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Introspezione

Guardarsi nell’interiorità. Sì, ma come?
Sul mare
Ph. Stefania Fiorenza / Sul mare

La sollecitazione precedente, ad utilizzare con parsimonia l’avverbio assolutamente, probabilmente nasce da lontano: dove? Proviamo a scandagliare l’ipotesi dell’introspezione.

Nel voler compiere le istanze che lo realizzano, mediamente parlando, l’uomo contemporaneo reclama il diritto all’autodeterminazione che con facilità, a motivo dei condizionamenti, ai quali probabilmente non pone sufficiente attenzione, deriva nella sua “patologia” dell’autodeterminazionismo.

Questo fatto comporta il trovarsi costantemente rimandati a sé in una sorta di autoreferenzialità assoluta.

Ognuno di noi, nei fatti, è un’unità corporeo-spirituale; è un uno, e come tale si percepisce. In questa unità, nell’unità di noi stessi, abbiamo dei nessi definibili come sopra, accanto, davanti, dietro. Questi nessi sono, grammaticalmente, definiti avverbi.

Gli avverbi, sono quelle parti invariabili di un discorso la cui funzione è quella di descrivere, illustrare il significato di un verbo, di un aggettivo o di un altro avverbio. Più specificamente, quelli che abbiamo citato, hanno un compito preciso: indicare la collocazione di una persona, o un oggetto, nello spazio o indicare la distanza tra una persona ed un’altra, o tra un oggetto e l’altro.  Questi avverbi, pertanto, offrono una percezione di se stessi che potremmo definire funzionale.

Tuttavia, l’unità di noi stessi, si percepisce anche come fuori e dentro. Pur essendo anche quest’ultimi avverbi, rispetto a quelli nominati, favoriscono una percezione di noi stessi extraintrospettiva rispetto a quella che abbiamo definito funzionale.

In quest’ultima coppia di avverbi, il movimento è reversibile: o dal fuori verso il dentro o dal dentro verso il fuori; esteriorità verso interiorità e viceversa. Fuori e dentro, esteriorità e interiorità, tuttavia, non sono semplicemente relazioni funzionali come l’essere sopra, accanto, davanti e dietro.

Il movimento fuori-dentro, esteriorità-interiorità e viceversa è l’insieme del vivere che assorbe la maggior parte delle energie dell’essere umano in quanto è esperienza totalizzante: è in gioco tutto l’essere della persona! Mentre il fuori-esteriorità è visibile, il dentro-interiorità non appare: è scontato?

Forse sì. Tuttavia in ciò che non appare sta la consistenza dello spazio decisionale. Sperimentiamo, allora, un rientro in noi stessi; un viaggio nell’interiorità; un cammino introspettivo serio, ed al tempo stesso, sereno. Qualcuno potrebbe obiettare che da soggetto dovrebbe oggettivarsi. Non è questo lo scopo dell’auto-osservazione interiore.

Un noto ritornello di una famosa canzone ormai quarantenne, era infatti il 1981, recitava: cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente. Avrei bisogno di... Non si trattava dell’inno all’immobilismo bensì del desiderio di essere intellettualmente onesti con se stessi per dirsi come si vive in rapporto agli altri. Ed io? Tu? Noi? Come viviamo la relazione con gli altri? Se ambiamo a scoprirlo, forse, vale la pena porre una “seconda” navigazione, d’ispirazione platoniana, verso il centro di noi stessi.