Aiutare

“Ci vuole un intero villaggio, per crescere un bambino”
Proverbio africano
Il significato fondamentale di aiutare, secondo la Treccani, è quello di “facilitare, ovvero di rendere meno gravoso un compito a qualcuno o rendere più agevole l’uso di una cosa”. Ovviamente secondo il contesto, essendo un termine molto generale, vi sono delle sfumature e sono disponibili numerosi sinonimi, ad esempio assistere (che Dio ci assista!; assistere un giovane negli studi), verbo che è più specifico del semplice aiutare, perché in questo caso implica una partecipazione del soggetto.
In ambito sanitario, come si sa, è molto utilizzato per indicare un’attività di collaborazione oppure per indicare in modo generico un intervento di soccorso, nel qual caso però è più utilizzato soccorrere, che indica un aiuto tempestivo e di breve durata.
Certamente i sinonimi collaborare o cooperare implicano una maggiore reciprocità dell’aiuto, mentre quello di coadiuvare assume un carattere più burocratico, ed in tal senso è utilizzato.
Quando mi sono imbattuto nel proverbio africano citato, peraltro molto conosciuto, ho pensato che potesse essere interpretato anche come una metafora di quanto aiuto occorre, per rendere meno gravosa la crescita non solo di un bambino: così potremmo immaginare che sia volto anche allo sviluppo di un’idea nuova o di un progetto.
Pensando poi al villaggio, non è possibile dimenticare l’espressione, coniata nella seconda metà del secolo scorso dal sociologo canadese H. M. McLuhan, di villaggio globale, per indicare sempre metaforicamente il mondo, o meglio il nuovo mondo, nel quale le informazioni si spargevano a macchia d’olio nelle comunità anche lontane geograficamente, attraverso i mezzi di comunicazione di massa che si andavano diffondendo, nello stesso modo in cui avveniva nella dimensione ristretta di un villaggio.
Come sempre è accaduto e accadrà, sono gli artisti ad anticipare il futuro: nel 1911 Umberto Boccioni dipinge La strada entra nella casa, quadro colorato e dinamico (tipico esempio futurista). L’autore lo descrive in questo modo: “La sensazione dominante è quella che si può avere aprendo una finestra: tutta la vita, i rumori della strada, irrompono contemporaneamente come il movimento e gli oggetti fuori”.
Ora anche senza aprire la finestra, i rumori/informazioni/immagini si impongono nella vita quotidiana, annullando distanze enormi. Vale la pena di chiedersi se questo fenomeno così invadente e strabordante, che riempie il nostro tempo libero, decisamente aumentato grazie alla tecnologia che riduce i tempi di lavoro, sia un fattore di aiuto alla crescita di cui si parlava prima o un fattore che la inibisce. Se la crescita e l’aiuto alla crescita richiedono inevitabilmente tempo, si può rispondere che la concentrazione dell’attenzione sull’attualità, sull’hic et nunc, cui ci stiamo ormai assuefatti, non è un fattore favorente. I diffusi comportamenti alterati poi dell’utilizzo dei social ci fanno comprendere i rischi che stiamo correndo.
Si può dire anche altro, prendendo spunto dal proverbio: ossia per crescere e per aiutare a crescere non solo è richiesto l’apporto di molte persone, di vari gruppi, alla fin fine di una comunità (nelle sue molteplici ma essenziali articolazioni), ma è necessario che questo ambiente abbia specifiche caratteristiche per consentire la crescita, l’educazione, l’apprendimento, che vuol dire anche disponibilità ad accogliere il nuovo e favorire il suo sviluppo.
Non casualmente: Ci vuole un intero villaggio, per crescere un bambino, è spesso preso come spunto per ragionare ed indicare le strade a fini educativi. Costruire un villaggio per crescere i propri figli vuol dire che serve tanta energia per svolgere questo impegno, per cui è opportuno dividersi il “carico mentale” che esso comporta, significa avere una rete che ci sostiene, condividendo alcuni valori, ed ancora stare in una comunità che abbia dei confini, pur senza mura.
Se trasferiamo tutto questo nell’ambiente lavorativo, possiamo pensare che dovrebbe accadere la medesima cosa per la nascita, lo sviluppo, la crescita di un’idea, di un progetto, di un’attività innovativa: questa può essere aiutata, facilitata nella sua realizzazione, se esiste un ambiente che funzioni prima da culla, poi da girello, poi da asilo nido e così via.
L’immagine del villaggio, a mio parere, rende alla perfezione le caratteristiche di un ambiente adeguato perché accada l’innovazione.
È un immagine però che non corrisponde a quella ora in voga: se si cerca su Google alla voce villaggio, compaiono centinaia se non migliaia di indicazioni di siti di villeggiatura, cioè il villaggio è quello turistico. Luoghi quindi di svago, anche se poi molti lavorano perché ciò si avveri, non certo luoghi operosi e stabili, ma luoghi di passaggio.
Si tratta allora, in una società in cui ognuno è alone together, recuperare l’immagine simbolica del villaggio, che vuol dire scambio, rapporti, conoscenze, luoghi ed occasioni di incontro, collaborazione, costruzione, condivisione, socialità.
Guido Martinotti, in un suo intervento di qualche anno fa, ricordava come nel villaggio andare a prendere l’acqua alla fonte, attività banale e quotidiana, voleva dire ritrovarsi in un luogo della comunità ove si creava l’occasione per grandi, ragazzi e bambini per comunicare, darsi informazioni, raccontarsi vicende proprie ed altrui: era un momento ed uno spazio di aggregazione che favoriva l’appartenenza, creando occasioni anche per aiutarsi e proteggersi e per collaborare e progettare.
Ora queste occasioni di incontro per soddisfare bisogni primari sono svanite: tuttavia la necessità di fare rete, come ormai si dice, rimane. Come rimane l’esigenza della creazione di un ambiente che possa essere di aiuto ed appoggio per coltivare insieme il nuovo.