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La resa

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La resa
 

“Io ti conosco, da sempre ti conosco.

Quello che mi hai raccontato è il mio raccolto.

Tra i resti passioni indomate e un aspide velenoso d’orgoglio che si contrae al primo tocco.

Ma io ti conosco, mi specchio in quello che sento; lo so che hai paura e che vivi cancellando le tracce come una volpe.

Annuso quel passaggio, capisco gli intermezzi.

Sono un cacciatore di anime e niente mi sfugge.

Di quando avresti voluto piangere e le lacrime non scendevano, di quando avresti voluto gridare come un pazzo con la bava alla bocca tutta la rabbia dell’ingiustizia, di quando la felicità era a un passo da te e non l’hai potuta cogliere, perché non avevi mani.

Di quando hai sorriso pienamente, arreso alla bellezza e debole, tanto da esser forte.

Ti conosco oltre le tue e le mie aspettative.

Vedo il dolore che ti fa tremare e che combatti fino allo stremo, fino a quando non si saranno consumate le ossa, le nostre misere ossa! Che reggono un’impalcatura di sogni, che reggono case di carta, che non ce la fanno più e vorrebbero accasciarsi a terra, senza vergogna, implorando di saper pregare.

Ho danzato finché ho potuto, finché ho saputo, mentre la puntina grattava roca, perché niente muore, nemmeno le melodie che mute stanno nella memoria, in attesa di un soffio.

Ti conosco da quando il cuore culla le cose, da quando la timidezza delle tue ciglia nasconde una storia silenziosa.

Tanto lo so che niente è fermo e quel che credi di trattenere è già scivolato nel tempo di ieri, ma non devi avere paura, perché ancora si vive, si muore e si vive senza la nostra approvazione.

Io ti conosco fin nel midollo e ancora dopo, nelle parole che volano, ti sfiorano la testa, ti accarezzano, ti abbandonano, lasciando che si viva di corrispondenza e mistero fino a che la solitudine sorride beffarda e i pensieri divenuti macigni schiacciano tutto quel bene.

Ma una volta densa di nero benda quel lago che ignora, ormai cieco, i raggi che bussano dall’alto dei Cieli. E ora non posso più conoscere tutto di te, pena un dolore sordo, un fischio continuo nelle orecchie, un movimento spaccato fino al centro della terra.

Non posso più conoscere il portone chiuso di una dimora rotta, accostare l’orecchio e in silenzio auscultare un battito.

Nemmeno i rami bruciati si tendono, perché non vogliono più linfa, ma solo pace”.