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La pianta di limoni

La pianta di limoni
Ph. Gianni Penzo Doria / La pianta di limoni

La pianta di limoni

 

La pianta di limoni è capace di dare più gioia in una casa. Una delle soddisfazioni autentiche arriva quando osserviamo i limoni crescere, spuntare come delle piccole pannocchie e gettare il fiore. E che dire di quando, per condire o per farsi una bella spremuta d’arance o di pompelmi, si aggiunge un limone del proprio giardino o del proprio terrazzo?

La pianta di limoni può anche essere utilizzata come esempio di cartina di tornasole per le relazioni che abbiamo con amici, con parenti, con l’amore. Se capita di intraprendere un viaggio all’interno del nostro mondo interiore in mezzo a un fortunale di emozioni sofferte e problematiche, non dobbiamo mai dimenticare le cure di base da dedicare sempre alle relazioni cui teniamo.

Ci sono psicologi psicopatici che suggeriscono ai pazienti alla ricerca della propria dimensione di ritrovare il proprio io concentrandosi esclusivamente sulla ricerca di sé. Si tratta semmai di un’indicazione di un obiettivo di vita, anziché di un supporto professionale. Del resto, sarà un viaggio lungo tutta la vita in una ricerca mai doma. In fin dei conti, come possiamo “ritrovare” una dimensione che per intrinseca natura è in perenne trasformazione? Appena ritrovata, muta ancora.

Abbiamo esempi illustri di aiuto “a fianco” e non di pungolo “ai fianchi”. Virgilio e Beatrice lo furono per Dante nel viaggio letterario più famoso. Il maestro psicoterapeuta, infatti, eviterà sempre questo tipo di asserzioni apodittiche, perché nessuno può vivere accartocciato al proprio interno senza contatti con il mondo esterno, a meno che non si trovi in una situazione di coma riflessivo o emozionale. È altamente probabile, infatti, che alla fine del viaggio si sia ritrovata (soltanto) una parte di “quel” sé, avendo perduto una parte del mondo circostante cui tenevamo.

Rispondere a un invito a cena di amici «Mi serve tempo... e non posso pretendere che mi aspettiate» è un’affermazione incomprensibile, come anelare alla solitudine. La stessa situazione vale anche in amore. Cercare l’individualità nella coppia, anzi, è spiazzante. La qual cosa è ben diversa dallo stare bene “individualmente” per poi stare bene “insieme”.

Da qui sgorgano spesso incomprensioni e contrasti, anche a causa del dettato interiore (lo si studia in filologia classica, non in psicologia). Facciamo un esempio concreto. A scrive a B «Probabilmente alla fine del tuo viaggio non mi troverai». B, aggrovigliato nel proprio io e intento ad ascoltare soltanto le introiezioni rielaborate dal dettato interiore, comprenderà «Sicuramente alla fine del tuo viaggio non mi troverai».

In questo modo, è breve il passaggio dal linguaggio naturale del dialogo a quello assertivo condizionato da un cono visivo indefettibilmente concentrato sul proprio ombelico. C’è chi dialoga per difendere la propria idea incrollabile e chi dialoga per costruirla insieme all’interlocutore ponendosi in ascolto. La differenza è abissale e porta alla risposta più agghiacciante, sempre la stessa: «Mi serve tempo e non pretendo che mi aspetti». Meglio una resa incondizionata sul fluire del tempo di una frase tanto orribile.

Ecco la ragione per la quale la pianta di limoni non può aspettare le cure di base. Nello scorrere del “tempo negato” le funzioni vitali stanno venendo meno. Durante il tempo infecondo (chrònos e non kairòs), infatti, le piante non urlano e avvizziscono senza fare rumore. Le persone, invece, desiderano attenzioni e parlano, ma quelle parole sono destinate a dissolversi nel silenzio e nell’indifferenza di chi non coglie quel richiamo, continuando nella speculazione del proprio ego.

La regola aurea è sicuramente cercare o ritrovare costantemente la propria identità, ma senza abbandonare neanche per un attimo le relazioni autentiche. A ben vedere, sono quelle che ci tengono in tensione positiva, ci offrono l’abbrivio dopo un’attenzione affettuosa di buon mattino (un messaggio, una telefonata, il caffè bevuto insieme, una canzone di un momento delicato) e ci permettono di guardare dentro noi stessi, senza perdere di vista l’universo.

Anzi, le relazioni autentiche sono quelle che ci salvano la vita, ci impediscono di osservare soltanto la sfera interiore ed evitano di farci concentrare lo sguardo sul nostro ombelico. Alla fine, il flusso ottico finirebbe inevitabilmente e involutamente per trafiggerci e perdersi alle nostre spalle in solitudine. Quella ritenuta un’attenzione verso di sé assume il carattere di una scelta rischiosa e altamente pericolosa, perché porta a distrarsi dalle relazioni con gli altri e, soprattutto, da chi (si/vi) ama.

C’è di più sulla solitudine da distrazione. In caso di difficoltà, affermare «Faccio tutto da me» rappresenta una sconfitta in grado di trasformarsi in qualcosa di molto più lacerante di una debolezza. Anzi, è la dichiarazione più pungente, peraltro nella piena consapevolezza che chi pronuncia quella frase ha bisogno di un sostegno concreto. In quei casi ci si comporta come il lupo che perde il pelo nei periodi di muta e si rintana a nascondersi fino a quando non sarà di nuovo bello e agile. E nel mezzo? Quanta vita perdiamo medio tempore? Quanta autenticità spazziamo via nel solipsismo coatto mentre il mondo ci cerca? Non siamo lupi.

Nel racconto “Il delfino e la farfalla” (https://ilmiolibro.kataweb.it/storiebrevi/464970/il-delfino-e-la-farfalla/) ne avevo parlato sommariamente, ma con tutti gli elementi qui ampliati. Alla fine, entrambi rinunciano a un po’ di sé per ritrovarsi in una dimensione nuova, tendente all’infinito. Ciò a significare che la coppia non può essere rappresentata come la sommatoria di due individualità distinte, in una sorta di fusione a freddo. Anzi, essa si forgia dai contributi imprescindibili di entrambi, destinati a creare qualcosa di nuovo e di distinto pur essendone parte.

Quando le persone si raccordano sono affluenti provenienti da parti differenti e contribuiscono a convergere in un fiume, sia esso un amore (il rac=cordo parla del cuore), un’orchestra, una tavolata di amici. Ogni giorno, in un fluire della persistenza.

Le individualità, infatti, devono consentire un tragitto costante e bidirezionale della propria linfa vitale, concorrere a portarla entrambi in misura proporzionale alle disponibilità emotive, sostanziali e congiunturali di ogni giorno. Il fiume che scorre non è scevro da cambiamenti, esattamente come una relazione, un rapporto tra amici, un amore. L’importante è sentire il flusso persistente e quella spinta interiore di cambiare insieme ogni giorno, semplicemente perché è impossibile non cambiare.

Uno dei regali più belli che ho ricevuto come dedica in un libro è questo disegno ispirato al racconto del delfino e la farfalla, a richiamo di tutti gli elementi di quella “storia breve” in cui al centro si stagliano l’infinito e la rinascita. Come didascalia a quel disegno potremmo oggi riprendere un aforisma del Satyricon: «Vis tu reviviscere?» (Vuoi rinascere? o, più semplicemente, Quando decidi di tornare a vivere?).

Limoni

Per finire, torniamo alla “psycho-botanica”, passando ancora dalla filologia classica. L’indagine speculativa del filologo testuale tratta “dal generale al particulare” (con la u), perché ogni parte del mondo riguarda potenzialmente anche noi. Nel nostro caso, sarebbe come dire: «Cara pianta di limoni, non ho tempo di occuparmi di te – qui, ora e adesso – perché sono tutto indaffarato e nelle mie faccende affaccendato. Lo farò più avanti».

La pianta non intralcerà il percorso interiore e resterà silenziosa e immobile. Tuttavia, privata di cure essenziali, perderà anche l’ultima foglia che si sfanga nella belletta autunnale, senza più rifiorire in primavera. Certo, potremo sempre comprarne un’altra, ma non sarà più quella di prima, con gli stessi profumi e colori.

Ho acquistato nel tempo tre piante di limoni in vaso: una calabrese, una da supermercato e una croata. Le ultime due sono più resistenti al freddo, ma profumano di meno e, pur curandole tutte e tre, alla prima dedico le attenzioni più gioiose.

Avete anche voi una pianta di limoni da coprire per la stagione fredda con quel telo che lascia trasparire, nel tepore, la fioca luce invernale?