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Umanesimo, libertà, persona e personalità: nessi e connessioni

Cacciatore di attimi
Ph. Ermes Galli / Cacciatore di attimi

Ognuno consideri la sua esperienza personale. Noi sussistiamo nella nostra libertà e l’avvertiamo come un valore primario per poter abitare una vita degna del nostro essere persona. La veracità di questa affermazione è immediatamente provata a contrario: appena ne avvertiamo una, seppur piccola, limitazione, insorgiamo appellandoci ai diritti umani fondamentali.

Per altri aspetti quali, ad esempio, la fatica di crescere o il dover porre un vaglio critico alle nostre scelte esistenziali imprescindibili, vorremmo fossero risparmiati questi sforzi alla nostra libertà per non dover attuare la consistenza della nostra responsabilità. Tuttavia, ciò non è possibile.

La libertà è una realtà essenziale per l’uomo: fonda il suo stare nella vita e, contemporaneamente, è dono, valore e missione da compiere.

L’essenza della libertà, umanisticamente parlando, consiste nel desiderio di essere nella vita, salpando dalla propria interiorità/coscienza, fondando il proprio esistere nel decidersi-decidendo e riuscendo, così, a portare a compimento risposte responsabili. Procedendo in tal modo, l’essere umano si protende verso una completezza del suo essere persona – ciò non significa esente da errori bensì corredato da capacità di trasparenza agente – e si dispone in relazioni caratterizzate dalla ricerca di un’armonica concordanza per crescere proprio come persona.

Così descritto il tutto sembra facile. In realtà dietro queste scarne parole abbiamo una saggezza plurisecolare. Nel pensiero umanistico alla libertà umana viene riservata una notevole attenzione in quanto, nel suo attuarsi, genera sempre un ritorno su tutto l’essere della persona proprio perché da essa, persona, prende avvio.

Proviamo a riformulare il pensiero. Secondo gli umanisti non può darsi un agire libero che sia solo funzionale o quantitativo. Se fosse considerata solo ed esclusivamente in questi termini, la libertà sarebbe espressione della purità egoistica interiore dell’uomo – robustezza ossimorica –, finalizzata a raggiungere esclusivamente scopi materiali e/o immanenti. La libertà agìta, per il suo “partire da” e per il riverbero che si diffonde su e per tutto l’essere della persona, non può ridursi ad una semplice quantizzazione.

Parlare di “persona” vuol dire porre la candidatura di una nozione ontologica con la quale si intende il costitutivo dell’essere umano, del suo incardinarsi dentro le dimensioni e le leggi di natura, senza però risolversi in esse. Dire che l’essere umano viene compreso come “persona”, significa affermare che viene posto in mano a se stesso, è capace di conoscersi e di disporre di sé, e perciò deve render conto responsabilmente di sé e del proprio agire.

Se possiamo presentare così l’essere persona, con “personalità” possiamo proporre una cognizione la quale esprime un’inequivocabile struttura di esistenza e un parametro valoriale, condizionati dal contesto storico nel quali si vive. La consistenza della personalità evidenzia che l’uomo è chiamato a formarsi partendo dal proprio nucleo interiore e secondo la fondamentale configurazione essenziale presente in lui. La personalità palesa, inoltre, per un verso, il divenire di un essere originale ed inconfondibile, e per un altro, l’evolversi in un individuo creativo degno di considerazione.

Diventare una «personalità̀», quale espressione dell’essere “persona”, rappresenta l’obiettivo e il parametro della formazione umanisticamente intesa.

Con questa riflessione abbiamo voluto proporre, nuovamente, il carattere, problematicamente, permanente della formazione umana che può essere solo personale. In sintesi: vivendo, stabilmente, in un contesto storico complesso e mutevole; sapendo di essere persone che quotidianamente spendono la libertà per dar forma alla propria personalità, avvertiamo, incessantemente, la necessità di metterci in gioco. Tutto questo, nondimeno, da vivere sempre in modo consapevole.