantire il rispetto del principio di necessaria determinatezza della fattispecie penale, con riguardo sia alla precisione della descrizione astratta della condotta punibile, sia alla sua rispondenza a comportamenti concreti effettivamente riscontrabili nella realtà sociale.

In ordine alla conformità al principio di tassatività dell’ipotesi delittuosa del concorso esterno, occorre infatti osservare che l’area dei comportamenti penalmente rilevanti risulta adeguatamente delimitata per effetto sia della tipizzazione della condotta sulla base della sua efficacia causale rispetto alla sopravvivenza ed al rafforzamento dell’organizzazione criminosa in fasi “patologiche” della sua vita, sia della obiettiva riconoscibilità, sul piano della realtà sociale, di comportamenti concreti sussumibili nel tipo legale (essendo frequentemente riscontrabili, nel contesto sociale di riferimento, condotte di rilevante sostegno all’organizzazione mafiosa poste in essere da individui non organicamente integrati in essa).

Dal riferimento, compiuto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, alla funzionalità del contributo del concorrente rispetto all’obiettivo di “consentire alla associazione di mantenersi in vita, anche solo in un determinato settore”, può evincersi che la condotta del concorrente esterno acquista rilevanza penale anche quando riveste efficacia causale rispetto all’esistenza ed al rafforzamento di una particolare articolazione dell’associazione mafiosa (ad esempio, una singola “famiglia” di “Cosa Nostra”), invece che dell’intera organizzazione.

Va inoltre sottolineato che se si ravvisa nella compenetrazione del soggetto nell’organismo criminale l’elemento suscettibile di caratterizzare in modo pregnante le condotte di partecipazione distinguendole da quelle di concorso esterno, è possibile pervenire ad una precisa delimitazione del rispettivo ambito di operatività delle due fattispecie attraverso l’esame della struttura e del funzionamento dell’associazione mafiosa, con la conseguente individuazione del rapporto intercorrente tra il soggetto ed il tessuto organizzativo dell’illecito sodalizio.

Poiché la condotta del concorrente esterno – a differenza di quella del partecipe - consiste non nell’assunzione di uno dei ruoli o dei compiti che caratterizzano l’apparato strutturale-strumentale dell’associazione di tipo mafioso nella sua normale operatività, bensì nella realizzazione di un apporto che “serva per consentire all’associazione di mantenersi in vita” in una situazione anormale o patologica, per affermare la responsabilità penale del singolo in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p. occorre accertare che il medesimo soggetto si sia effettivamente attivato per compiere l’intervento richiestogli dall’organizzazione criminale. Non è dunque sufficiente una mera disponibilità dell’estraneo a prestare il contributo richiestogli dall’associazione.

Vanno pertanto condivise le indicazioni dottrinali secondo cui per configurare la condotta di concorso esterno è necessario l’accertamento di un contributo non solo potenziale ma effettivamente fornito all’associazione da parte del soggetto che non ne faccia parte.

Di recente, sono intevenute altre pronunce giurisprudenziali.

Una recentissima sentenza della VI sezione penale (Cass., 3 novembre 2001) è sembrata tornare sulle orme delle Sezioni Unite accettandone i parametri, ma affermando al tempo stesso che "il concorso esterno nel reato associativo presuppone una situazione di emergenza o quanto meno di grave difficoltà nella vita dell’associazione, uno stato di fibrillazione del sodalizio criminale, cioè una situazione in cui la sopravvivenza del sodalizio versi in grave pericolo". Affermazione assai strana e che costituisce comunque un passo indietro. Non si vede infatti perché la mafia dovrebbe ricorrere all’aiuto esterno solo in momenti di crisi e non anche in quelli di floridezza, quando intende aprire nuovi campi di attività o accaparrarsi appalti vantaggiosi.

Dovrebbe essere chiaro a tutti, oltre ogni discussione teorica, che concorrente esterno è colui che non fa parte e non vuole far parte della mafia, ma che pone in essere per i motivi più vari condotte idonee a procurare un vantaggio alla mafia, quale che sia la situazione della medesima: favorevole o sfavorevole.

In tema di “concorso esterno all’associazione per delinquere” da ultimo la Corte di Cassazione, SS.UU. del 12/7/2005 n° 33748, ha precisato che la sua particolare struttura richiede che il dolo del concorrente esterno investa, nella rappresentazione e nella volizione, sia tutti gli elementi essenziali della figura criminosa tipica sia il contributo causale recato dal proprio comportamento alla realizzazione del fatto concreto, con la consapevolezza e la volontà di interagire sinergicamente con le condotte altrui nella produzione dell’evento lesivo del medesimo reato. In particolare nei delitti associativi si esige che il concorrente esterno, pur sprovvisto dell’affectio societatis, sia comunque consapevole dei metodi e dei fini della stessa e si renda compiutamente conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno, vantaggiosa per la conservazione o per il rafforzamento dell’associazione. Quanto poi al profilo della causalità effettivamente vi sono difficoltà di accertamento dell’effettivo nesso condizionalistico tra la condotta e la realizzazione del fatto di reato, mediante la cruciale operazione controfattuale di eliminazione mentale della condotta materiale atipica del concorrente esterno, integrata dal criterio di sussunzione sotto leggi di copertura o generalizzazioni e massime di esperienza dotate di affidabile plausibilità empirica.