La famiglia o le famiglie? Dalla pluralità delle famiglie alla pluralità delle mediazioni familiari
Anche il diritto, che rientra nel novero delle scienze umane, come queste è governato dai principi di storicità e relatività ed è proprio in omaggio a questi che nella Costituzione la famiglia è inserita tra le formazioni sociali di cui all’art.2 ed è definita società naturale nell’art. 29. Ciò sta a significare che nonostante le perplessità di una notevole parte della dottrina, ha finito per prevalere un’interpretazione storicistica della famiglia che considera questa "società naturale" come struttura in continua evoluzione e caratterizzata da un costante dinamismo.
La prima identità di famiglia che ha rilievo nel nostro ordinamento è quella della famiglia legittima "fondata sul matrimonio". Inconfutabilmente la mediazione familiare è deputata ad operare in questa forma di famiglia dando nuova linfa in modo particolare all’applicazione degli artt. 145 e 316 c.3 c.c. rimasti pressoché inattuati.
Un modello familiare su cui tanto si discute è la famiglia di fatto (o secondo i più critici unione familiare di fatto) a cui sicuramente non si possono ascrivere i diritti della famiglia fondata sul matrimonio, ma è comunque una società naturale e cioè una formazione sociale e le si riconoscono i diritti di cui agli artt. 2, 3, 30 e 31 c.2 Cost.. A questa famiglia manca un espresso riconoscimento legislativo ma questo non significa irrilevanza giuridica o mancanza di tutela, anzi è un fenomeno degno di rilevanza giuridica che scaturisce dalla rilevanza sociale (come è avvenuto ad es. per i contratti atipici) come emerge, non senza contraddizioni, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità e da vari riferimenti normativi (si veda per es. la tutela del convivente nella legge 154 del 2001 sulle misure contro la violenza nelle relazioni familiari).
La mediazione familiare prescinde dal riconoscimento giuridico o meno di una struttura familiare ma mira a riorganizzare legami sostanziali di affectio scaturiti da spirito di solidarietà e condivisione di sentimenti. Tali legami, pur esistenti nella famiglia di fatto, non trovano adeguata tutela giurisdizionale per cui l’intervento mediativo risulta ancor più necessario in tale realtà maggiormente bisognosa di sostegno (con particolare riferimento ai soggetti più deboli che di solito sono i minori e le donne).
Una distinzione che si suole fare è quella tra famiglia estesa e famiglia nucleare. Se in passato la configurazione tipica della famiglia era quella estesa in cui i conflitti erano mediati dai patriarchi, oggi invece è quella nucleare (coniugi e figlio/figli), per cui quando si parla di famiglia estesa le si deve attribuire una nuova accezione e cioè di famiglia nucleare che si rapporta con parenti e affini. Secondo alcuni la mediazione familiare dovrebbe occuparsi anche dei conflitti con parenti ed affini, poiché la famiglia va vista nella dimensione sincronica e nella dimensione diacronica e quindi nel succedersi della famiglia coniugale e parentale. Secondo altri dovrebbe occuparsi almeno dei contrasti con i nonni o a causa di questi ultimi. I conflitti che possono sorgere sono principalmente i seguenti:
1) conflitti sugli incontri tra nonni e nipoti in caso di famiglie separate;
2) conflittualità riflessa;
3) contrasti sulle linee educative in caso di nonni che si occupano dei nipoti anche in famiglie non separate.
Per quanto concerne il punto 1), la circostanza che in situazioni di crisi del rapporto familiare, il genitore affidatario, od anche entrambi i genitori, decidano, senza gravi e validi motivi, di impedire una regolare e continua frequentazione da parte dei nonni nei confronti dei nipoti minori, pur costituendo una espressione della loro potestà, si sostanzia in una decisione del tutto arbitraria che colpisce e lede gli interessi degli adulti, ma soprattutto quelli dei minori coinvolti. Il rapporto tra nonni e nipoti è considerato essenziale tanto dal punto di vista psicosociologico (soprattutto per quei bambini figli unici e/o senza zii, data l’esiguità numerica delle famiglie di oggi) che dal punto di vista giuridico. Alla luce di quest’ultima affermazione, per evitare l’intervento giudiziario (a cui spesso genitori e nonni, nel caso esaminato, ricorrono) che determina l’inasprimento della conflittualità è preferibile l’intervento mediativo.
Per quanto attiene alla conflittualità riflessa (punto 2), gli esperti si riferiscono soprattutto a coppie che si separano (emotivamente e affettivamente prima e legalmente poi) in seguito alla nascita del primo figlio (uno dei tanti casi è quello della sent. 8 giugno 1994 Trib. Catania in Il dir. famiglia e pers. 1995, pag. 222). Questo tipo di famiglia è stata definita "a relazione chiasmatica" (dalla lettera greca ?, chiasmo), per indicare l’incrocio conflittuale tra i partners e le rispettive famiglie di origine che entrano attivamente nel conflitto di coppia, ognuna per difendere le ragioni del proprio figlio. Il minore è situato all’incrocio e di fatto costituisce un oggetto conteso come "proprietà", da includere nell’uno o nell’altro clan. Nell’intervento di mediazione, oltre a tenere presenti le dinamiche con le famiglie di origine può rendersi necessario convocarle per bloccare ulteriori movimenti di intrusione.
Il terzo tipo di contrasto (punto 3) forse è il più semplice da appianare convenendo una sorta di programma di educazione.
Dal codice civile emergono altre materie in cui si fa riferimento alla famiglia estesa, per es. diritto ereditario, diritto di uso e di abitazione, ecc..
Ci si chiede se la mediazione familiare possa occuparsi anche di questioni attinenti a tali materie. La risposta è negativa se prevale l’ottica psicologica, è positiva se prevale quella giuridica.
Dopo una vicenda di vedovanza, abbandono o separazione, la famiglia sia legittima che di fatto può assumere diverse configurazioni.
La prima è quella della famiglia monogenitoriale (o monoparentale o unilaterale) in cui l’intervento della mediazione è finalizzato a far "metabolizzare il lutto" e ad evitare che la nuova conformazione familiare si "incisti" in altre parole che si chiuda in se stessa o peggio si disgreghi. L’attività mediativa è chiamata a stabilire un nuovo equilibrio tra il mondo degli adulti e i bambini che si ritrovano con una sola figura adulta di riferimento (mediazione intergenerazionale) e tra il nuovo nucleo familiare e la società (mediazione sociale).
Oltre la famiglia monogenitoriale già esaminata, i partners rimasti soli possono reagire dando vita a nuove "costellazioni familiari": la famiglia ricostituita e la famiglia ricomposta o binucleare o plurinucleare (entrambe rappresentano quella che nel linguaggio atecnico è indicata come famiglia allargata). Con la prima locuzione si indica il nucleo familiare convivente che comprende figli di un precedente matrimonio o unione di fatto; mentre la seconda espressione comprende l’insieme dei nuclei familiari che definiscono un legame tra loro per la condivisione dei compiti genitoriali (ancora una volta queste espressioni e distinzioni sono mutuate dalla cultura inglese). In questo tipo di famiglie si pongono il problema del rapporto tra il nuovo partner (c. d. terzo genitore) ed i minori e un problema di ridefinizione di ruoli e sistemi di parentela sia per i genitori sia per i figli: a tutto ciò è deputata la mediazione.
Un altro aggregato familiare che emerge dagli articoli 36 e 37 della Costituzione e dalle leggi civili (nell’art. 230 bis c.c. impresa familiare; nel diritto agrario, prima famiglia colonica ora famiglia coltivatrice; ecc.) é la famiglia lavorativa. Tra famiglia e lavoro vi è un’intima connessione sia perché entrambi sono affermazioni della dignità di persona sia perché il lavoro è lo strumento per l’assolvimento dei doveri familiari. In virtù di questa connessione e sulla base di tentativi compiuti in altri Paesi come la Spagna, culturalmente vicina all’Italia, la mediazione familiare può essere invocata per problematiche riguardanti la famiglia lavorativa "favorendo, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi" (art. 1 c. 2 lett. e) legge 10 aprile 1991 n.125 Azioni positive per la realizzazione della parità uomo - donna nel lavoro). In quest’ultimo senso la mediazione familiare diviene ancora una volta un sostegno alla bigenitorialità.
Un’altra situazione interpersonale ritenuta "parafamiliare" dalla Suprema Corte (Cass. sez. pen. 27 settembre 2001 n. 35121) è il legame tra affidatari e un minore " che si esplica in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale". Anzi la L. 149/2001 (recante modifiche alla L.184/1983 sull’adozione ed affidamento dei minori) è andata oltre la concezione parafamiliare accolta dalla Cassazione, infatti parla- per la prima volta in questo contesto- di "famiglia affidataria" (art.5 ult. c.), visto che si tratta di una nuova famiglia in cui il minore, seppure in via transitoria, viene accolto. In tal caso può sorgere la necessità tanto di una mediazione interna tra affidatari e il minore quanto di una mediazione esterna tra gli affidatari e la famiglia di origine, possibilità di intervento reso possibile anche alla luce della summenzionata L. 149/2001 in cui si distingue tra misure di sostegno (in cui rientra la mediazione familiare, definita, tra l’altro, sostegno alla genitorialità) e quelle di aiuto economico alla famiglia d’origine e a quella affidataria.
Infine nel nostro ordinamento non è ammessa la famiglia basata su una coppia omosessuale, pur riconosciuta in altri Paesi e a livello comunitario (Parlamento Europeo: risoluzione dell’8 febbraio 1994 e risoluzione del 16 marzo 2000) per cui non è prospettabile un intervento della mediazione familiare a tale riguardo.
Accertata la pluralità delle famiglie e quindi dei patterns (modelli) comunicativi che la mediazione è invitata a stabilire o ristabilire, sarebbe opportuno parlare di pluralità di mediazioni familiari dovuta anche alla pluralità di modelli (es. conciliativo o autonomo), di tipi (es. strutturato o terapeutico), di tecniche (es.soggettivista o oggettivista), di formazioni professionali (es. giuridica o psicologica). Al contrario secondo alcuni, quando si parla di mediazione familiare in senso tecnico ci si riferisce a quella che interviene in caso di separazione e divorzio e quando si parla di famiglia si intende quella in senso stretto (genitori e figli) tanto che sarebbe preferibile riferirsi alla mediazione famigliare. O forse per dirimere ogni querelle è preferibile parlare di "centri familiari polifunzionali" e di "operatori familiari"(locuzioni usate nel progetto di legge n.66 c.d. Tarditi "Nuove norme in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli", presentato il 30 maggio 2001 alla Camera dei Deputati durante la XIV legislatura)?
Anche il diritto, che rientra nel novero delle scienze umane, come queste è governato dai principi di storicità e relatività ed è proprio in omaggio a questi che nella Costituzione la famiglia è inserita tra le formazioni sociali di cui all’art.2 ed è definita società naturale nell’art. 29. Ciò sta a significare che nonostante le perplessità di una notevole parte della dottrina, ha finito per prevalere un’interpretazione storicistica della famiglia che considera questa "società naturale" come struttura in continua evoluzione e caratterizzata da un costante dinamismo.
La prima identità di famiglia che ha rilievo nel nostro ordinamento è quella della famiglia legittima "fondata sul matrimonio". Inconfutabilmente la mediazione familiare è deputata ad operare in questa forma di famiglia dando nuova linfa in modo particolare all’applicazione degli artt. 145 e 316 c.3 c.c. rimasti pressoché inattuati.
Un modello familiare su cui tanto si discute è la famiglia di fatto (o secondo i più critici unione familiare di fatto) a cui sicuramente non si possono ascrivere i diritti della famiglia fondata sul matrimonio, ma è comunque una società naturale e cioè una formazione sociale e le si riconoscono i diritti di cui agli artt. 2, 3, 30 e 31 c.2 Cost.. A questa famiglia manca un espresso riconoscimento legislativo ma questo non significa irrilevanza giuridica o mancanza di tutela, anzi è un fenomeno degno di rilevanza giuridica che scaturisce dalla rilevanza sociale (come è avvenuto ad es. per i contratti atipici) come emerge, non senza contraddizioni, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità e da vari riferimenti normativi (si veda per es. la tutela del convivente nella legge 154 del 2001 sulle misure contro la violenza nelle relazioni familiari).
La mediazione familiare prescinde dal riconoscimento giuridico o meno di una struttura familiare ma mira a riorganizzare legami sostanziali di affectio scaturiti da spirito di solidarietà e condivisione di sentimenti. Tali legami, pur esistenti nella famiglia di fatto, non trovano adeguata tutela giurisdizionale per cui l’intervento mediativo risulta ancor più necessario in tale realtà maggiormente bisognosa di sostegno (con particolare riferimento ai soggetti più deboli che di solito sono i minori e le donne).
Una distinzione che si suole fare è quella tra famiglia estesa e famiglia nucleare. Se in passato la configurazione tipica della famiglia era quella estesa in cui i conflitti erano mediati dai patriarchi, oggi invece è quella nucleare (coniugi e figlio/figli), per cui quando si parla di famiglia estesa le si deve attribuire una nuova accezione e cioè di famiglia nucleare che si rapporta con parenti e affini. Secondo alcuni la mediazione familiare dovrebbe occuparsi anche dei conflitti con parenti ed affini, poiché la famiglia va vista nella dimensione sincronica e nella dimensione diacronica e quindi nel succedersi della famiglia coniugale e parentale. Secondo altri dovrebbe occuparsi almeno dei contrasti con i nonni o a causa di questi ultimi. I conflitti che possono sorgere sono principalmente i seguenti:
1) conflitti sugli incontri tra nonni e nipoti in caso di famiglie separate;
2) conflittualità riflessa;
3) contrasti sulle linee educative in caso di nonni che si occupano dei nipoti anche in famiglie non separate.
Per quanto concerne il punto 1), la circostanza che in situazioni di crisi del rapporto familiare, il genitore affidatario, od anche entrambi i genitori, decidano, senza gravi e validi motivi, di impedire una regolare e continua frequentazione da parte dei nonni nei confronti dei nipoti minori, pur costituendo una espressione della loro potestà, si sostanzia in una decisione del tutto arbitraria che colpisce e lede gli interessi degli adulti, ma soprattutto quelli dei minori coinvolti. Il rapporto tra nonni e nipoti è considerato essenziale tanto dal punto di vista psicosociologico (soprattutto per quei bambini figli unici e/o senza zii, data l’esiguità numerica delle famiglie di oggi) che dal punto di vista giuridico. Alla luce di quest’ultima affermazione, per evitare l’intervento giudiziario (a cui spesso genitori e nonni, nel caso esaminato, ricorrono) che determina l’inasprimento della conflittualità è preferibile l’intervento mediativo.
Per quanto attiene alla conflittualità riflessa (punto 2), gli esperti si riferiscono soprattutto a coppie che si separano (emotivamente e affettivamente prima e legalmente poi) in seguito alla nascita del primo figlio (uno dei tanti casi è quello della sent. 8 giugno 1994 Trib. Catania in Il dir. famiglia e pers. 1995, pag. 222). Questo tipo di famiglia è stata definita "a relazione chiasmatica" (dalla lettera greca ?, chiasmo), per indicare l’incrocio conflittuale tra i partners e le rispettive famiglie di origine che entrano attivamente nel conflitto di coppia, ognuna per difendere le ragioni del proprio figlio. Il minore è situato all’incrocio e di fatto costituisce un oggetto conteso come "proprietà", da includere nell’uno o nell’altro clan. Nell’intervento di mediazione, oltre a tenere presenti le dinamiche con le famiglie di origine può rendersi necessario convocarle per bloccare ulteriori movimenti di intrusione.
Il terzo tipo di contrasto (punto 3) forse è il più semplice da appianare convenendo una sorta di programma di educazione.
Dal codice civile emergono altre materie in cui si fa riferimento alla famiglia estesa, per es. diritto ereditario, diritto di uso e di abitazione, ecc..
Ci si chiede se la mediazione familiare possa occuparsi anche di questioni attinenti a tali materie. La risposta è negativa se prevale l’ottica psicologica, è positiva se prevale quella giuridica.
Dopo una vicenda di vedovanza, abbandono o separazione, la famiglia sia legittima che di fatto può assumere diverse configurazioni.
La prima è quella della famiglia monogenitoriale (o monoparentale o unilaterale) in cui l’intervento della mediazione è finalizzato a far "metabolizzare il lutto" e ad evitare che la nuova conformazione familiare si "incisti" in altre parole che si chiuda in se stessa o peggio si disgreghi. L’attività mediativa è chiamata a stabilire un nuovo equilibrio tra il mondo degli adulti e i bambini che si ritrovano con una sola figura adulta di riferimento (mediazione intergenerazionale) e tra il nuovo nucleo familiare e la società (mediazione sociale).
Oltre la famiglia monogenitoriale già esaminata, i partners rimasti soli possono reagire dando vita a nuove "costellazioni familiari": la famiglia ricostituita e la famiglia ricomposta o binucleare o plurinucleare (entrambe rappresentano quella che nel linguaggio atecnico è indicata come famiglia allargata). Con la prima locuzione si indica il nucleo familiare convivente che comprende figli di un precedente matrimonio o unione di fatto; mentre la seconda espressione comprende l’insieme dei nuclei familiari che definiscono un legame tra loro per la condivisione dei compiti genitoriali (ancora una volta queste espressioni e distinzioni sono mutuate dalla cultura inglese). In questo tipo di famiglie si pongono il problema del rapporto tra il nuovo partner (c. d. terzo genitore) ed i minori e un problema di ridefinizione di ruoli e sistemi di parentela sia per i genitori sia per i figli: a tutto ciò è deputata la mediazione. >La mediazione familiare è un intervento nella e per la famiglia, ma una simile asserzione non è sufficiente vista la pluralità dei tipi esistenti di famiglie e la pluralità di concezioni di famiglia elaborate dalle varie scienze umane (antropologia, etnologia, etologia, sociologia, ecc.).
Anche il diritto, che rientra nel novero delle scienze umane, come queste è governato dai principi di storicità e relatività ed è proprio in omaggio a questi che nella Costituzione la famiglia è inserita tra le formazioni sociali di cui all’art.2 ed è definita società naturale nell’art. 29. Ciò sta a significare che nonostante le perplessità di una notevole parte della dottrina, ha finito per prevalere un’interpretazione storicistica della famiglia che considera questa "società naturale" come struttura in continua evoluzione e caratterizzata da un costante dinamismo.
La prima identità di famiglia che ha rilievo nel nostro ordinamento è quella della famiglia legittima "fondata sul matrimonio". Inconfutabilmente la mediazione familiare è deputata ad operare in questa forma di famiglia dando nuova linfa in modo particolare all’applicazione degli artt. 145 e 316 c.3 c.c. rimasti pressoché inattuati.
Un modello familiare su cui tanto si discute è la famiglia di fatto (o secondo i più critici unione familiare di fatto) a cui sicuramente non si possono ascrivere i diritti della famiglia fondata sul matrimonio, ma è comunque una società naturale e cioè una formazione sociale e le si riconoscono i diritti di cui agli artt. 2, 3, 30 e 31 c.2 Cost.. A questa famiglia manca un espresso riconoscimento legislativo ma questo non significa irrilevanza giuridica o mancanza di tutela, anzi è un fenomeno degno di rilevanza giuridica che scaturisce dalla rilevanza sociale (come è avvenuto ad es. per i contratti atipici) come emerge, non senza contraddizioni, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità e da vari riferimenti normativi (si veda per es. la tutela del convivente nella legge 154 del 2001 sulle misure contro la violenza nelle relazioni familiari).
La mediazione familiare prescinde dal riconoscimento giuridico o meno di una struttura familiare ma mira a riorganizzare legami sostanziali di affectio scaturiti da spirito di solidarietà e condivisione di sentimenti. Tali legami, pur esistenti nella famiglia di fatto, non trovano adeguata tutela giurisdizionale per cui l’intervento mediativo risulta ancor più necessario in tale realtà maggiormente bisognosa di sostegno (con particolare riferimento ai soggetti più deboli che di solito sono i minori e le donne).
Una distinzione che si suole fare è quella tra famiglia estesa e famiglia nucleare. Se in passato la configurazione tipica della famiglia era quella estesa in cui i conflitti erano mediati dai patriarchi, oggi invece è quella nucleare (coniugi e figlio/figli), per cui quando si parla di famiglia estesa le si deve attribuire una nuova accezione e cioè di famiglia nucleare che si rapporta con parenti e affini. Secondo alcuni la mediazione familiare dovrebbe occuparsi anche dei conflitti con parenti ed affini, poiché la famiglia va vista nella dimensione sincronica e nella dimensione diacronica e quindi nel succedersi della famiglia coniugale e parentale. Secondo altri dovrebbe occuparsi almeno dei contrasti con i nonni o a causa di questi ultimi. I conflitti che possono sorgere sono principalmente i seguenti:
1) conflitti sugli incontri tra nonni e nipoti in caso di famiglie separate;
2) conflittualità riflessa;
3) contrasti sulle linee educative in caso di nonni che si occupano dei nipoti anche in famiglie non separate.
Per quanto concerne il punto 1), la circostanza che in situazioni di crisi del rapporto familiare, il genitore affidatario, od anche entrambi i genitori, decidano, senza gravi e validi motivi, di impedire una regolare e continua frequentazione da parte dei nonni nei confronti dei nipoti minori, pur costituendo una espressione della loro potestà, si sostanzia in una decisione del tutto arbitraria che colpisce e lede gli interessi degli adulti, ma soprattutto quelli dei minori coinvolti. Il rapporto tra nonni e nipoti è considerato essenziale tanto dal punto di vista psicosociologico (soprattutto per quei bambini figli unici e/o senza zii, data l’esiguità numerica delle famiglie di oggi) che dal punto di vista giuridico. Alla luce di quest’ultima affermazione, per evitare l’intervento giudiziario (a cui spesso genitori e nonni, nel caso esaminato, ricorrono) che determina l’inasprimento della conflittualità è preferibile l’intervento mediativo.
Per quanto attiene alla conflittualità riflessa (punto 2), gli esperti si riferiscono soprattutto a coppie che si separano (emotivamente e affettivamente prima e legalmente poi) in seguito alla nascita del primo figlio (uno dei tanti casi è quello della sent. 8 giugno 1994 Trib. Catania in Il dir. famiglia e pers. 1995, pag. 222). Questo tipo di famiglia è stata definita "a relazione chiasmatica" (dalla lettera greca ?, chiasmo), per indicare l’incrocio conflittuale tra i partners e le rispettive famiglie di origine che entrano attivamente nel conflitto di coppia, ognuna per difendere le ragioni del proprio figlio. Il minore è situato all’incrocio e di fatto costituisce un oggetto conteso come "proprietà", da includere nell’uno o nell’altro clan. Nell’intervento di mediazione, oltre a tenere presenti le dinamiche con le famiglie di origine può rendersi necessario convocarle per bloccare ulteriori movimenti di intrusione.
Il terzo tipo di contrasto (punto 3) forse è il più semplice da appianare convenendo una sorta di programma di educazione.
Dal codice civile emergono altre materie in cui si fa riferimento alla famiglia estesa, per es. diritto ereditario, diritto di uso e di abitazione, ecc..
Ci si chiede se la mediazione familiare possa occuparsi anche di questioni attinenti a tali materie. La risposta è negativa se prevale l’ottica psicologica, è positiva se prevale quella giuridica.
Dopo una vicenda di vedovanza, abbandono o separazione, la famiglia sia legittima che di fatto può assumere diverse configurazioni.
La prima è quella della famiglia monogenitoriale (o monoparentale o unilaterale) in cui l’intervento della mediazione è finalizzato a far "metabolizzare il lutto" e ad evitare che la nuova conformazione familiare si "incisti" in altre parole che si chiuda in se stessa o peggio si disgreghi. L’attività mediativa è chiamata a stabilire un nuovo equilibrio tra il mondo degli adulti e i bambini che si ritrovano con una sola figura adulta di riferimento (mediazione intergenerazionale) e tra il nuovo nucleo familiare e la società (mediazione sociale).
Oltre la famiglia monogenitoriale già esaminata, i partners rimasti soli possono reagire dando vita a nuove "costellazioni familiari": la famiglia ricostituita e la famiglia ricomposta o binucleare o plurinucleare (entrambe rappresentano quella che nel linguaggio atecnico è indicata come famiglia allargata). Con la prima locuzione si indica il nucleo familiare convivente che comprende figli di un precedente matrimonio o unione di fatto; mentre la seconda espressione comprende l’insieme dei nuclei familiari che definiscono un legame tra loro per la condivisione dei compiti genitoriali (ancora una volta queste espressioni e distinzioni sono mutuate dalla cultura inglese). In questo tipo di famiglie si pongono il problema del rapporto tra il nuovo partner (c. d. terzo genitore) ed i minori e un problema di ridefinizione di ruoli e sistemi di parentela sia per i genitori sia per i figli: a tutto ciò è deputata la mediazione.
Un altro aggregato familiare che emerge dagli articoli 36 e 37 della Costituzione e dalle leggi civili (nell’art. 230 bis c.c. impresa familiare; nel diritto agrario, prima famiglia colonica ora famiglia coltivatrice; ecc.) é la famiglia lavorativa. Tra famiglia e lavoro vi è un’intima connessione sia perché entrambi sono affermazioni della dignità di persona sia perché il lavoro è lo strumento per l’assolvimento dei doveri familiari. In virtù di questa connessione e sulla base di tentativi compiuti in altri Paesi come la Spagna, culturalmente vicina all’Italia, la mediazione familiare può essere invocata per problematiche riguardanti la famiglia lavorativa "favorendo, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi" (art. 1 c. 2 lett. e) legge 10 aprile 1991 n.125 Azioni positive per la realizzazione della parità uomo - donna nel lavoro). In quest’ultimo senso la mediazione familiare diviene ancora una volta un sostegno alla bigenitorialità.
Un’altra situazione interpersonale ritenuta "parafamiliare" dalla Suprema Corte (Cass. sez. pen. 27 settembre 2001 n. 35121) è il legame tra affidatari e un minore " che si esplica in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale". Anzi la L. 149/2001 (recante modifiche alla L.184/1983 sull’adozione ed affidamento dei minori) è andata oltre la concezione parafamiliare accolta dalla Cassazione, infatti parla- per la prima volta in questo contesto- di "famiglia affidataria" (art.5 ult. c.), visto che si tratta di una nuova famiglia in cui il minore, seppure in via transitoria, viene accolto. In tal caso può sorgere la necessità tanto di una mediazione interna tra affidatari e il minore quanto di una mediazione esterna tra gli affidatari e la famiglia di origine, possibilità di intervento reso possibile anche alla luce della summenzionata L. 149/2001 in cui si distingue tra misure di sostegno (in cui rientra la mediazione familiare, definita, tra l’altro, sostegno alla genitorialità) e quelle di aiuto economico alla famiglia d’origine e a quella affidataria.
Infine nel nostro ordinamento non è ammessa la famiglia basata su una coppia omosessuale, pur riconosciuta in altri Paesi e a livello comunitario (Parlamento Europeo: risoluzione dell’8 febbraio 1994 e risoluzione del 16 marzo 2000) per cui non è prospettabile un intervento della mediazione familiare a tale riguardo.
Accertata la pluralità delle famiglie e quindi dei patterns (modelli) comunicativi che la mediazione è invitata a stabilire o ristabilire, sarebbe opportuno parlare di pluralità di mediazioni familiari dovuta anche alla pluralità di modelli (es. conciliativo o autonomo), di tipi (es. strutturato o terapeutico), di tecniche (es.soggettivista o oggettivista), di formazioni professionali (es. giuridica o psicologica). Al contrario secondo alcuni, quando si parla di mediazione familiare in senso tecnico ci si riferisce a quella che interviene in caso di separazione e divorzio e quando si parla di famiglia si intende quella in senso stretto (genitori e figli) tanto che sarebbe preferibile riferirsi alla mediazione famigliare. O forse per dirimere ogni querelle è preferibile parlare di "centri familiari polifunzionali" e di "operatori familiari"(locuzioni usate nel progetto di legge n.66 c.d. Tarditi "Nuove norme in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli", presentato il 30 maggio 2001 alla Camera dei Deputati durante la XIV legislatura)?