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Irrilevanza penale del mancato versamento dell’imposta di soggiorno da parte dell’albergatore: era necessaria l’interpretazione autentica del Legislatore?

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Criminal irrelevance of the non-payment of the tourist tax by the hotelier: was the authentic interpretation of the Legislator necessary?

 

ABSTRACT

Il presente contributo si propone di affrontare il tema dell’eventuale rilievo penale del mancato versamento dell’imposta di soggiorno da parte dell’albergatore: con riferimento a tale adempimento, il legislatore e la giurisprudenza hanno assunto nel tempo orientamenti ondivaghi.

Ad un primo periodo in cui alla condotta di omesso versamento era riconosciuto esclusivo rilievo sotto il profilo amministrativo/tributario, era seguita una corrente di pensiero della giurisprudenza di legittimità che aveva riconosciuto all’albergatore il ruolo di agente contabile e, quindi, di incaricato di pubblico servizio e aveva fatto discendere dall’omesso versamento del tributo una responsabilità penale per il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p.

Con il D.L. n. 34 del 19.5.2020 (c.d., Decreto Rilancio), il Legislatore ha espressamente sancito l’irrilevanza penale del mancato versamento dell’imposta di soggiorno: nulla quaestio sulle condotte future, ma quid iuris rispetto a quelle precedenti?

Sul tema, si erano contrapposti due orientamenti in giurisprudenza: uno, più garantista, che riconosceva alla norma valore di abolitio criminis, con conseguente applicazione retroattiva ed uno, più conservatore, che riteneva immutato il quadro normativo per il passato e riservava l’applicabilità della nuova norma solo alle ipotesi successive all’entrata in vigore del Decreto Rilancio.

A comporre il contrasto è, infine, recentemente intervenuto nuovamente il Legislatore con l’art. 5-quinquies del D.L. n. 146 del 2021 (convertito dalla Legge n. 215 del 2021), il quale ha espressamente aderito all’orientamento più garantista e ha così dissipato ogni dubbio sulla valenza di abolitio criminis della norma introdotta nel 2020.

L’interpretazione autentica del Legislatore rende cristallino il proprio intendimento nel momento in cui ha introdotto la disposizione abrogativa, ma – esaminando la giurisprudenza pregressa – vi erano già fondate tracce argomentative che lasciavano propendere per questa interpretazione.

 

This contribution aims to address the issue of the possible criminal significance of the non-payment of the tourist tax by the hotelier: regarding this fulfilment, the Legislator and the Courts have taken over time uncertain approaches.

To an initial phase during which the conduct of non-payment was recognized as having exclusive administrative/tax importance, there was a trend of thought of the Supreme Court Case Law that had recognized to the hotelier the role of accounting officer and, therefore, of public service provider and had resulted from the non-payment of the tax a criminal liability for the crime of misappropriation of public fund pursuant to Art. 314 of the Criminal Code.

With the Decree-Law n. 34 of 19.5.2020 (cd. Relaunch Decree), the Legislator has expressly sanctioned the criminal irrelevance of the non-payment of the tourist tax: nulla quaestio on the future conducts, but quid iuris regarding the previous ones?

On the issue, there were two opposing Case Law interpretations: one, more protective, which recognized the rule as abolitio criminis, with consequent retroactive application and the other one, more conservative, that considered unchanged the normative framework for the past and reserved the applicability of the new rule only to the hypotheses subsequent to the entry into force of the Relaunch Decree.

To solve the contrast, finally, the Legislator is intervened again with art. 5-quinquies of the Decree-Law No. 146 of 2021 (converted by Law No. 215 of 2021), which has expressly adhered to the most protective interpretation and has thus dispelled any doubt on the meaning of abolitio criminis of the rule introduced in 2020.

The authentic interpretation of the Legislator makes crystal clear its understanding when it introduced the abrogative provision, nevertheless – examining the previous case-law – there were already well-founded argumentative evidences that supported this interpretation.

 

Sommario

1. Brevi cenni sull’imposta di soggiorno

2. Il ruolo dell’albergatore conseguente all’introduzione dell’imposta di soggiorno

3. La sentenza n. 22 del 22 settembre 2016 della Corte dei conti: la qualifica di incaricato di pubblico servizio dell’albergatore e la conseguente configurabilità del reato di peculato in caso di omesso versamento dell’imposta di soggiorno

4. La modifica normativa introdotta dal D.L. n. 34 del 19.5.2020 e il dubbio circa la sua irretroattività

5. L’interpretazione autentica fornita dall’art. 5-quinquies del D.L. n. 146 del 2021

6. Considerazioni conclusive

 

Summary

1. Brief notes on the tourist tax

2. The role of the hotelier following the introduction of the tourist tax

3. The judgment n. 22 of 22nd of September 2016 of the Court of Auditors: the role of public service provider of the hotelier and the consequent configurability of the crime of misappropriation of public fund in case of non-payment of the tourist tax

4. The legislative amendment introduced by Decree-Law n. 34 of 19.5.2020 and the doubt relating to its non-retroactivity

5. The authentic interpretation provided by Art. 5-quinquies of the Decree-Law n. 146 of 2021

6. Concluding remarks

 

1. Brevi cenni sull’imposta di soggiorno

L’imposta di soggiorno è un tributo variabile su livello locale, che viene applicato a carico di chi pernotta[1] in una struttura ricettiva situata su uno dei Comuni in cui l’imposta trova applicazione.

Il pagamento viene effettuato da coloro che soggiornano nel Comune al gestore della struttura ricettiva, che poi è tenuto a versare gli importi riscossi su base mensile all’Ente comunale: l’Ente, poi, investe le somme ricavate dai predetti versamenti nel settore turistico, per finanziare interventi a sostegno delle strutture ricettive stesse, interventi di manutenzione e di recupero dei beni culturali o dei servizi pubblici locali.

L’idea del Legislatore è sempre stata, in estrema sintesi, quella di istituire un circolo virtuoso, in ossequio al quale il turista, che soggiorna in una località di interesse storico, culturale o naturalistico, investe parte del suo denaro per il miglioramento della località stessa o dei suoi servizi.

Istituita nel 1910 e riservata inizialmente ai comuni con stabilimenti idroterapici, stazioni climatiche e stazioni balneari, con il R.D.L. n. 1926 del 1938 l’imposta di soggiorno è stata estesa a tutte le località turistiche d’Italia[2] ed è rimasta in vigore fino alla fine del 1988[3]: in quel periodo, infatti, il Legislatore aveva deciso di abolire il tributo per ridurre i costi sostenuti dai turisti e, quindi, per rendere il nostro territorio maggiormente concorrenziale nel settore turistico sotto il profilo economico[4].

L’esperimento non ha sortito gli effetti sperati (all’abolizione del tributo non è in realtà conseguito un aumento delle presenze turistiche in Italia[5]) e, pertanto, l’imposta di soggiorno è stata successivamente reintrodotta, attraverso due distinti provvedimenti: ci si riferisce, in primo luogo, all’art. 14, comma 16, lett. e) del D.L. n. 78 del 2010, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito nella L. n. 122 del 2010, che – limitatamente al Comune di Roma – ha previsto, «per garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria», la possibilità di introdurre un contributo di soggiorno fino all’importo massimo di Euro 10,00 per notte[6]; in secondo luogo, all’art. 4, comma 1 del D.Lgs. n. 23 del 2001, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, che ha conferito ai comuni capoluogo di provincia, alle unioni di comuni, ai comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o delle città d’arte la facoltà di istituire l’imposta di soggiorno «secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno»[7].

A quest’ultima norma avrebbe dovuto fare seguito l’adozione – entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto – di un regolamento governativo che avrebbe dovuto dettare «la disciplina generale di attuazione dell’imposta di soggiorno»[8]: tale regolamento non è mai stato emanato e, pertanto, i Comuni, in ossequio a quanto previsto dall’ultima parte dell’art. 4, comma 3 del D.Lgs. n. 23 del 2011[9], si sono mossi individualmente, adottando propri autonomi regolamenti.

 

2. Il ruolo dell’albergatore conseguente all’introduzione dell’imposta di soggiorno

Molteplici sono state le questioni sollevate dalla (re)introduzione dell’imposta di soggiorno nel nostro ordinamento normativo.

In primo luogo, in un documento dell’agosto del 2015, Federalberghi (principale organizzazione imprenditoriale del settore turistico-ricettivo in Italia), si è dichiarata fermamente contraria al predetto tributo, affermando che «riduce la competitività del sistema turistico italiano senza apportare concreti beneficie auspicando quanto meno «l’adozione di un provvedimento che garantisca la corretta applicazione dei principi dettati dal decreto legislativo»[10].

Con specifico riferimento alla figura dell’albergatore, si è posto poi il problema di quale fosse il suo ruolo rispetto agli adempimenti connessi alla riscossione del tributo, posto che il meccanismo di versamento è fissato normativamente secondo il seguente schema: il turista – al momento del pagamento del proprio soggiorno – corrisponde anche l’imposta all’albergatore, che la riceve, la accantona in un conto separato (debitamente evidenziato in contabilità) e con cadenza mensile la versa al Comune competente.

Di fronte a tale meccanismo, un primo interrogativo ha riguardato l’eventuale attribuzione all’albergatore del ruolo di sostituto di imposta: su questo aspetto, è intervenuta la sentenza n. 653 del 10.5.2012 del TAR del Veneto, che ha individuato il gestore della struttura ricettiva come “responsabile della riscossione dell’imposta” e non come sostituto di imposta[11]. Egli, dunque, secondo l’assunto del Giudice amministrativo, non è tenuto a supplire all’eventuale, mancato pagamento dell’imposta di soggiorno da parte del turista.

A tale scopo, alcuni comuni hanno previsto un modulo da far sottoscrivere ai clienti in caso di loro rifiuto di pagare l’imposta di soggiorno[12].

Un secondo tema ha avuto come riferimento la sanzione da applicare in caso di errori o violazioni in merito al versamento dell’imposta di soggiorno da parte dell’albergatore: sul punto, è intervenuto il Legislatore, con la L. n. 3 del 2003, che ha inserito l’art. 7-bis nel D.Lgs. n. 267 del 2000, che al comma 1 ha previsto a carico delle strutture ricettive che non provvedano a versare l’imposta di soggiorno riscossa l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, che va da un minimo di Euro 25,00 a un massimo di Euro 500,00[13].

 

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[1] Sono previste esenzioni a favore di determinate categorie, quali: i bambini fino ai 10 anni, a volte 14 anni ma anche 18; chi pernotta presso gli ostelli della gioventù, i malati, i disabili, gli accompagnatori di persone malate o disabili (di solito uno per paziente), i genitori di malati minori di diciotto anni, gli autisti e gli accompagnatori turistici (di solito uno ogni 20/25 partecipanti), i residenti e a volte anche gli iscritti all’anagrafe (quindi gli aire), nonché le forze armate.

[2] Più specificamente, l’art. 1 R.D. L. n. 1926 del 1938, prevedeva che «L’imposta di soggiorno è applicata nelle stazioni di soggiorno, di cura e di turismo, nonché nelle altre località climatiche, balneari o termali o comunque di interesse turistico, ancorché non riconosciute ai sensi del regio decreto-legge 15 aprile 1926-IV, n. 765.

L’elenco di dette località è stabilito con decreto del ministro per l’interno, di concerto con quelli per le finanze e per la cultura popolare.

L’imposta è dovuta da chiunque prenda alloggio, in via temporanea, in alberghi, pensioni, locande, stabilimenti di cura e case di salute; è dovuta inoltre, salvo che nelle località per le quali il decreto interministeriale di cui al precedente capoverso disponga diversamente, da tutti coloro che dimorino temporaneamente, per un periodo superiore a cinque giorni, in ville, appartamenti, camere ammobiliate od altri alloggi».

[3] In particolare, l’imposta di soggiorno è stata abrogata dall’art. 10 D.L. n. 66 del 1989, recante disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale, convertito nella L. n. 144 del 1989. L’abolizione è avvenuta nell’ambito di un piano di riordino della finanza locale che aveva previsto l’istituzione dell’ICAP, l’imposta comunale per l’esercizio di imprese, arti e professioni, il cui ammontare veniva calcolato in base all’attività esercitata e alla classe di superficie utilizzata.

[4] L’abrogazione, infatti, era stata disposta nell’imminenza dello svolgimento sul territorio italiano del campionato mondiale di calcio del 1990, che si riteneva avrebbe portato in Italia un elevatissimo numero di turisti, sulla scorta della considerazione secondo cui l’abolizione dell’imposta avrebbe determinato un contenimento dei costi dei prezzi delle strutture ricettive e, quindi, una maggiore competitività.

[5] Si riportano, sul punto, i dati ISTAT relativi alle presenze di turisti in Italia, che nel 1987 hanno registrato 183.121.000 persone, nel 1988 (in costanza dell’applicazione dell’imposta di soggiorno) un numero maggiore pari a 188.371.000 turisti e nel 1989 (a seguito dell’abrogazione del predetto tributo) un decremento del flusso turistico, pari a 187.301.000 persone.

[6] Cfr. art. 14, comma 16, lett. e) del D.L. n. 78 del 2010, secondo cui «Ferme le altre misure di contenimento della spesa previste dal presente provvedimento, in considerazione della specificità di Roma quale Capitale della Repubblica, e fino alla compiuta attuazione di quanto previsto ai sensi dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, il comune di Roma concorda con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro il 31 dicembre di ciascun anno, le modalità e l’entità del proprio concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica; a tal fine, entro il 31 ottobre di ciascun anno, il sindaco trasmette la proposta di accordo al Ministro dell’economia e delle finanze, evidenziando, tra l’altro, l’equilibrio della gestione ordinaria. L’entità del concorso è determinata in coerenza con gli obiettivi fissati per gli enti territoriali. In caso di mancato accordo si applicano le disposizioni che disciplinano il patto di stabilità interno per gli enti locali. Per garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria, il Comune di Roma può adottare le seguenti apposite misure: … e) introduzione di un contributo di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive della città, da applicare secondo criteri di gradualità in proporzione alla loro classificazione fino all’importo massimo di 10 euro per notte di soggiorno».

[7] Cfr. art. 4 D.Lgs. n. 23 del 2011, secondo cui «I comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali».

[8] Ci si riferisce alla previsione di cui all’art. 4, comma 3, primo periodo D.Lgs. n. 23 del 2011: «Con regolamento da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, è dettata la disciplina generale di attuazione dell’imposta di soggiorno».

[9] Cfr. art. 4, comma 3, ultimo periodo periodo D.Lgs. n. 23 del 2011, secondo cui «Nel caso di mancata emanazione del regolamento previsto nel primo periodo del presente comma nel termine ivi indicato, i comuni possono comunque adottare gli atti previsti dal presente articolo».

[10] Il documento è visionabile e scaricabile al seguente link: https://www.federalberghi.it/download/download.aspx?file=a906beab-4c6f-4f56-abee-683e8d561b00&listId=08c40f6c-b71a-4bf5-8ebf-f2a8385c81d0

[11] Così si esprime la citata sentenza n. 653 del 2012: «…gli obblighi posti a carico dei gestori delle strutture ricettive non comportano assunzione dell’obbligo di pagamento in proprio dell’obbligazione tributaria, ma semplicemente dell’obbligo di versare quanto riscosso dal cliente a titolo di imposta di soggiorno, (art. 7 del regolamento approvato dal Consiglio Comunale di Padova). L’obbligo di versamento dell’imposta cui è tenuto il gestore della struttura ricettiva sussiste nel solo caso in cui le somme gli siano corrisposte da parte dell’ospite alloggiato. Il gestore della struttura ricettiva non assume dunque il ruolo di sostituto o di responsabile d’imposta ai sensi dell’art. 64 del D.P.R. n° 600 del 1973. Ne consegue che i gestori delle strutture ricettive non sono i soggetti passivi del tributo per la cui configurazione l’art. 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997 prevede la riserva di legge». In dottrina, si veda anche GAMBARDELLA M., Il “peculato dell’albergatore”: una depenalizzazione che non retroagisce? Cass. pen., 2021, 187 ss., secondo cui «quanto alla differenza tra sostituto d’imposta e incaricato o responsabile della riscossione del tributo, quest’ultimo svolge un’attività ausiliaria nei confronti dell’ente impositore ed oggettivamente strumentale rispetto all’esecuzione dell’obbligazione tributaria, la quale, per l’appunto, comporta l’incasso delle somme spontaneamente versate dal soggetto passivo e il conseguente obbligo di riversarle all’ente impositore di competenza. Mentre, il sostituto d’imposta risponde in proprio del versamento del tributo, anche nell’eventualità in cui il soggetto passivo (l’ospite) si rifiuti di pagare o comunque non versi l’imposta. La qualifica assunta dai gestori delle strutture ricettive esula pertanto dall’ambito della responsabilità d’imposta, sicché il gestore è un terzo rispetto all’obbligazione tributaria ed il suo coinvolgimento avviene ad altro titolo, ossia quale destinatario di obblighi formali e strumentali all’esazione del tributo comunale».

[12] Un esempio di tale modulo, relativo al Comune di Milano, è scaricabile al seguente link: http://mediagallery.comune.milano.it/cdm/objects/changeme:13632/datastreams/dataStream3921591710113014/content?pgpath=ist_it_contentlibrary/sa_sitecontent/utilizza_servizi/entrate/Imposta_soggiorno/ImpostaSoggiorno_Istruzioni_gestori

[13] Cfr. art. 7-bis, comma 1 D.Lgs. 267 del 2000, secondo cui «Salvo diversa disposizione di legge, per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e provinciali si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro».