Il Trust in Italia: attuale orientamento della giurisprudenza
È il caso di dire, finalmente, la giurisprudenza italiana ha intrapreso la strada della non riconoscibilità del trust che, o non risulti meritevole di tutela per il nostro ordinamento, come il caso triestino, o non risulti rispettoso dei requisiti minimi che la Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trust ed al loro riconoscimento richiede all’articolo 2.
Si apre quindi la via alla censura corretta, dal punto di vista sostanziale e formale, di tutti quegli atti che tutto possono dirsi, tranne trust.
La strada era stata in parte già tracciata dai tribunali di Milano e Reggio Emilia travolti, quanto al primo, da una serie di trust cosiddetti “Liquidatori” che altro non erano che un estremo tentativo di sottrarre il poco attivo residuo alle legittime ragioni dei creditori, destinati a divenire a stretto giro propriamente concorsuali.
Tuttavia nell’affannoso, quanto comprensibile fine di togliere di mezzo questi strumenti, il tribunale di Milano è ricorso alla nullità del trust che tuttavia non è formalmente corretta proprio per le norme civilistiche a presidio della nullità stessa, che impongono la violazione di una norma specifica la cui sanzione sia espressamente individuata dal legislatore nella nullità.
Del tutto corretta è invece la strada intrapresa da entrambe le sentenze in commento che pongono nel massimo risalto due aspetti sostanziali dei trust interni.
Il primo: il trust deve essere meritevole di tutela ossia deve perseguire un fine che con gli ordinari strumenti del diritto civile non sarebbe altrimenti perseguibile e questa precisazione deve essere contenuta nelle premesse dell’atto istitutivo. Ne consegue che sono da censurare tutti quei trust (come quello dal quale ha avuto origine la decisione triestina) nei quali l’unico beneficiario risulti essere il solo disponente e non invece una classe di beneficiari per i quali sia stato predisposto un programma specifico di gestione dei beni nel loro interesse.
Il secondo: il disponente non può riservarsi ogni potere nel trust anche se la legge regolatrice glielo consentirebbe perché ogni trust interno deve comunque passare il primo ed imprescindibile vaglio di conformità ai precetti posti a fondamento della Convenzione, il cui articolo 2, ultimo comma, espressamente esclude questa possibilità.
Concludo infine, come membro fin dalla sua istituzione dell’Associazione il Trust in Italia, con un pensiero di favore e condivisione piena verso queste decisioni che aiutano, facendo proprie quelle linee guida che da sempre l’Associazione, e il suo Presidente, il prof. Maurizio Lupoi, hanno tracciato, lo sviluppo e l’impiego di quei soli trust che possano concorrere ad una evoluzione del nostro ordinamento, in termini anche di crescita giuridica e di confronto con l’esperienza di altri paesi, mettendo a disposizione di tutti noi nuovi strumenti per regolare i disciplinare i nostri diritti.
Per la sentenza del Tribunale di Bologna clicca qui.
Per la sentenza del Tribunale di Trieste clicca qui.
È il caso di dire, finalmente, la giurisprudenza italiana ha intrapreso la strada della non riconoscibilità del trust che, o non risulti meritevole di tutela per il nostro ordinamento, come il caso triestino, o non risulti rispettoso dei requisiti minimi che la Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trust ed al loro riconoscimento richiede all’articolo 2.
Si apre quindi la via alla censura corretta, dal punto di vista sostanziale e formale, di tutti quegli atti che tutto possono dirsi, tranne trust.
La strada era stata in parte già tracciata dai tribunali di Milano e Reggio Emilia travolti, quanto al primo, da una serie di trust cosiddetti “Liquidatori” che altro non erano che un estremo tentativo di sottrarre il poco attivo residuo alle legittime ragioni dei creditori, destinati a divenire a stretto giro propriamente concorsuali.
Tuttavia nell’affannoso, quanto comprensibile fine di togliere di mezzo questi strumenti, il tribunale di Milano è ricorso alla nullità del trust che tuttavia non è formalmente corretta proprio per le norme civilistiche a presidio della nullità stessa, che impongono la violazione di una norma specifica la cui sanzione sia espressamente individuata dal legislatore nella nullità.
Del tutto corretta è invece la strada intrapresa da entrambe le sentenze in commento che pongono nel massimo risalto due aspetti sostanziali dei trust interni.
Il primo: il trust deve essere meritevole di tutela ossia deve perseguire un fine che con gli ordinari strumenti del diritto civile non sarebbe altrimenti perseguibile e questa precisazione deve essere contenuta nelle premesse dell’atto istitutivo. Ne consegue che sono da censurare tutti quei trust (come quello dal quale ha avuto origine la decisione triestina) nei quali l’unico beneficiario risulti essere il solo disponente e non invece una classe di beneficiari per i quali sia stato predisposto un programma specifico di gestione dei beni nel loro interesse.
Il secondo: il disponente non può riservarsi ogni potere nel trust anche se la legge regolatrice glielo consentirebbe perché ogni trust interno deve comunque passare il primo ed imprescindibile vaglio di conformità ai precetti posti a fondamento della Convenzione, il cui articolo 2, ultimo comma, espressamente esclude questa possibilità.
Concludo infine, come membro fin dalla sua istituzione dell’Associazione il Trust in Italia, con un pensiero di favore e condivisione piena verso queste decisioni che aiutano, facendo proprie quelle linee guida che da sempre l’Associazione, e il suo Presidente, il prof. Maurizio Lupoi, hanno tracciato, lo sviluppo e l’impiego di quei soli trust che possano concorrere ad una evoluzione del nostro ordinamento, in termini anche di crescita giuridica e di confronto con l’esperienza di altri paesi, mettendo a disposizione di tutti noi nuovi strumenti per regolare i disciplinare i nostri diritti.
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