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“Joe” Marrazzo giornalista di razza e il ricordo di Cutolo, Cirillo, De Andrè e la nascita del carcere duro il 41 bis

Il Camorrista, “Joe” Marrazzo
Ph. Arbër Arapi / Il Camorrista, “Joe” Marrazzo

“Non fu difficile organizzare una rete di amici nel Tribunale di Napoli e soprattutto al Ministero di Grazia e Giustizia, a Roma. Il denaro piace a tutti … controllavamo tutto il carcere di Poggioreale. Nessun problema con le armi. Chi usciva in semilibertà, rientrava la sera con pistole e mitragliette …  le stesse operazioni erano state compiute nelle carceri di Avellino, Santa Maria Capua Vetere, Salerno

Il Camorrista, pag. 70

 

Il 19 marzo del 1928 nasceva Giuseppe “Joe” Marrazzo, un giornalista di “razza”. Iniziò giovanissimo l’attività giornalistica al Mattino d’Italia per poi proseguire come inviato per Omnibus, Epoca, Tempo Illustrato.

Le inchieste e i servizi video per le rubriche Dossier, per il Tg2 e per l’inarrivabile “AZ, un Fatto come e perché” sono esempi di giornalismo di inchiesta che oggi possono essere rivisti su Rai Play.

Marrazzo ha illustrato il potere della Mafia, della ‘Ndrangheta e della Camorra e le loro inconfessabili influenze sulla magistratura e sulla politica.

Nel corso della sua breve vita, Marrazzo è morto nel 1985 a 57 anni, ha subito numerose intimidazioni e minacce, come l’incendio di tre auto ma ciò nonostante non ha mai avuto la scorta, che all’epoca non si usava per i giornalisti.

Joe non si è limitato ad approfondire dei temi scottanti ma è riuscito, con la sua impareggiabile empatia, a entrare nella psicologia dei personaggi intervistati riuscendone a carpirne i lati oscuri e cose non dette.

Nella sua vita professionale, Marrazzo non si è occupato solo di giornalismo di inchiesta, ha firmato anche servizi memorabili nel campo del sociale.

Per chi volesse avere una dimostrazione della sua multiforme capacità consiglio, la visione di “Sciuscià 80”, un reportage mandato in onda il 23 dicembre 1979 da Tg Dossier. Si tratta di interviste in diretta a bambini napoletani dai 5 ai 10 anni che non frequentano la scuola dell’obbligo e girano la città in motorino, vivendo di piccoli espedienti.

Uno spaccato di sociale e un modo di raccontare la realtà che ha fatto scuola.

La recente scomparsa di Raffaele Cutolo mi ha spinto a rileggere “Il Camorrista” uscito nel 1984, scritto da Marrazzo per l’editore Pironti.

È un romanzo in prima persona che si propone di ricomporre oltre che la storia anche la complessa psiche del capo della Nuova Camorra Organizzata, l’ineffabile Don Raffaele Cutolo. Marrazzo lo aveva intervistato diverse volte, era andato ad Ottaviano, aveva intervistato la cerchia cutoliana e nel libro dipinge un affresco a volte surreale del potere e della pervasività del Boss.

Marrazzo nel libro spiega il fascino luciferino cutoliano, la sua capacità organizzativa e anche imprenditoriale, il suo fiuto politico che gli permise dal carcere, prima a Poggioreale e poi ad Ascoli, di dirigere la sua organizzazione e controllare capillarmente un territorio vastissimo con tutte le forme che lo governavano: lo Stato, la magistratura, la politica, le altre famiglie camorristiche e persino i brigatisti, uno scacco eversivo pazzesco e irripetibile. La legislazione del 41 bis nasce anche come risposta alla situazione all’interno delle carceri descritta da Joe.

Il 10 ottobre 1986 legge n. 663 entra in vigore il 41 bis ed è in origine applicabile solo a casi di emergenza interne alle carceri, secondo il testo: "In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto". Nel 1992 dopo la strage di Capaci fu modificato ed ampliato.

Racconta Cutolo: “Non fu difficile organizzare una rete di amici nel Tribunale di Napoli e soprattutto al Ministero di Grazia e Giustizia, a Roma. Il denaro piace a tutti e la paura di una revolverata mette il pepe in culo anche al più intransigente … La possiblità di agire sui trasferimenti consente di rafforzare le fila, di creare in un carcere forze omogenee, fedeli, ubbidienti e in grado di difendersi e di eseguire gli ordini più spietati. Con la maggioranza di cutoliani tra i detenuti dei padiglioni Milano e Salerno, controllavamo tutto il carcere di Poggioreale. Nessun problema con le armi. Chi usciva in semilibertà, rientrava la sera con pistole e mitragliette. I controlli? Alla porta il maresciallo Capuzzo aveva l’ordine di chiudere tutti e due gli occhi. Eravamo diventati una massa armata le stesse operazioni erano state compiute nelle carceri di Avellino, Santa Maria Capua Vetere, Salerno”.

Ricordiamo la vicenda del rapimento Cirillo da parte delle Brigate Rosse e l’intervento di “Don Rafele” che portò alla liberazione dell’assessore alla Regione Campania custode di segreti inenarrabili: “27 aprile 1981, dal giornale radio una notizia interessante. A Torre del Greco è stato rapito l’assessore democristiano Ciro Cirillo. Si parla di Brigate Rosse. Alla riunione del mattino, ne discuto con Pandico. Se sapranno gestire il rapimento, scopriranno le magagne di trent’anni di soprusi, di ruberie, di imbrogli. Altro che camorra. Giovà siamo dei bambini! Cirillo era la mente esecutiva della cricca, l’anima nera”.

Ciro Cirillo da semplice impiegato della Camera di Commercio: “era diventato in pochi anni miliardario, un palazzo a Torre del Greco, una villa a Capri, la barca nel porticciolo, interessi all’estero, lunghi mesi di vacanza alle Hawaii”.

Lo Stato mise in campo tutta la sua forza per ritrovare l’assessore, i posti di blocco erano capillari ma non bastarono. Il carcere di Ascoli divenne un crocevia per politici di primo e secondo piano, uomini dei servizi tutti a blandire Cutolo: “eravamo pervasi dall’orgoglio di essere stati invitati da personaggi importanti ad arbitrare e risolvere un caso nazionale”. Così fu, Ciro Cirillo venne liberato dietro il pagamento di un riscatto alle BR e alla promessa di sconti di pena e trasferimenti in carceri più confortevoli per gli affiliati alla NCO. Don Raffaele già godeva di trattamenti di favore, basti dire che la sua cella, nel carcere di Ascoli, aveva alle pareti un Rosai e un Modigliani.

Mentre Cutolo dal carcere diramava appunti e ordini al suo clan successe che: “Sull’onda delle polemiche, sul mio ruolo nel caso Cirillo, il presidente della Repubblica Pertini interveniva personalmente per porre fine ai privilegi e alla libertà concessami in carcere. Chiedeva il mio immediato trasferimento all’Asinara. Bisognava procedere senza indugi e obbedire al capo dello Stato.

Recentemente intervistato, l’editore Tullio Pironti ricorda: "Cutolo aveva un grande rispetto per Joe Marrazzo. Il libro "Il camorrista" mi è costato un occhio della fronte ma è stata la mia fortuna da editore".

Nasce così il primo successo editoriale di Pironti, "Il camorrista", tradotto in decine di paesi nel mondo, dal quale il 29enne Giuseppe Tornatore trae liberamente il suo primo film omonimo, protagonista Ben Gazzara. 

Il libro e poi il film hanno contribuito al racconto della figura di Cutolo che poi ispirò la bellissima canzone di De André "Don Raffaé":

Io mi chiamo Pasquale Cafiero
e son brigadiere del carcere oinè
io mi chiamo Cafiero Pasquale
sto a Poggio Reale dal '53

e al centesimo catenaccio
alla sera mi sento uno straccio
per fortuna che al braccio speciale
c'è un uomo geniale che parla co' me

Tutto il giorno con quattro infamoni
briganti, papponi, cornuti e lacchè
tutte l'ore cò 'sta fetenzia
che sputa minaccia e s'à piglia cò me

ma alla fine m'assetto papale
mi sbottono e mi leggo 'o giornale
mi consiglio con don Raffae'
mi spiega che penso e bevimm'ò cafè

A che bell'ò cafè
pure in carcere 'o sanno fa
co' à ricetta ch'à Ciccirinella
compagno di cella
ci ha dato mammà

Prima pagina venti notizie
ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
si costerna, s'indigna, s'impegna
poi getta la spugna con gran dignità

mi scervello e mi asciugo la fronte
per fortuna c'è chi mi risponde
a quell'uomo sceltissimo immenso
io chiedo consenso a don Raffaè