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Il confine tra mobbing e stalking

Il confine tra mobbing e stalking
Il confine tra mobbing e stalking

Dall’inglese to mob (attaccare, assalire) il fenomeno del mobbing si presenta come una fattispecie complessa. Si tratta di una condotta conflittuale e degenerativa protratta nel tempo volta ad escludere ed emarginare il lavoratore dipendente, che viene sottoposto a maltrattamenti in limine con vere e proprie persecuzioni da parte di colleghi e superiori. In assenza di una figura incriminatrice ad hoc nel codice penale per le condotte di mobbing, la giurisprudenza ha classicamente ricondotto il fenomeno del mobbing all’interno del perimetro sanzionatorio del delitto di cui all’articolo 572 codice penale, valorizzando il dato letterale della norma. Nell’articolo 572 codice penale, infatti, rubricato - a seguito delle modifiche operato dalla Legge n. 172/2012, “maltrattamenti contro familiari e conviventi”, vi è un espresso riferimento anche ai maltrattamenti contro una persona soggetta all’autorità dell’agente. Tuttavia l’applicazione della norma non può estendersi a qualsivoglia forma di discriminazione del datore avverso il lavoratore, ma si restringe a quelle peculiari ipotesi nelle quali il rapporto tra superiore e subordinato sia di natura para-familiare, ossia un contesto che per dimensioni e rapporti di quotidianità possa essere assimilato ad una famiglia. In sostanza, necessitando di un rapporto interpersonale caratterizzato da relazioni intense ed abituali tali da avvicinarsi a quelle familiari, non si deve cedere alla tentazione di collegare sistematicamente gli episodi di mobbing al reato ex articolo 572 codice penale, non potendosi sempre configurare un rapporto di natura para-familiare tra dipendenti e superiori nelle strutture aziendali, soprattutto in quelle di notevoli dimensioni. Altri orientamenti giurisprudenziali, infatti, hanno in questo senso escluso l’applicabilità dell’articolo 572 codice penale alla vicende svoltesi all’interno di grandi aziende[1].

Con un interessante pronuncia del 2014[2] un GUP di Taranto ha elaborato una soluzione alternativa alla classica sussunzione degli episodi di mobbing nella fattispecie dei maltrattamenti sul lavoro. Verificata l’insussistenza del rapporto para-familiare nell’azienda e valutato di non poter così applicare l’articolo 572 codice penale alla luce della richiamata giurisprudenza, il GUP, rinvenute diverse assonanze nella situazione patologica che intercorre tra mobber e vittima con il fenomeno criminale dello stalking, ha ritenuto di poter inquadrare la condotta di mobbing nella fattispecie di cui all’articolo 612 bis codice penale, rubricato “atti persecutori”.

Individuato dalla dottrina criminologica di common law e trasposto nel nostro ordinamento italiano per il tramite dell’articolo 612 bis codice penale con il dichiarato intento di apportare una tutela rafforzata e specifica contro variegate ipotesi di maltrattamenti e condotte aggressive, lo stalking, così tipizzato dal legislatore italiano, si delinea come una forma di persecuzione cui consegue il verificarsi di tre eventi alternativi: il ripetersi di una condotta di minaccia o di molestia indesiderata dalla vittima deve determinare una reazione emotiva che si manifesti in rilevanti disagi psichici, quali un perdurante e grave stato d’ansia e paura; ovvero nel fondato timore per la propria incolumità e quella delle persone care; ovvero ancora in un’alterazione delle proprie abitudini di vita.

Di conseguenza, sembrerebbe di poter ricondurre le casistiche di mobbing nella cornice del reato di stalking laddove la condotta del datore di lavoro si concretizzasse nella reiterazione di atteggiamenti discriminatori perpetrati a mezzo di minaccia e molestia tali da ingenerare nella vittima anche uno soltanto dei summenzionati eventi alternativi.

Tale soluzione non esula da critiche in merito a diversi profili di problematicità.

Nonostante alcune affinità tra la figura del mobbing e quella dello stalking, i due fenomeni presentano notevoli differenze. Soffermandosi, in primis, sul modus operandi del soggetto agente, si rileva una diversità sostanziale: il comportamento dello stalker si caratterizza per la ricerca di un contatto esasperato con la vittima, che viene letteralmente perseguitata e psicologicamente torturata al punto di arrivare, in certi casi, a modificare le proprie abitudini di vita per sfuggire all’ossessione del suo predatore; diversamente, nel caso del mobber, la condotta dell’agente si esplica solamente all’interno dell’ambiente di lavoro. Pertanto, benché i patimenti sofferti delle vittime di mobbing possano facilmente trascendere l’attività professionale riversandosi collateralmente nelle diverse sfere della vita privata incidendo sul generale benessere psicofisico, il locus commis delicti diviene un elemento di specificità del fenomeno. La violenza psicologica è ristretta ad un determinato ambiente sociale non rientrando, nel concetto di mobbing, le tensioni e i conflitti che si innescano in altri settori della vita.

In definitiva, lo stalking consiste nel deterioramento delle relazioni interpersonali la cui tipizzazione ad illecito penale rappresenta un’anticipazione di tutela rispetto ad un escalation di persecuzioni senza limite, mentre il mobbing si delinea come la degenerazione di un rapporto di lavoro che, pur presentando potenziali ripercussioni esterne, si consuma sempre e solo all’interno dell’ambiente lavorativo.

Vista la diversità oggettiva dei fenomeni, si tratteggia una certa differenza anche per ciò che concerne il profilo soggettivo. Le motivazioni e le finalità che animano le condotte sono opposte: il mobbing si caratterizza una serie di episodi persecutori connessi dal dolo specifico dell’agente volto a danneggiare il dipendente e terminare il rapporto di lavoro; lo stalking, invece, è un reato a dolo generico che si manifesta nella coscienza e volontà di cagionare uno degli eventi costitutivi della fattispecie, nel quale l’intento perseguito dall’agente non è di per sé distruttivo, ma si sostanzia nella patologica, disperata e insistente ricerca di un contatto con la vittima, ingenerando ansia e paura per la propria incolumità e per quella delle persone care.

In buona sostanza, il fenomeno dello stalking deve considerarsi come una forme di persecuzione ben più grave.

Le stesse finalità di tutela che hanno determinato l’elaborazione di queste due figure rimarcano e costituiscono la più grande differenza intercorrente tra le medesime.

Il delitto di “atti persecutori” ex articolo 612 codice penale è considerato un reato plurioffensivo, concepito a tutela dei beni della libertà morale (intesa come libertà di autodeterminazione), dell’integrità individuale (salute mentale e fisica della vittima) e, secondo alcuni autori[3], dell’incolumità individuale. Si tratta di una norma volta a prevenire un iter criminis che potrebbe potenzialmente portare a conseguenze ben più nefaste per la vittima rispetto agli eventi costitutivi del reato in questione, come la morte o lesioni gravissime.

La finalità di tutela del mobbing, invece, si rinviene nella salvaguardia del soggetto passivo nella sua dignità sul luogo di lavoro.

Orbene, considerando il limite del principio di offensività[4], per il quale l’azione criminale deve essere necessariamente lesiva dell’interesse tutelato dall’illecito penale tipico, la sussunzione di un’ipotesi di mobbing all’interno del quadro normativo dello stalking rischia di promuovere un sillogismo giuridico pericoloso, in quanto “un’equazione semplicistica che, di fronte all’eterogeneità delle relazioni sociali in analisi, porti ad allineare la tutela della serenità e fiducia nel rapporto di lavoro alla tutela dell’integrità psichica, confonde la ratio dei due modelli”[5].

Senonché, alla luce della disamina sin qui proposta, la criticità dell’equiparazione tra le due fattispecie consta nel fatto che se, oltre ai punti di contatto tra i due fenomeni, si considerano anche i beni giuridici tutelati dall’articolo 612 codice penale, l’inquadramento del mobbing nella cornice dello stalking giustificato dal solo verificarsi dell’evento giuridico descritto nella norma, rischia di distorcere la tipicità del reato di “atti persecutori”. Nell’accertamento tra la conformità del fatto e il tipo legale deve altresì valutarsi la presenza dell’offesa del bene giuridico tutelato, diversamente operando il confine tra l’interpretazione estensiva e quella analogica si assottiglia finanche a scomparire.

Per concludere, a parere di chi scrive il ricorso allo strumento del diritto penale deve ponderare scrupolosamente tutti gli aspetti di ogni singola vicenda. E non ci si riferisce sempre e solo a quelli normativi, ma anche a quelli personali. Se il disvalore delle condotte di mobbing si manifesta nella rottura dell’equilibrio di un rapporto di lavoro, la finalità da perseguire dovrebbe rivolgersi al recupero della relazione tra datore e lavoratore. Un recupero che porti ad una prosecuzione del rapporto oppure ad una pacifica conclusione dello stesso. L’intervento dello strumento penale rischierebbe di danneggiare anche le vittime del mobbing, soprattutto al giorno d’oggi, dove gli spazi e le professionalità nel mondo del lavoro si costruiscono anche grazie alla qualità ed alla solidità dei rapporti interpersonali. Non sempre lo strumento più invasivo è quello giusto, molto spesso la risoluzione di una controversia in sede civile potrebbe giovare ad entrambe le parti.

 

[1] Così, Cass. Pen. Sez. VI, n. 13088 del 20.03.2014; Cass. Pen. Sez. IV, n. 26594 del 26.06.2009, in www.olympus.uniurb.it/, fattispecie nelle quali la Suprema Corte, dinnanzi ad un’ipotesi di mobbing, ha escluso la sussistenza del delitto di cui all’art. 572 c.p. per essersi verificate le condotte vessatorie nel contesto di un’articolata realtà aziendale.

[2] Trib. di Taranto, n. 176 del 07.04.2014, in Il mobbing come stalking: prospettive e limiti, di Giovanna Pisani, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

[3] A. CADOPPI, Efficace la misura dell’ammonimento del questore, in Guida dir., 2009, pp. 19, 52.

[4] Sulla funzione politico-garantista dell’offesa F. MANTOVANI, in Diritto Penale, 2009, p. 209 e ss.

[5] GIOVANNA PISANI in Il mobbing come stalking: prospettive e limiti, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, opera cui si rimanda per una trattazione più approfondita della tematica.

Dall’inglese to mob (attaccare, assalire) il fenomeno del mobbing si presenta come una fattispecie complessa. Si tratta di una condotta conflittuale e degenerativa protratta nel tempo volta ad escludere ed emarginare il lavoratore dipendente, che viene sottoposto a maltrattamenti in limine con vere e proprie persecuzioni da parte di colleghi e superiori. In assenza di una figura incriminatrice ad hoc nel codice penale per le condotte di mobbing, la giurisprudenza ha classicamente ricondotto il fenomeno del mobbing all’interno del perimetro sanzionatorio del delitto di cui all’articolo 572 codice penale, valorizzando il dato letterale della norma. Nell’articolo 572 codice penale, infatti, rubricato - a seguito delle modifiche operato dalla Legge n. 172/2012, “maltrattamenti contro familiari e conviventi”, vi è un espresso riferimento anche ai maltrattamenti contro una persona soggetta all’autorità dell’agente. Tuttavia l’applicazione della norma non può estendersi a qualsivoglia forma di discriminazione del datore avverso il lavoratore, ma si restringe a quelle peculiari ipotesi nelle quali il rapporto tra superiore e subordinato sia di natura para-familiare, ossia un contesto che per dimensioni e rapporti di quotidianità possa essere assimilato ad una famiglia. In sostanza, necessitando di un rapporto interpersonale caratterizzato da relazioni intense ed abituali tali da avvicinarsi a quelle familiari, non si deve cedere alla tentazione di collegare sistematicamente gli episodi di mobbing al reato ex articolo 572 codice penale, non potendosi sempre configurare un rapporto di natura para-familiare tra dipendenti e superiori nelle strutture aziendali, soprattutto in quelle di notevoli dimensioni. Altri orientamenti giurisprudenziali, infatti, hanno in questo senso escluso l’applicabilità dell’articolo 572 codice penale alla vicende svoltesi all’interno di grandi aziende[1].

Con un interessante pronuncia del 2014[2] un GUP di Taranto ha elaborato una soluzione alternativa alla classica sussunzione degli episodi di mobbing nella fattispecie dei maltrattamenti sul lavoro. Verificata l’insussistenza del rapporto para-familiare nell’azienda e valutato di non poter così applicare l’articolo 572 codice penale alla luce della richiamata giurisprudenza, il GUP, rinvenute diverse assonanze nella situazione patologica che intercorre tra mobber e vittima con il fenomeno criminale dello stalking, ha ritenuto di poter inquadrare la condotta di mobbing nella fattispecie di cui all’articolo 612 bis codice penale, rubricato “atti persecutori”.

Individuato dalla dottrina criminologica di common law e trasposto nel nostro ordinamento italiano per il tramite dell’articolo 612 bis codice penale con il dichiarato intento di apportare una tutela rafforzata e specifica contro variegate ipotesi di maltrattamenti e condotte aggressive, lo stalking, così tipizzato dal legislatore italiano, si delinea come una forma di persecuzione cui consegue il verificarsi di tre eventi alternativi: il ripetersi di una condotta di minaccia o di molestia indesiderata dalla vittima deve determinare una reazione emotiva che si manifesti in rilevanti disagi psichici, quali un perdurante e grave stato d’ansia e paura; ovvero nel fondato timore per la propria incolumità e quella delle persone care; ovvero ancora in un’alterazione delle proprie abitudini di vita.

Di conseguenza, sembrerebbe di poter ricondurre le casistiche di mobbing nella cornice del reato di stalking laddove la condotta del datore di lavoro si concretizzasse nella reiterazione di atteggiamenti discriminatori perpetrati a mezzo di minaccia e molestia tali da ingenerare nella vittima anche uno soltanto dei summenzionati eventi alternativi.

Tale soluzione non esula da critiche in merito a diversi profili di problematicità.

Nonostante alcune affinità tra la figura del mobbing e quella dello stalking, i due fenomeni presentano notevoli differenze. Soffermandosi, in primis, sul modus operandi del soggetto agente, si rileva una diversità sostanziale: il comportamento dello stalker si caratterizza per la ricerca di un contatto esasperato con la vittima, che viene letteralmente perseguitata e psicologicamente torturata al punto di arrivare, in certi casi, a modificare le proprie abitudini di vita per sfuggire all’ossessione del suo predatore; diversamente, nel caso del mobber, la condotta dell’agente si esplica solamente all’interno dell’ambiente di lavoro. Pertanto, benché i patimenti sofferti delle vittime di mobbing possano facilmente trascendere l’attività professionale riversandosi collateralmente nelle diverse sfere della vita privata incidendo sul generale benessere psicofisico, il locus commis delicti diviene un elemento di specificità del fenomeno. La violenza psicologica è ristretta ad un determinato ambiente sociale non rientrando, nel concetto di mobbing, le tensioni e i conflitti che si innescano in altri settori della vita.

In definitiva, lo stalking consiste nel deterioramento delle relazioni interpersonali la cui tipizzazione ad illecito penale rappresenta un’anticipazione di tutela rispetto ad un escalation di persecuzioni senza limite, mentre il mobbing si delinea come la degenerazione di un rapporto di lavoro che, pur presentando potenziali ripercussioni esterne, si consuma sempre e solo all’interno dell’ambiente lavorativo.

Vista la diversità oggettiva dei fenomeni, si tratteggia una certa differenza anche per ciò che concerne il profilo soggettivo. Le motivazioni e le finalità che animano le condotte sono opposte: il mobbing si caratterizza una serie di episodi persecutori connessi dal dolo specifico dell’agente volto a danneggiare il dipendente e terminare il rapporto di lavoro; lo stalking, invece, è un reato a dolo generico che si manifesta nella coscienza e volontà di cagionare uno degli eventi costitutivi della fattispecie, nel quale l’intento perseguito dall’agente non è di per sé distruttivo, ma si sostanzia nella patologica, disperata e insistente ricerca di un contatto con la vittima, ingenerando ansia e paura per la propria incolumità e per quella delle persone care.

In buona sostanza, il fenomeno dello stalking deve considerarsi come una forme di persecuzione ben più grave.

Le stesse finalità di tutela che hanno determinato l’elaborazione di queste due figure rimarcano e costituiscono la più grande differenza intercorrente tra le medesime.

Il delitto di “atti persecutori” ex articolo 612 codice penale è considerato un reato plurioffensivo, concepito a tutela dei beni della libertà morale (intesa come libertà di autodeterminazione), dell’integrità individuale (salute mentale e fisica della vittima) e, secondo alcuni autori[3], dell’incolumità individuale. Si tratta di una norma volta a prevenire un iter criminis che potrebbe potenzialmente portare a conseguenze ben più nefaste per la vittima rispetto agli eventi costitutivi del reato in questione, come la morte o lesioni gravissime.

La finalità di tutela del mobbing, invece, si rinviene nella salvaguardia del soggetto passivo nella sua dignità sul luogo di lavoro.

Orbene, considerando il limite del principio di offensività[4], per il quale l’azione criminale deve essere necessariamente lesiva dell’interesse tutelato dall’illecito penale tipico, la sussunzione di un’ipotesi di mobbing all’interno del quadro normativo dello stalking rischia di promuovere un sillogismo giuridico pericoloso, in quanto “un’equazione semplicistica che, di fronte all’eterogeneità delle relazioni sociali in analisi, porti ad allineare la tutela della serenità e fiducia nel rapporto di lavoro alla tutela dell’integrità psichica, confonde la ratio dei due modelli”[5].

Senonché, alla luce della disamina sin qui proposta, la criticità dell’equiparazione tra le due fattispecie consta nel fatto che se, oltre ai punti di contatto tra i due fenomeni, si considerano anche i beni giuridici tutelati dall’articolo 612 codice penale, l’inquadramento del mobbing nella cornice dello stalking giustificato dal solo verificarsi dell’evento giuridico descritto nella norma, rischia di distorcere la tipicità del reato di “atti persecutori”. Nell’accertamento tra la conformità del fatto e il tipo legale deve altresì valutarsi la presenza dell’offesa del bene giuridico tutelato, diversamente operando il confine tra l’interpretazione estensiva e quella analogica si assottiglia finanche a scomparire.

Per concludere, a parere di chi scrive il ricorso allo strumento del diritto penale deve ponderare scrupolosamente tutti gli aspetti di ogni singola vicenda. E non ci si riferisce sempre e solo a quelli normativi, ma anche a quelli personali. Se il disvalore delle condotte di mobbing si manifesta nella rottura dell’equilibrio di un rapporto di lavoro, la finalità da perseguire dovrebbe rivolgersi al recupero della relazione tra datore e lavoratore. Un recupero che porti ad una prosecuzione del rapporto oppure ad una pacifica conclusione dello stesso. L’intervento dello strumento penale rischierebbe di danneggiare anche le vittime del mobbing, soprattutto al giorno d’oggi, dove gli spazi e le professionalità nel mondo del lavoro si costruiscono anche grazie alla qualità ed alla solidità dei rapporti interpersonali. Non sempre lo strumento più invasivo è quello giusto, molto spesso la risoluzione di una controversia in sede civile potrebbe giovare ad entrambe le parti.

 

[1] Così, Cass. Pen. Sez. VI, n. 13088 del 20.03.2014; Cass. Pen. Sez. IV, n. 26594 del 26.06.2009, in www.olympus.uniurb.it/, fattispecie nelle quali la Suprema Corte, dinnanzi ad un’ipotesi di mobbing, ha escluso la sussistenza del delitto di cui all’art. 572 c.p. per essersi verificate le condotte vessatorie nel contesto di un’articolata realtà aziendale.

[2] Trib. di Taranto, n. 176 del 07.04.2014, in Il mobbing come stalking: prospettive e limiti, di Giovanna Pisani, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

[3] A. CADOPPI, Efficace la misura dell’ammonimento del questore, in Guida dir., 2009, pp. 19, 52.

[4] Sulla funzione politico-garantista dell’offesa F. MANTOVANI, in Diritto Penale, 2009, p. 209 e ss.

[5] GIOVANNA PISANI in Il mobbing come stalking: prospettive e limiti, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, opera cui si rimanda per una trattazione più approfondita della tematica.