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L’ora dei giudizi irrevocabili: damnatio memoriae

Damnatio Memoriae, busto di Nerone, 53-60 ca., da teatro romani di Bologna
Damnatio Memoriae, busto di Nerone, 53-60 ca., da teatro romani di Bologna

Se non hai voglia di leggere il pezzo ti dico in sintesi cosa penso: non va e non andrà per niente tutto bene, ma c’è speranza lo stesso.

 

Lezione 1 - Di tattica si può far morire

Che da un Presidente del Consiglio dei Ministri, avvocato e per giunta professore universitario, non ci si potesse attendere nulla di buono era lapalissiano. Però il beneficio del dubbio è sempre doveroso concederlo, del resto anche i gregari possono stupirti con la giornata della vita e vincere la grande classica, che vale una carriera. Ma questo accade nel ciclismo, non in politica.

Da settembre in poi si attendevano le elezioni regionali. Stasi completa. Legge di bilancio senza un perché, senza strategia, solo per durare, nonostante l’incombente recessione. Unica preoccupazione, stampellare il Governo pur di non consegnare il Paese agli “altri”, con il piano dichiarato di arrivare fino alla fine della legislatura e di eleggere il Presidente della Repubblica. Non mi scandalizzo certo, ma la responsabilità personale deve essere pur condivisa con le forze che questo Presidente del Consiglio hanno voluto e continuano ad appoggiare.

Questa crisi ci dimostra che il tatticismo degli appoggi esterni, del ci sono ma non datemi per scontato, del senso di responsabilità, della fiducia costruttiva, del completiamo il nostro programma il popolo ce lo chiede, deve poi fare i conti con la realtà. E la realtà ti porta sempre quello che non ti aspetti e non hai il tempo di chiedere il cambio, perché è comunque tardi.

Non solo, con la scusa dell’unità nazionale, dell’ora non è il momento di fare polemiche e di discutere – con il segreto pensiero del vediamo che succede, magari l’uomo al comando si brucia una volta per tutte e poi interveniamo noi come verginelle innocenti e/o salvatori della patria – il tatticismo politico ha prevalso anche durante questi primi due mesi di crisi.

Per settimane ho assistito allibito allo spettacolo del silenzio o degli appoggi incondizionati da destra e da sinistra, così come dai mass media, salve rarissime eccezioni (cito, perché è interessante che abbiano culture diverse, Riccardo Cascioli, Domenico Cacopardo, Nicola Porro). Persino i costituzionalisti si sono mossi a scoppio ritardato, in punta di piedi, timidamente, rilevando che il DPCM non è proprio lo strumento idoneo per limitare così pervasivamente le libertà.

E i difensori a oltranza della Costituzione dove sono finiti? quelli degli attentati alle libertà costituzionali, del rischio del ritorno al fascismo? i soloni dei senza se e senza ma? flash mob, vogliamoci bene, in balcone a cantare, andrà tutto bene (come nei più tradizionali happy end).

 

Lezione 2 - Mascherine non microfoni

A scanso di equivoci non invoco il governo dei tecnici

Tra social e televisione, la corsa all’intervista, al video, al messaggio accorato e più informato di quello di un minuto prima, è stata ed è tuttora uno spettacolo indecoroso che ha alimentato incertezza, tensione, ansia, depressione. Abbiamo sentito e visto medici sostenere che si trattava di una semplice influenza, poco più grave della solita, garantire che colpisce solo le persone a rischio e i più anziani, affermare a cinque minuti di distanza nella stessa trasmissione cose diametralmente diverse, rivendicare la paternità di una scoperta e rinfacciare con gusto che la paternità è di altri, come bimbi lieti di fare notare alla maestra che il compagno ha copiato.

Del resto, chi si attende in queste occasioni identico parere da due scienziati (medici) è uno sprovveduto, come chi pretende che due consulenti stimino allo stesso modo il valore di una impresa.

A ognuno il suo: si è detto che il medico deve curare, il politico decidere. Io lo spiego diversamente. Il tecnico è analitico: deve fare il suo (curare, nel nostro caso) e fornire chiavi per decifrare quello che sta succedendo e per elaborare scenari. Il politico (vero) è sintetico: deve fare in modo che il tecnico possa operare (al meglio delle possibilità e in sicurezza), raccogliere informazioni (al limite estorcerle) per avere una visione di insieme che deve saper tradurre in scelte precise e tempestive, tenendo conto di diritti, interessi ed esigenze, da comunicare con chiarezza, sobrietà e verità.

C’è poi dell’altro ancor più grave: la tendenza, legittima, dei tecnici a colmare le lacune della politica, con l’effetto però che trattandosi di scelte “tecniche” all’esterno possono sembrare oggettive, incontrovertibili, senza alternative. E invece non è così, perché il più delle volte le valutazioni e le conseguenti conclusioni sono viziate da una visione limitata che non tiene conto di altre discipline tecniche e, soprattutto, nel campo medico, dell’etica. Si veda il caso delle Raccomandazioni di etica clinica, diffuse dalla Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) per gestire l’ammissione ai trattamenti intensiviillustrato dal Professor Danilo Castellano su Filodiritto.

D’altro canto, ma qui il tecnico non c’entra, il politico pavido strumentalizza il tecnico come utilissimo schermo per rendere una determinata opzione come l’unica perseguibile, al fine di deresponsabilizzarsi. 

Da una parte allora il tecnico straparla e si autoregolamenta su questioni di vita e di morte, dall’altra il politico tende a nascondersi dietro il tecnico. Si genera il caos. Esattamente quello che è successo e sta succedendo.

 

Lezione 3 - Lunga vita alle fake news

Sull’Ansa campeggia spesso il riquadro con i numeri della pandemia con in evidenza i morti. Come quando ci sono le partite del campionato del mondo. Esempio perfetto dello stato in cui versa il nostro giornalismo. Sul numero dei morti non sapremo mai esattamente la verità, perché nel dubbio si sono ritenuti morti da coronavirus, in attesa di verifiche. La confusione del “con” e del “per”. I silenzi, le omesse spiegazioni, i mancati confronti con le autorità estere: applicano tutte gli stessi parametri? 

Su questo non è mai stata fatta chiarezza, non ho mai sentito giornalisti fare domande al riguardo. Scomodo? Inopportuno? O si preferisce mantenere l’incertezza? È troppo pretendere verità? Si teme che dicendo che una parte dei morti soffrivano di pregresse gravi patologie “faccia allentare la guardia” come si è già sentito dire, quasi che nelle strade si siano riversati migliaia di cittadini a fare festa? 

L’oggettività dei numeri è una frottola a cui non credono neppure i bambini in età prescolare.

Al di là di questo, come hanno gestito i media questa crisi senza precedenti? 

Come per mani pulite c’era la corsa per annunciare il nuovo arrestato e magari esporlo al pubblico ludibrio, imbeccati dalla procura di turno, oggi, imbeccati dalla protezione civile, è una corsa alla frase ad effetto, al numero ossessivamente ripetuto, alla foto simbolica, alla storia straziante, a quello che ha violato i divieti.

Niente di nuovo sotto il sole, con la differenza che siccome oggi il giornalista collettivo siamo anche noi, con i social e con Whatsapp, siamo propagatori non dico della fake news di turno, ma della notizia che genera tensione, fine a se stessa: non mi cambia la vita, non mi consente di prendere una decisione invece che un’altra, genera solo tensione. E poi l’invito del “fai girare” è la prova dell’esistenza del diavolo, il principe di questo mondo si fa gioco di noi nel perpetuare all’infinito la catena che prende alla gola i più soli.

Sarebbe interessante in futuro che si dedichino tesi a studiare il linguaggio della crisi. Le espressioni più ricorrenti. I tecnicismi. C’è materia per migliaia di tesi.

Ho provato disgusto per il giornalista che si è riferito agli anziani di una casa di cura dicendo “sono morti come mosche”, espressione peraltro ricorsa più volte come in un tam tam. Per i defunti, per i parenti, per tutti coloro che ascoltavano. 

Che brutto spettacolo i talk show, i telegiornali, non so sinceramente chi si salvi. 

Nonostante il diluvio di informazione e controinformazione, continuo ad apprezzare oggi più che mai le fake news e i messaggi che mi arrivano con la preghiera della diffusione. Solo in un regime le notizie e i messaggi sono filtrati, eterodiretti, unidirezionali. Di conseguenza, oggi le tanto criticate fake news sono segno che siamo ancora liberi e stimolano la nostra materia cerebrale. Del resto chi decide che una fake news è una fake news? Siamo certi che una fake news di oggi non possa diventare la verità di domani e viceversa? Odio il timbro “fake news”.

 

Lezione 4 - È sempre colpa di qualcun altro, ma non è un caso

La comunicazione per le forze al Governo, in particolare una, è sempre stata il fulcro della visione politica. Bene: giudichiamoli allora su questa, ipotizzando per assurdo che tutti i provvedimenti adottati siano stati i più tempestivi e corretti che ci si potesse attendere.

Nel giro di poche settimane l’uomo al comando ha detto tutto e il contrario di tutto: ha detto di stare tranquilli che non sarebbe successo nulla di particolare, che erano state prese tutte le misure necessarie, ha imposto il Paese al centro dell’attenzione mondiale facendolo percepire come l’epicentro della pandemia (percezione che ci procurerà molti più danni degli altri Paesi), ha citato Churchill, si è autoassolto, ha fatto proclami sul web, ha fatto dichiarazioni irresponsabili, avventate e palesemente irrealistiche, ha imposto sanzioni prima ancora che fornire protezione, ha preso tempo, ha invocato il silenzio, soprattutto ha incolpato e sta incolpando gli altri della situazione, prima i razzisti, poi gli italiani gli Stati che hanno bloccato le mascherine, poi, va da sé, non può mai mancare, l’Europa, infine la mafia.

Quello che più mi ha contrariato è il trattamento riservato agli italiani: come bambini che non obbediscono al maestro (la logica del “così non va”). A dire la verità in questo l’uomo al comando è stato ben supportato dai governatori, dai sindaci, dai giornalisti, dai medici, dai vips in un tripudio di bacchettate. E allora si capisce bene che se i bimbi si comportano come discoli occorre la “stretta”, altra parola chiave che definisce e definirà bene questo periodo.

Siccome non abbiamo di fronte degli sprovveduti, almeno in questo campo, dobbiamo dedurre, e io ne sono convinto, che non sia un caso: in gran parte è strategia diretta a fare passare in secondo piano le scelte scriteriate, i ritardi, in una parola, l’essere sempre due passi indietro e comunque nella direzione sbagliata.

Come il datore di lavoro che coglie la psiche del dipendente e non solo lo sovraccarica di lavoro ma con arte lo fa sentire in colpa perché non lo riesce a ultimare, così il nostro uomo ha lamentato il pericolo razzista quando si trattava solo di cercare di ridurre gli ingressi, poi ha sfruttato la campagna io resto a casa e così ha prodotto il fenomeno del vittimismo e della delazione.

Altro che tutti uniti. Si va verso la disgregazione.

Oggi con l’Europa che non batte un colpo e tergiversa – ci si poteva attendere diversamente? – prende ancora tempo e così passano settimane inframezzate dall’elemosina del giorno, con la speranza di mettere a tacere le tensioni sociali che qualsiasi politico avveduto avrebbe dovuto preventivare.

Ecco perché torna spesso il tema della leadership: chi la cerca, chi si vede in quel ruolo (lo statista a giorni alterni, quando fa comodo), chi sa che oggi è una chimera, chi dice che non è questione di leadership ma di programmi, chi dice che uno vale uno, chi la teme (come la volpe con l’uva). Purtroppo non abbiamo un capitano disponibile al momento, e non è che se altre squadre del panorama mondiale sono messe nella nostra stessa situazione ci sentiamo meglio, perché dispongono di più risorse, più gregari, più sponsor, più amici.

Il nostro uomo al comando – che non è stato costretto ad assumere quel ruolo con la pistola puntata alla tempia – avrebbe dovuto sapere che sulle sue spalle aveva la responsabilità della squadra, dei tecnici, dei tifosi. E sapeva benissimo che proprio per questo doveva saper reagire alle avversità e alle emergenze. Perché in quel momento tutti avrebbero guardato a lui. E doveva saper fare la cosa giusta subito

Semplicemente non l’ha fatta, non la sa fare e non dobbiamo attendere il giudizio della storia per poterlo dire. Ogni sua dichiarazione suona come una excusatio non petita di un uomo che giocava a fare il premier in perenne prima marcia e si trova all’improvviso in un mondo accelerato che viaggia in sesta. Paradossale che i suoi sodali che pensavano di padroneggiare l’opinione pubblica con una realtà virtuale si sono trovati a gestire la crisi che più devastantemente reale non si può. E non sanno che pesci prendere. Infatti sono muti. Ripetono a nastro filastrocche di venti secondi sul reddito di cittadinanza guardando fisso la telecamera.

Sembra un secolo fa quando con un felice calembour un politico affermò che la politica è sangue e merda. Davvero un secolo fa. Vecchie logiche anche quelle. Il compromesso, il tatticismo. Penso che questa crisi cambierà anche il modo di fare politica o forse il nostro modo di intenderla. Perché non potremo fare a meno di chiederci in merito a questo o quel politico “e se ricapita sarà in grado di gestire la crisi?” e tra le domande da porre ci sarà “lei cosa avrebbe fatto?”.

Sangue e responsabilità.

Invece quello che si vuole oggi è il silenzio di fronte a morte, desolazione e asservimento. Si pretende di tenere chiuso un Paese per settimane senza una prospettiva, un programma che non sia il solo tenete durosiete una squadra fortissimi, ma se non continuate a fare i bravi scattano le sanzioni.

Penso che siamo responsabili in prima persona di parole, azioni e omissioni. Il nostro uomo al comando non ci pensa nemmeno, invoca il tribunale della storia. Troppo comodo: gli compete quello della cronaca e degli stessi numeri che il suo braccio destro ci legge tutti i giorni.

 

Lezione 5 - Le dicotomie non esistono in politica 

Ora pensiamo alla salute, alla vita, poi all’economia, al denaro: come si faccia oggi seriamente a pensare in questa maniera io non lo potrò mai comprendere.

Soprattutto, sia detto per inciso e preliminarmente, lo trovo profondamente ipocrita se si considera che questo Stato incentiva aborto, mai interrotto in tempi di Covid-19, ed eutanasia, mentre i malati oncologici e migliaia di pazienti sono in lista di attesa per interventi, tutti loro vittime di ritardi, inefficienze e deficienze.

Del resto, siamo la società della morte, non della vita.

Il 31 gennaio è stato dichiarato lo stato di emergenza. Si deve pensare che erano giorni che si preparava il provvedimento. Io ritengo che si possa ragionevolmente pensare che da metà gennaio la questione fosse all’esame del governo o avrebbe comunque dovuto esserlo (a dire la verità almeno dalla prima settimana di gennaio). A quell’epoca immagino si siano poste le due domande fondamentali: cosa facciamo per evitare che arrivi qui? Se arriva quali misure adottiamo.

A tutto concedere – perché già prima occorreva muoversi - cosa è stato fatto tra il 1 e il 7 febbraio per gestire la crisi?

Dobbiamo pensare che il Governo italiano così come quello di gran parte dei paesi del mondo abbia ritenuto il nostro Paese immune dal contagio? Per quale speciale intervento divino (bisogna cercare e meritarsi anche quello)?

A seguire le altre domande a cui mi piacerebbe avere una risposta, anche se in gran parte tutti noi temiamo di averla già, perché nei comizi social e nelle tante occasioni nessun riscontro è arrivato.

Sono stati esaminati gli scenari possibili, anche i più catastrofici? 

Si sono considerate opzioni di sorveglianza attiva, di individuazione quanto più tempestiva dei casi, anche asintomatici?

Perché sono state scartate? 

Si è preso in considerazione subito un acquisto massivo di tamponi, di dispositivi di protezione e di macchinari per la respirazione? 

Perché non sono partiti gli ordini in tempi in cui sarebbero stati evasi?

Si sono ipotizzati l’incremento delle capacità dei laboratori?

Quando potevano introdursi gli esami seriologici?

Perché si è esclusa la quarantena in entrata da tutti coloro che anche indirettamente provenivano dalla Cina?

Perché non è stata attivata in prevenzione una unità volta alla creazione di posti letto in ospedali di emergenza (da campo, navi ospedale) affinché fossero disponibili al momento del bisogno? 

Perché non si sono pensati in anticipo provvedimenti a sostegno dell’economia?

Perché non si è pensato di attivare un sistema di comando e operativo che consentisse di saltare tutte le briglie burocratico-amministrative?

Si è pensato ad un piano speciale per caserme, carceri, case di cura, ospedali, luoghi che si possono trasformare in centri di contagio e contagiati?

Perché non si è mai ipotizzata la chiusura della metropolitana di Milano?

Perché non si sono protetti adeguatamente i più esposti, personale sanitario e forze dell’ordine?

Nel momento in cui scrivo da più parti (siamo vivi!) stanno finalmente emergendo ulteriori domande, che per quanto mi riguarda non sono mai provocatorie. Sarà segno di ritorno alla piena democrazia dopo questa parentesi illiberale (ma quanto durerà?) se troveranno riscontro non evasivo.

È il senno di poi? 

No, sappiamo tutti benissimo – se non vogliamo chiudere gli occhi e la mente – che da un leader è lecito attenderlo. Non abbiamo visto tutti film o serie tv che hanno come trama lo scoppiare di una epidemia? È pretendere troppo che il nostro uomo al comando se ne guardasse una a caso e ne prendesse spunto, se proprio non voleva interpellare i leader dei Paesi già coinvolti (magari quelli coreani e non quelli cinesi).

Mentre sul piano sanitario si accumulava ritardo e si lasciava e si lascia esposto il personale medico – i morti sul campo dovrebbero rendere evidente il fallimento delle misure adottate – si imponevano delle misure draconiane alla popolazione, quando i buoi erano già scappati, e al contempo si avviava la chiusura della macchina economico-industriale. Eutanasia socio-economica.

Del resto, cosa possiamo pretendere se il capo della protezione civile legge i numeri invece che pubblicarli sul sito internet? Vorrei che fosse sul campo a visitare gli ospedali, a prendersi cura delle necessità, a provvedere con urgenza, ad aggirare gli ostacoli della burocrazia.

Mettiamo pure che la chiusura parziale delle attività economica fosse opzione da valutare. Era stata valutata già da gennaio? Non so cosa pensare, se sia peggio pensare di no o pensare di sì e che non sia trovato di meglio in qualche settimana che fare ricorso ai codici Ateco. I codici Ateco? sono a scopo statistico, sono spesso parziali perché il più delle volte un’impresa svolge più attività, raramente rispecchiate da tutti i codici. Ditemi che è uno scherzo di un burlone al ministero

Consideriamo che il danno non è solo il mancato profitto di oggi ma ancor più la perdita del cliente che tante piccole e medie aziende subiranno.

Ma la questione è ben più radicale. Da una parte non si sono presi i provvedimenti di carattere sanitario per tutelare i primi interessati – personale sanitario – dall’altra si sono chiesti sacrifici inusitati alla popolazione, infine ancora si sono chiuse le attività non essenziali, dando poi la possibilità ai sindacati, lasciando aperta la porta delle modifiche alla lista dei buoni e dei cattivi, di esercitare le proprie pressioni per chiudere altre attività, visto che c’è troppa gente in giro, come abbiamo sentito ripetere con furore giacobino.

Bella figura anche quella dei sindacati. Si sa che nella corsa al peggio non c’è mai fine e la colpa è di chi ha avviato la corsa.

Ancora: cosa non è essenziale oggi? Il ragionamento è da puro burocrate ottocentesco. Oggi che siamo tutti connessi e viviamo in una rete, quella fisica mondiale, ma anche quella del vicinato, richiediamo l’intervento degli altri per tutto. Serve che qualcuno porti la materia prima per fare il componente che serve alla macchina che lavora i pezzi – che ha ricevuto da un’altra impresa – che servono all’impianto che serve a chi produce il ventilatore o parte del dispositivo sanitario, che dovrà essere consegnato da qualcun altro. Le filiere sono infinite, interconnesse, tentacolari

Ma dove vivono i nostri politici? 

Ecco perché tutto è essenziale e niente è superfluo, soprattutto perché quel superfluo lo produce molto probabilmente una piccola-media impresa che opera anni luce a distanza dalla logica padrone-lavoratore, è una famiglia i cui componenti hanno bisogno di lavorare, non solo per questioni economiche ma, e questo il bolscevico al governo a nei mass media non lo capirà mai, perché gli piace, perché si sente gratificato.

Lasciando a casa milioni di persone in tutta Italia a tempo indeterminato – e non si parli di smart working, per favore – si produce sfiducia, incertezza, ansia, preoccupazione, malattia, depressione, prima ancora che problemi economici. Il giornalismo e la politica sono talmente imbevuti di materialismo che questo non lo comprenderanno mai. Come l’asino di Buridano che è morto di fame per indecisione, così a forza di fare un po’ per l’emergenza sanitaria e un po’ per il sistema economico, si è finito per fare male per entrambi e per mettere in ginocchio il Paese, moralmente prima ancora che economicamente.

Questi sono i cocci da mettere insieme.

 

Lezioni 6 - Dalle rape non si ricava sangue

Dai a un burocrate un obiettivo per legge – a già dimenticavo, per DPCM – e troverà il mezzo più contorto, cervellotico e difficile per raggiungerlo, comunque parzialmente: quello che sulla carta sembra semplice diventerà un’avventura kafkiana.

Segno evidente della follia burocratica sono innanzitutto i 150 e oltre provvedimenti a tutti i livelli dell’amministrazione. Presto si parlerà di Testo unico del coronavirus, come se basti una raccolta per fare chiarezza. Ipetrofia dittatoriale. L’ultima di oggi è la possibilità per mamma e papà di fare due passi con i bimbi. Ma che siano solo due e soprattutto sotto casa mi raccomando!!

Siamo partiti dalle autocertificazioni. Delirio d’onnipotenza puro, non si può definire diversamente. Avete tutti i miei dati, sapete dove abito e dove lavoro, ma lo devo mettere per iscritto, mi imponi un’ulteriore perdita di tempo. Dove è finito il senso del claim al servizio al cittadino?” Questo senso di sporcizia addosso non mi passerà mai. Sono solito girare senza carta di identità e adesso devo pensare anche a quale giustificazione avere per uscire? Prove tecniche di dittatura. Non perché questa lo sia – ci vuole raziocinio anche per fare quella – ma perché sta spianando la strada, indicando benissimo cause, modalità e soprattutto tecniche di manipolazione della popolazione.

Il capolavoro dei capolavori della burocrazia autocertificatoria: puoi andare a pregare, ma siccome non è esattamente contemplato e soprattutto necessario, lo puoi fare solo se nell’ambito di un altro giretto, verso il lavoro, l’edicola, il tabaccaio. Per la serie, se proprio inciampi in una chiesa – ammesso che sia aperta – puoi entrare ma non puoi andarci di proposito, senza altro fine che quello di pregare. Ma questo è puro totalitarismo burocratico, stato etico-salutista ammantato del bene comune.

Emblematico il caso dell’adorazione perpetua che meritoriamente alcuni parroci e congregazioni hanno promosso con la collaborazione di tanti laici. Cosa cavolo puoi scrivere nella autocertificazione? Attività necessaria? Panico. Richieste. Prefetture. Risposta negativa, non è mica un caso contemplato. Ovvia risposta dello Stato che, in linea con la rivoluzione francese, con gli editti napoleonici, con le leggi sabaude non può concepire la pura preghiera e contemplazione.

Chi glielo spiega al Prefetto che il mondo sopravviverà finché ci sarà una suora di clausura che prega davanti al Santissimo?

Abbiamo proseguito con le domande ai Prefetti. Non potevano mancare. Con l’effetto di avere generato ulteriore burocrazia e sovraccarico. Era difficile prevederlo?

Il mondo dei politici e quello dei funzionari sono distinti. E i secondi prevalgono sempre. Io che sono cattivo penso che in realtà si prevedano percorsi difficili proprio perché così si sa già in partenza che l’esborso sarà inferiore.

In realtà il nostro sistema è talmente impregnato di burocrazia, che ontologicamente non potrà mai partorire soluzioni efficienti ed efficaci. Si sperava che l’emergenza aprisse percorsi preferenziali, deroghe, agevolasse insomma le soluzioni semplici. Non è stato così né lo sarà.

L’altra faccia della burocrazia sono i governatori e i sindaci. Per alcuni di loro ho il massimo rispetto, soprattutto perché sul campo suppliscono alle mancanze e alle ostruzioni del Governo e della Protezione civile. Non per quelli che hanno colto l’occasione per la propria pisciatina, per segnare il territorio con ordinanze locali fissando ennesimi vincoli. 

L’apoteosi l’ho avuta a Bologna: nel pomeriggio notizia dell’ANSA (“A Bologna tutti ai Giardini Margherita”). Ho pensato: vedrai che ci chiude il parco, perché la mente statalista non so perché la conosco bene. Non ci vuole neppure troppa fantasia. Detto fatto. Il giorno dopo in anticipo col Governo – gran primato – il nostro caro Sindaco ha chiuso i parchi. Non bastava impedire gli assembramenti? Quando ci accorgeremo il male fatto dal senso di oppressione, dall’assenza di aria aperta, di sole? Si deduce che poi lo Stato che vuole pensare alla nostra salute ci pensa fino ad un certo punto. Svelata l’ulteriore ipocrisia.

Infine, arrivano gli accertatori. Che umiliazione. Coloro che devono arrestare i criminali, partecipare alle missioni all’estero, occupati nella repressione di chi esce di casa a fare un giro senza una giustificazione tra quelle precisamente previste, come a scuola. Quanti soldi sono spesi in questa operazione di repressione mentre i medici non hanno presidi? Elicotteri e droni impiegati, non ho parole, ma tanta tristezza. Povera Italia.

Lo Stato di polizia genera e si alimenta del potere arbitrario.

 

Lezioni 7 - Più Stato meno impresa, finalmente la decrescita e la morte civile

Anche senza crisi andavamo a larghe falcate verso un sistema assistenziale potenziato. Assunzioni ovunque nel pubblico. Elemosina di Stato. Ecco segnato il futuro prossimo e penso anche quello meno prossimo.

Primo provvedimento, infornata di medici a tempo indeterminato. Secondo provvedimento, nazionalizziamo l’Alitalia. Terzo provvedimento, tempi lunghi di prescrizione a favore dell’Agenzia delle Entrate. Quarto provvedimento, pioggerella di contributi per gli affamati.

Ci dobbiamo meravigliare? Non è lo stesso che abbiamo visto negli ultimi anni in regime ordinario? Perché avrebbe dovuto essere diverso nel momento dell’emergenza? Se non cambi la testa e il motore come può essere diverso il risultato?

Qualcuno sta vedendo l’avverarsi delle condizioni migliori per l’auspicata decrescita felice, come nuova era felice dell’umanità. Tutti con un reddito fisso garantito dallo Stato, magari una vita in vacanza sul divano e con Netflix assicurato. Il nuovo totalitarismo: bisogni minimi assicurati a tutti dallo Stato.

 

Lezione 8 - Il corpo e la metafisica: metropolitana aperta e chiese semi chiuse

Metropolitane aperte anche nel pieno boom del contagio. Del resto sono luoghi notoriamente asettici nei quali possiamo fare viaggiare senza problemi un immunodepresso. Fondamentale invece impedire le funzioni liturgiche (si studierà spero e si metterà per iscritto che non era lecito farlo), con il compiaciuto avallo di tutte le confessioni religiose e soprattutto, se mi permettete la scorrettezza, della Chiesa cattolica. 

Lo Stato laicista ha piazzato la sua zampata: silenzio e applausi.

Due considerazioni.

È scientificamente provato che la preghiera, specie nei momenti di prova, fa bene al fisico. Aiuta le nostre difese immunitarie, ci tranquillizza, ci consente di recuperare prima e meglio dalla malattia. Quindi così operando lo Stato riduce le mie possibilità di non ammalarmi e di guarigione. Grazie 1. Ammesso che tu cara mamma Stato pensi alla salute del mio corpo, lasciami almeno pensare in autonomia a quella della mia anima. Grazie 2.

Qui il discorso si fa per me doloroso, perché devo constatare l’accidia (brutto peccato) di tanti uomini di Chiesa. Appiattimento. Pavidità. Insipienza. Quanto ci servirebbero i sacerdoti e soprattutto i vescovi con le palle che non accettano intromissioni dello Stato e, ancor più, non temono per la propria vita. Magari quelli che peccano ma che nel momento della prova sono i primi a essere presenti portando la croce a rischio della vita. Oggi il tipo premiato è il vescovo-pecora, non il vescovo-pastore. Ma questo è un altro segno dei tempi. Della fine dei tempi.

Il binomio Stato-Vescovi pavidi è gravido di frutti perversi.

Questo proprio non lo posso tollerare: l’assenza di conforto religioso nella maggior parte dei casi per i pazienti (e per i medici!) e il divieto per i parenti di dare un saluto alla salma. Non credo che non si potesse pensare a soluzioni in entrambi i casi, in sicurezza, sempre che si trovino ancora sacerdoti vecchio stile disposti ad amministrare l’unzione degli infermi. 

La verità è che lo Stato (e tanti uomini di Chiesa) considerano del tutto secondaria la dimensione verticale. Conta solo quella orizzontale. È più facile governare chi pensa solo a mangiare.

 

Lezione 9 - Guerra e dopoguerra

Chi parla di dopoguerra credo che dica una sciocchezza doppiamente grave. E non per via del Piano Marshall, degli aiuti o mancati aiuti dell’Europa Unita, delle macerie europee. Degli infiniti lutti di allora non rapportabili a quelli di oggi.

Per via dello spirito e della speranza, nonostante tutto. Nel secondo dopoguerra si poteva ambire a costruire e a intraprendere senza carte bollate. C’era speranza (e c’era più Dio di oggi, almeno nell’orizzonte): vogliamo confrontare l’indice di fecondità? In un panorama di miseria e non di povertà, senza tecnologie, senza industrie, senza strade, c’era fiducia nel futuro. Ecco la sostanziale differenza: la fiducia. E quella te la dovrebbe saper dare il clima generale e il leader. Che non ti deve rassicurare con promesse stupide, ti deve dare fiducia con concretezza.

Magari a novembre ci trovassimo con una bella crescita di nuovi nati. Scommetto che non sarà così. Felice di ricredermi. Perché vince la paura del contagio, vince la pornografia e l’asessualità e non è così paradossale. E qui, francamente, vien da pensare ai nostri antenati che durante la peste, durante carestie inenarrabili, figliavano.

 

Lezione 10 - Si potrebbe

Consapevole che non andrà tutto bene, che durerà anni, che nulla sarà più lo stesso, che la classe dei politici è quella che ci meritiamo, che si devono piangere e onorare i morti ma al contempo pensare all’oggi e al domani, tanto vale fare progetti, programmi per il dopo. È impresa difficile ma è l’unica che ci può tenere in vita. In fondo non ci sono alternativeQuando tutto sembra perduto, quando il Diavolo sta per presentare il conto a Faust, questi fa programmi: “si potrebbe”

E soprattutto, invece che affidarci all’ennesimo salvatore della patria, molto meglio pregare il Salvatore che ci dice: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.