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La pandemia in poesia: nove marzo 2020, di Mariangela Gualtieri

La meravigliosa poesia della poetessa cesenate Mariangela Gualtieri dedicata al covid e al lockdown
Mariangela Gualtieri
Mariangela Gualtieri

SI chiama "Nove marzo 2020" la poesia della poetessa Mariangela Gualtieri che ha fatto il giro del web e che ha commosso tante persone, che si sono immedesimate nei versi scritti con tanta empatia e commozione.

Parafrasando uno stupido detto, si può dire che il covid, come il fascismo, ha fatto anche cose buone, ci ha dato lo sguardo attento e commosso di un poeta che osserva con lo sguardo di un bambino e che ha avuto il duro compito di mettere nero su bianco il noto, di parlare con cura di quello che già si sa, con uno sguardo sensibile, senza parole inutili, scavate fino all'osso, scarnificate con cura per lasciare solo l'essenza.

Un senso di colpa, di fondo, di una generazione che ha perso, di una umanità che ha rovinato il pese, che doveva fermarsi, perché i segnali c'erano ma noi, popolazione egoista, li abbiamo ignorati. mentendo sapendo di mentire.

Nei suoi versi, cadenzati da verbi ficcanti ed incisivi e da un calore empatico e profondo, che si spande piano, come un abbraccio caldo mentre tremi di freddo, Gualtieri lancia uno sguardo sgomento ma speranzoso, fatto di ritorni migliori, più attenti, con mani più delicate che staranno dentro il fare della vita.

Ora lo sappiamo, dice negli ultimi versi, quanto è triste stare lontani un metro.

Intervistata sui motivi che l'hanno portata a scrivere la poesia, la Gualtieri così risponde: "Da giorni ricevevo telefonate piene di angoscia: «Scrivi, abbiamo bisogno di tue parole per questo presente».. Ma i versi arrivano come un dono, non ci si può imporre. Poi la mattina del 9 marzo mi sono alzata, colma di quella strana inquieta urgenza che porta alla precipitazione poetica".

A questo link trovate la poesia letta dalla stessa autrice.

 

Nove marzo 2020

di Mariangela Gualtieri

 

Questo ti voglio dire

ci dovevamo fermare.

Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti

ch’era troppo furioso

il nostro fare. Stare dentro le cose.

Tutti fuori di noi.

Agitare ogni ora – farla fruttare.

 

Ci dovevamo fermare

e non ci riuscivamo.

Andava fatto insieme.

Rallentare la corsa.

Ma non ci riuscivamo.

Non c’era sforzo umano

che ci potesse bloccare.

 

E poiché questo

era desiderio tacito comune

come un inconscio volere -

forse la specie nostra ha ubbidito

slacciato le catene che tengono blindato

il nostro seme. Aperto

le fessure più segrete

e fatto entrare.

Forse per questo dopo c’è stato un salto

di specie – dal pipistrello a noi.

Qualcosa in noi ha voluto spalancare.

Forse, non so.

 

Adesso siamo a casa.

 

È portentoso quello che succede.

E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.

Forse ci sono doni.

Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.

C’è un molto forte richiamo

della specie ora e come specie adesso

deve pensarsi ognuno. Un comune destino

ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.

O tutti quanti o nessuno.

 

È potente la terra. Viva per davvero.

Io la sento pensante d’un pensiero

che noi non conosciamo.

E quello che succede? Consideriamo

se non sia lei che muove.

Se la legge che tiene ben guidato

l’universo intero, se quanto accade mi chiedo

non sia piena espressione di quella legge

che governa anche noi – proprio come

ogni stella – ogni particella di cosmo.

 

Se la materia oscura fosse questo

tenersi insieme di tutto in un ardore

di vita, con la spazzina morte che viene

a equilibrare ogni specie.

Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,

guidata. Non siamo noi

che abbiamo fatto il cielo.

 

Una voce imponente, senza parola

ci dice ora di stare a casa, come bambini

che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,

e non avranno baci, non saranno abbracciati.

Ognuno dentro una frenata

che ci riporta indietro, forse nelle lentezze

delle antiche antenate, delle madri.

 

Guardare di più il cielo,

tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta

il pane. Guardare bene una faccia. Cantare

piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta

stringere con la mano un’altra mano

sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.

Un organismo solo. Tutta la specie

la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.

 

A quella stretta

di un palmo col palmo di qualcuno

a quel semplice atto che ci è interdetto ora -

noi torneremo con una comprensione dilatata.

Saremo qui, più attenti credo. Più delicata

la nostra mano starà dentro il fare della vita.

Adesso lo sappiamo quanto è triste

stare lontani un metro.