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Il politically correct sta precipitando nel pensiero unico

Piero della Francesca, Storie della Vera Croce, chiesa di San Francesco, cappella Bacci, Arezzo
Piero della Francesca, Storie della Vera Croce, chiesa di San Francesco, cappella Bacci, Arezzo

Ho l’età per appartenere a quelle persone (perbene) che tanti anni fa di fronte agli studenti che affermavano a voce alta “il sapere è l’arma di pressione di una società bianca, fallocratica, eterosessuale” hanno sorriso, scosso la testa, detto “son ragazzi”. Erano i nonni di quelli che oggi depositano un fiore sulle confezioni di carne nel banco frigo dei supermercati dandoci degli “assassini” (di vacche e di pecore, of course). E noi sorridiamo: “son ragazzi”.

Ci è sfuggita allora, ci sfugge oggi, la pericolosità del politically correct e della sua evoluzione. Mi ha confidato un amico, professore universitario in USA (mi ha pregato di non citarlo!) che colà le Università controllano, per conto degli studenti e delle loro famiglie, il diversity statement dei professori. Chi concorre per occupare una cattedra deve documentare per iscritto (sic!) che nell’insegnamento “illustrerà e commenterà criticamente l’esperienza dei gruppi di diseredati, passati e presenti”. In quel “passati” ci sono i libri di Dante e di Shakespeare bollati come omofobi, e le statue (da distruggere) di chi ha fatto la Storia.

Era il sistema in auge al tempo del fascismo italico, del nazismo tedesco, del comunismo sovietico, del nazi-comunismo maoista, mantenuto tal quale dal loro compagno di merende Xi Jinping. Il documento richiesto dalle università liberal americane altro non è che l’adesione al pensiero unico di novecentesca memoria, rendendo irrilevante le capacità didattiche, la competenza riferita alla materia di insegnamento, la meritocrazia.

Uno dei miei miti è Allan Bloom, il suo libro “La chiusura della mente americana”, dal 1987 staziona sul mio comodino, proteggendomi da questi barbari, sempre più ignoranti e aggressivi. Fin dalla sua prima edizione il libro venne violentemente attaccato dalla sinistra liberal americana, si associarono le sinistre europee, pure quella italiana. Oggi, la parte migliore della sinistra e della destra americana, con alla testa un altro mito (Noam Chomsky) in un Manifesto hanno detto: “Basta!”. John McWhouter professore alla Columbia, afroamericano, cita un’inchiesta ove 445 accademici interpellati su questo tema, preferiscono non esprimere la loro posizione per timore di compromettere il proprio posto di lavoro (sic!).

È ciò che sta avvenendo, ormai da molti anni, anche da noi, persino nel mondo dei media ove il conformismo politico culturale dovrebbe essere, per definizione, assente. Un gruppo di facinorosi (scrittori, giornalisti, magistrati, musici, persino ridicoli influencer) sta dettando l’agenda del pensiero unico e funge pure da giudice seguendo i dettami del vecchio Tribunale speciale del 1926. I colleghi dei media mainstream, di impronta dichiaratamente liberale, sono ridotti a una sparuta minoranza (ne ho contati una decina) e il loro destino pare segnato.

Mi preoccupa la Svizzera, ultima terra liberale, starà mica collassando anche lei? La Swiss, in verità ora è tedesca, quindi “merkellizzata”, non distribuisce più a bordo i deliziosi cioccolatini Läderach perché Jürg Läderach si è dichiarato contro l’aborto (sic!). A Zurigo una pacifica marcia di cristiani è stata vietata con una motivazione incredibile: “pericolo di violenze”. La Polizia ha precisato: non i cristiani, ma i loro avversari politically correct sono facinorosi e fanatici.

Tutte cose previste 33 anni fa da Allan Bloom (si dice abbia perso il Nobel per quel libro) che disse, profeticamente, “Il fascism non ci ha mai lasciati”. Come liberali è giusto preoccuparci di una potenziale deriva socialista-statalista post “Virus”, ma prima di questa incombe un pericolo ben più grave, il fascism (mi raccomando senza la “o”) di costoro fattosi potere.

Non dobbiamo accettare di andare verso una società plumbea (così chiamo da anni quella del CEO capitalism) che con la sua visione digital-monopolista della vita mortifica  il pensiero e l’iniziativa privata (competenza, concorrenza, merito) dopo aver ucciso l’ascensore sociale. La libertà vive di errori e di eccessi ai quali si rimedia proprio con la libertà, non con leggi e prassi che vietano e non educano. Almeno noi dei media non allineati, ormai quattro gatti, si abbia la dignità di uscire da questo conformismo d’accatto. Lo ripeto fino alla nausea: “Fermiamoci, se del caso, scendiamo”.

Zafferano.news