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La responsabilità disciplinare dei magistrati

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Indice:

1. Il quadro normativo in sintesi

2. Considerazioni sul quadro normativo

3. La casistica della sezione disciplinare

4. I criteri interpretativi della Procura generale presso la Corte di Cassazione nell’esercizio delle sue funzioni in ambito disciplinare

5. La casistica dei decreti di archiviazione emessi dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione

6. Le statistiche

7. Conclusioni

 

1. Il quadro normativo in sintesi

Le regole che disciplinano l’esercizio della giustizia disciplinare nei confronti dei magistrati sono contenute nel decreto legislativo 109/2006.

Il testo normativo (articolo 1, “Doveri del magistrato”) inizia con un dover essere qualificato da molte aggettivazioni: nell’esercizio delle loro funzioni i magistrati devono essere imparziali, corretti, diligenti, laboriosi, riservati, equilibrati e rispettosi della dignità della persona.

Gli articoli immediatamente successivi (2/4) tipizzano gli illeciti disciplinari e li classificano secondo tre differenti tipologie: gli illeciti compiuti nell’esercizio delle funzioni, quelli compiuti fuori dall’esercizio delle funzioni e quelli conseguenti a reato.

In questo stesso ambito (articolo 3-bis) è contemplata una causa di esclusione dell’illecito allorché il fatto addebitabile al magistrato sia di scarsa rilevanza.

La sezione che segue (articoli 5/13) descrive il sistema sanzionatorio, elencando le sanzioni applicabili (in ordine di gravità crescente: ammonimento, censura, perdita dell’anzianità, incapacità temporanea di esercitare incarichi direttivi o semidirettivi, sospensione temporanea dalle funzioni, rimozione) e stabilendo corrispondenze tra l’illecito compiuto e la specifica sanzione applicabile.

L’articolo 13 introduce la possibilità, in tutti i casi in cui siano inflitte sanzioni diverse dall’ammonimento e dalla rimozione, di integrarle con il trasferimento del responsabile ad altra sede o ad altro ufficio.

Seguono ulteriormente le norme che disciplinano il procedimento disciplinare (articoli 14/19).

Vi si stabilisce che la titolarità dell’azione spetta congiuntamente al ministro della Giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione (di seguito PG), che il suo esercizio è obbligatorio e che è altrettanto obbligatoria la segnalazione ai titolari dell’azione dei fatti di rilievo disciplinare (articolo 14).

Si prevede che l’azione debba essere promossa entro un anno dalla notizia qualificata del fatto (derivante da sommarie indagini preliminari o denuncia circostanziata o segnalazione del ministro della Giustizia), che entro 30 giorni se ne dia comunicazione all’incolpato (il quale ha diritto di farsi assistere da un magistrato o da un avvocato), che entro i due anni successivi il PG formuli le sue richieste conclusive, che nel biennio successivo alla richiesta la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (di seguito CSM) si pronunci sulle richieste (articolo 15).

Si attribuisce in via esclusiva al PG il potere istruttorio che può estendersi all’acquisizione di atti coperti dal segreto investigativo, fatta eccezione per il caso in cui il procuratore della Repubblica competente eccepisca che la divulgazione degli atti crei il rischio di un grave pregiudizio alle indagini. Spetta ugualmente al PG la facoltà di archiviare il procedimento se il fatto abbia scarsa rilevanza o sia stato segnalato in una denuncia non circostanziata o sia privo di rilievo disciplinare oppure risulti, sulla base delle indagini compiute, inesistente o non commesso dall’interessato. Il ministro della Giustizia, cui spetta di avere comunicazione del provvedimento di archiviazione, è legittimato a chiedere la trasmissione degli atti entro 10 giorni e, nei 60 giorni successivi, la fissazione dell’udienza disciplinare, previa formulazione dell’incolpazione (articolo 16).

Se il PG non archivia il procedimento, compie le indagini che ritiene necessarie, presenta le richieste conclusive (dichiarazione di non doversi procedere o fissazione dell’udienza orale) e invia il fascicolo del procedimento alla sezione disciplinare, dandone comunicazione all’incolpato che ha il diritto di accedere agli atti ed estrarne copia (articolo 17).

Se è stata disposta la discussione orale, si tiene un’udienza pubblica (fatta eccezione per il caso che si debba tutelare la credibilità della funzione giudiziaria o diritti di terzi).

La sezione disciplinare dispone di ampi poteri istruttori attivabili anche d’ufficio (articolo 19).

Completata l’istruzione e presentate le richieste delle parti, la sezione disciplinare delibera immediatamente. La decisione è formalizzata in una vera e propria sentenza che può irrogare una sanzione ovvero escludere l’addebito se non è stata raggiunta una prova sufficiente. La decisione deve essere motivata nel termine di 30 giorni dalla deliberazione (articolo 19).

Sono disciplinati i rapporti tra il giudizio disciplinare e i giudizi civili e penali dipendenti dal medesimo fatto (articolo 20).

Si prevede, secondo i casi e la gravità dei fatti oggetto di incolpazione, la facoltà o l’obbligo di sospendere cautelarmente il magistrato incolpato dalle funzioni e dallo stipendio e si regolano le condizioni dalle quali dipende la cessazione della sospensione (articoli 21/23).

Le sentenze e i provvedimenti di sospensione della sezione disciplinare possono essere impugnati (dall’incolpato, dal PG e dal ministro della Giustizia) dinanzi la Corte di Cassazione che decide entro sei mesi a sezioni unite civili (articolo 24).

È possibile inoltre la richiesta di revisione (articolo 25).

Accanto alla disciplina della giustizia disciplinare fin qui sintetizzata, occorre citare l’ulteriore istituto del trasferimento dei magistrati per incompatibilità ambientale.

È previsto dall’articolo 2, comma 2, r.decreto legislativo 511/1946 che disciplina le guarentigie della magistratura.

Il trasferimento comporta la destinazione ad altra sede o funzione, è di applicazione facoltativa e può essere disposto anche senza il consenso del destinatario se questi si trovi in uno dei casi di incompatibilità previsti dagli articoli 16, 18 e 19 del R. D. 12/1941 (meglio noto come ordinamento giudiziario) oppure se, per qualsiasi causa indipendente da sua colpa, non possa nella sede occupata svolgere le sue funzioni con piena indipendenza e imparzialità.

 

2. Considerazioni sul quadro normativo

È significativo che il decreto legislativo 109/2006 si apra con il catalogo dei doveri del magistrato.

Il legislatore avverte la necessità di tracciare un idealtipo, un modello astratto senza il quale la successiva tipizzazione degli illeciti mancherebbe degli indispensabili riferimenti.

Si chiede dunque ai magistrati, o meglio gli si impone, di essere tali in un certo modo e si specificano una per una le caratteristiche che soddisfano lo standard richiesto.

Ognuna di esse riporta a qualità normalmente apprezzate in qualsiasi ambito privato e professionale ma se si provasse a definirne esattamente la portata specifica si incorrerebbe in più di una difficoltà.

Potrebbe addirittura constatarsi che alcune di esse, soprattutto se considerate in accordo a trend valutativi piuttosto diffusi nelle procedure da cui dipende la professione in carriera dei magistrati, sono in potenziale conflitto con altre.

Qualche esempio può rendere l’idea.

La laboriosità è di sicuro una qualità apprezzabile perché è immediatamente espressiva dell’abilità, decisiva per ogni magistrato, di smaltire i suoi carichi di lavoro nel più breve tempo possibile.

Solo così infatti ogni singolo componente di una sede giudiziaria non intralcia né appesantisce l’organizzazione complessiva del suo ufficio ed anzi contribuisce per la sua parte alla produzione di risultati soddisfacenti e al rispetto del precetto costituzionale della ragionevole durata delle attività giurisdizionali.

Nondimeno, la laboriosità può essere assicurata in tanti modi, non sempre apprezzabili.

Potrebbe così accadere che all’accelerazione dei ritmi di lavoro e dei loro risultati corrisponda una minore qualità dei provvedimenti derivante a sua volta da una minore attenzione ai dati conoscitivi disponibili e alle loro implicazioni logiche ovvero da un ricorso massivo e acritico ai precedenti giurisdizionali ovvero ancora da un appiattimento altrettanto acritico su argomentazioni altrui senza alcuna autonomia valutativa da parte del decidente.

Se così fosse, la laboriosità imporrebbe un pesante tributo, quello della sciatteria, che inciderebbe negativamente sul requisito della diligenza.

Anche l’imparzialità è un valore primario per ogni magistrato, quale che sia la funzione che gli è assegnata.

Vale per la magistratura requirente come per quella giudicante, senza eccezioni e distinguo.

Su questo presupposto, del resto, si regge il ferreo postulato che assegna agli atti dei magistrati del pubblico ministero una sorta di fede privilegiata, come si è premurata di ricordare di recente la Corte di cassazione[1] che ha appunto attribuito alle consulenze tecniche disposte dal PM valore superiore a quelle prodotte dalla difesa fondando il principio, tra l’altro, sul dovere di imparzialità dell’accusa pubblica.

Questa considerazione, ineccepibile su un piano astratto e ideale, lo è di meno su un piano concreto se si considera che l’efficienza dei PM, e dunque la loro specifica laboriosità con riflessi anche sulla diligenza, è valutata primariamente sui risultati ottenuti in conseguenza delle richieste cautelari e dell’esercizio dell’azione penale[2].

Il magistrato del pubblico ministero, operando come qualsiasi altro funzionario pubblico in un sistema a risorse limitate, è propenso quindi a servirsene nelle direzioni che più agevolano quei risultati il che può comportare un ridimensionamento più o meno severo della sua tensione all’imparzialità.

C’è poi da tenere nel debito conto la vaghezza generale delle qualità richieste al magistrato.

Ai primi posti di questa particolare scala si colloca la dote dell’equilibrio.

Ma chi potrebbe dire cos’è e, ammesso che qualcuno lo sappia, chi potrebbe dire qual è il miglior punto in cui collocarlo?

Un magistrato che creda con la massima convinzione in una certa sequenza causale al punto da non essere disposto ad abbandonarla è squilibrato perché non aperto al dubbio o, al contrario, è degno di ammirazione perché persegue con forza e senza tentennamenti la strada che ritiene più corretta?

È pure richiesto, come si è visto, il rispetto della dignità della persona.

Sono persone gli accusati, le vittime, i danneggiati, i testi. Come si coniuga il rispetto per ognuno di essi? Fino a che punto, ad esempio, può spingersi un magistrato allorché esamina un teste per ottenerne le conoscenze che presume costui abbia? Quanta pressione può esercitare su di lui, di quali mezzi può servirsi per ottenere il risultato sperato, quanto può forzare le resistenze dell’esaminato?

Si potrebbe continuare a lungo per ciascuna delle qualità ma non serve.

È certo comunque che la legge, allorché descrive l’idealtipo del magistrato, si serve di concetti che, considerati sia di per sé che nel reciproco incrocio, rendono legittimi plurimi significati e, conseguentemente, plurimi modelli.

Per ciò stesso pone le premesse per un largo uso di fonti di rango gerarchico inferiore, nel caso di specie coincidenti in larghissima parte con circolari del CSM le quali, se hanno il pregio di colmare le lacune descrittive del testo normativo primario, portano con sé il rischio soggettivistico proprio delle interpretazioni di fattispecie troppo vaghe.

Un’ulteriore conseguenza, che sarà approfondita più avanti, del testo normativo è l’ampiezza del margine discrezionale affidato al giudice disciplinare.

Ulteriori complicazioni e perplessità derivano dal catalogo degli illeciti.

A scorrere la lista si ha l’impressione che, per una parte rilevante della casistica delineata dal legislatore, la giustizia disciplinare per i magistrati sia configurata in modo da manifestarsi solo a fronte di comportamenti reiterati e sedimentati, tali cioè da dover essere necessariamente riferiti a caratteristiche personologiche e devianze strutturali più che a fatti specifici, già rilevanti pur nella loro unicità.

Questo accade per il comportamento scorretto nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni, di altri magistrati o collaboratori e, in genere, di chiunque abbia rapporti col magistrato nell’ambito dell’ufficio giudiziario (articolo 2, comma 1, lett. d), d. lgs. 109/2006). Comportamenti del genere, difatti, hanno rilievo disciplinare solo se abituali o gravi.

La violazione di legge è punita solo se grave e determinata da ignoranza o negligenza inescusabile (articolo 2, comma 1, lett. f).

Il travisamento dei fatti è punito solo se è determinato da negligenza inescusabile (articolo 2, comma 1, lett. g).

L’adozione di provvedimenti in casi non consentiti dalla legge è rilevante solo se sia il frutto di negligenza grave e inescusabile e solo se abbia leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali (articolo 2, comma 1, lett. m).

Il ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni rileva solo se reiterato, grave e ingiustificato e, addirittura, il legislatore introduce una presunzione legale di non gravità allorché il ritardo non ecceda il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto (articolo 2, comma 1, lett. q).

Hanno rilievo disciplinare le pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in trattazione o già trattati e non ancora definiti in modo irrevocabile, ma solo se siano finalizzate a ledere diritti altrui e solo se tale finalizzazione sia indebita (articolo 2, comma 1, lett. v).

Hanno pari rilievo i provvedimenti affetti da palese incompatibilità tra dispositivo e motivazione ma solo se siano stati adottati intenzionalmente (cosiddette sentenze suicide) (articolo 2, comma 1, lett. cc).

Si è puniti per l’adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale non consentiti dalla legge ma solo se siano frutto di negligenza grave e inescusabile (articolo 2, comma 1, lett. gg).

In tutti questi casi il legislatore priva di rilievo disciplinare l’episodicità del comportamento o lo rende punibile solo se connotato da gravità o da negligenza del grado più elevato o da intenzionalità o, finanche, solo se abbia leso diritti personali o patrimoniali (talvolta richiedendo aggiuntivamente la finalizzazione indebita della lesione).

Lo stesso legislatore si premura in un caso di introdurre una presunzione di non gravità, ancorandola a periodi temporali.

Introduce infine una clausola generale di salvezza (articolo 3-bis) che esonera da responsabilità disciplinare i magistrati in tutti i casi in cui i fatti loro potenzialmente addebitabili siano di scarsa rilevanza.

Non è azzardato allora intravedere nell’ordinamento disciplinare dei magistrati aspetti protezionistici di non trascurabile ampiezza, soprattutto se confrontati con la disciplina che regola la stragrande maggioranza degli altri dipendenti pubblici.

Ad esempio, il vigente codice disciplinare per i dirigenti pubblici[3] sanziona la loro inosservanza degli obblighi previsti in materia prevenzionistica anche se non ne sia derivato alcun danno o disservizio per l’amministrazione e gli utenti, assoggetta a sanzione le condotte non corrette nei confronti di terzi e gli alterchi nel luogo di lavoro senza alcun distinguo per abitualità o gravità e lo stesso prevede per l’inosservanza di direttive, provvedimenti e disposizioni di servizio. Ed ancora “la intenzionalità del comportamento, il grado di negligenza ed imperizia, la rilevanza della inosservanza degli obblighi e delle disposizioni violate” sono considerati solo come parametri per modulare adeguatamente le sanzioni, non certo per escludere il rilievo disciplinare.

È una differenza stridente che abitualmente si tende a giustificare sulla base del particolare statuto che è necessario assicurare ai magistrati allo scopo di tutelarne l’indipendenza ma non si comprende davvero come l’esonero da responsabilità nei casi sopra descritti sia, anche solo lontanamente, connesso a quel valore.

Il risultato di questo protezionismo di fondo è l’opacizzazione e insieme l’annacquamento dei parametri qualitativi elencati dall’articolo 1 del decreto 109.

Come si è visto, i magistrati devono sì essere corretti ma sono puniti solo se hanno fatto un’abitudine della scorrettezza.

Devono essere diligenti e laboriosi ma molto è loro perdonato quando sono negligenti o neghittosi.

Devono essere riservati ma possono esternare fino al punto di ledere diritti altrui purché, beninteso, la finalizzazione lesiva non sia indebita.

Devono rispettare la dignità della persona ma al tempo stesso gli è consentito di privare indebitamente gli individui della libertà personale purché, si capisce, lo spiacevole episodio non derivi da negligenza grave e inescusabile.

E così via.

Si crea in tal modo un conflitto di sistema tra i doveri imposti al magistrato e la casistica esplicita che dettaglia l’area del disciplinarmente rilevante.

La stessa direttrice generale si avverte quando si esamina la parte procedurale del decreto legislativo 109/2006.

È particolarmente emblematica al riguardo l’attribuzione al PG del potere di disporre solitariamente l’archiviazione.

Questo esito, si legge nell’articolo 16, è appropriato tutte le volte che il fatto abbia scarsa rilevanza o sia stato segnalato in una denuncia non circostanziata o sia privo di rilievo disciplinare.

Il PG è interprete e arbitro assoluto di ognuno di parametri, che certo non brillano per capacità descrittiva, e può ritenerli esistenti anche senza disporre alcun accertamento.

Si attribuisce in tal modo ad un organo di parte, non partecipe della giurisdizione propriamente intesa, il duplice potere di qualificare fatti e situazioni, di trarne un esito che impedisce la verifica nella sede giurisdizionale propria e, per di più, precludendo a chiunque, fatta eccezione per il ministro della Giustizia, di conoscere il contenuto del decreto di archiviazione ad eccezione del ministro della Giustizia per le sue competenze istituzionali.

Certo, il ministro della Giustizia ha il diritto di essere informato di ogni archiviazione e, volendo, può chiedere e ottenere la trasmissione degli atti e formulare egli stesso un’incolpazione ai fini della fissazione dell’udienza o anche esercitare autonomamente l’azione disciplinare. Ma si tratta di contrappesi non particolarmente significativi non solo in via di fatto (si rinvia per considerazioni statistiche al paragrafo n. 6) ma anche alla luce del monopolio detenuto dal PG riguardo agli accertamenti istruttori.

Un ulteriore aspetto di rilievo è dato dalla facoltà concessa alla sezione disciplinare (articolo 18, comma 2) di disporre che l’udienza disciplinare, ordinariamente pubblica, si svolga a porte chiuse “se ricorrono esigenze di tutela della credibilità della funzione giudiziaria, con riferimento ai fatti contestati ed all'ufficio che l'incolpato occupa, ovvero esigenze di tutela del diritto dei terzi”.

Se è condivisibile l’esigenza di riservatezza allorché la pubblicità potrebbe danneggiare i diritti di terzi estranei e incolpevoli, si fa invece fatica a comprendere la coerenza dell’altra ipotesi di deroga al regime ordinario.

Parrebbe infatti che la credibilità della funzione giudiziaria sia tutelata meglio consentendo ai cittadini (nel cui nome – non si dovrebbe dimenticarlo – è amministrata la giustizia) di comprendere direttamente e personalmente ciò che l’ha messa a rischio o compromessa e come le istituzioni deputate intendono reagire a tale ferita piuttosto che tenerli all’oscuro.

Né si comprende perché mai bisognerebbe avere riguardo al posto occupato dall’incolpato e alla natura dei fatti contestati, quasi che questi due elementi possano legittimare criteri selettivi e differenti binari valutativi.

Questa specifica regolamentazione sembra il frutto sbagliato di una concezione paternalistica altrettanto sbagliata.

 

3. La casistica della sezione disciplinare

Il sito web istituzionale del CSM pubblica a cadenza annuale il massimario delle decisioni disciplinari emesse nel periodo di riferimento[4].

Ogni rassegna è organizzata in modo da rispettare l’ordine del decreto legislativo 109/2006 ed espone quindi la casistica secondo la tripartizione normativa tra illeciti funzionali, extra-funzionali e conseguenti a reato, dedicando poi appositi paragrafi alla clausola di esonero della scarsa rilevanza, alle sanzioni, alla sospensione e alla revisione.

Tutti i casi menzionati di seguito sono tratti dalla rassegna per l’anno 2019, l’ultima disponibile. Si è voluto in tal modo attingere agli indirizzi più attuali.

Si impongono alcune precisazioni metodologiche preliminari.

La prima è che si sono prese in considerazione soltanto le decisioni che hanno liberato dagli addebiti gli incolpati. Non certo per attribuire alla giustizia disciplinare per i magistrati un’artificiosa idea di lassismo ma perché, in dipendenza dello sfondo protezionistico che si è creduto di intravedere, interessa comprendere se il giudice disciplinare l’abbia assecondato o contrastato.

La seconda è che si è riservata attenzione prioritaria alle decisioni che, nell’opinione di chi scrive, sembrano particolarmente conflittuali con le caratteristiche astratte richieste al magistrato dall’articolo 1 del decreto legislativo 109/2006.

Seguono adesso le pronunce, tutte riportate testualmente:

…in punto di correttezza

Non è illecito il comportamento del PM che, servendosi di generiche affermazioni di un collaboratore di giustizia e dell’imputato, insinui dubbi sulla serenità di giudizio dei giudici del riesame (sentenza n. 8/2019).

Deve essere pronunciata ordinanza di non luogo a procedere nei confronti del giudice civile che abbia, con fare scherzoso ed in guisa di semplice battuta estemporanea, tentando di stemperare il clima dell’udienza (tenuto conto dei rapporti critici tra le parti) pronunciato la frase “questo marchio lei lo deve abbandonare io sono e sarò la sua bestia nera è inutile che facciate reclamo perché perderete” (ordinanza n. 10/2019).

…in punto di diligenza

Non integra l’illecito disciplinare della emissione di provvedimenti privi di motivazione la condotta del Giudice per le Indagini Preliminari che emetta un decreto di sequestro giustificando la sussistenza del fumus delicti con richiamo per relationem alla motivazione di un’ordinanza cautelare personale già annullata dal Tribunale del Riesame per motivazione apparente (sentenza n. 33/2019).

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni per grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile la condotta del giudice del Tribunale del Riesame, relatore del procedimento, che abbia ritardato il deposito della motivazione dell’ordinanza che aveva rigettato l’istanza di riesame, così provocando la perdita di efficacia della misura cautelare, e abbia omesso di adottare alcuna iniziativa affinché venisse disposta l’immediata scarcerazione degli indagati, che interveniva con un ritardo di sei giorni, allorquando sia risultata la sussistenza di impedimenti gravissimi che abbiano precluso al magistrato di assolvere il dovere di garantire il diritto costituzionale alla libertà personale, quali una grave debilitazione fisica del magistrato e una situazione familiare critica, fonte di preoccupazione e di impegno per l’interessato. In tal caso la condotta del magistrato, contrassegnata da evidente colpa, non può ritenersi determinata da una negligenza di natura grave e, come tale, inescusabile, cosicché la sussistenza dell’illecito è esclusa per mancanza del requisito della inescusabilità della negligenza (ordinanza n. 42/2019).

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni la condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica che abbia omesso di iscrivere nel registro delle notizie di reato il nominativo di una persona sentita a sommarie informazioni, nei cui confronti erano emersi elementi indizianti, laddove tale scelta sia fondata su un’interpretazione giuridica non condivisibile ma non del tutto implausibile o macroscopicamente errata, considerando anche che l’attività interpretativa sottesa all’applicazione dell’articolo 335 c.p.p. è estremamente delicata e i margini di opinabilità in materia possono essere in concreto estremamente elevati. Il sindacato sulle attività di interpretazione delle norme e di valutazione del fatto incide direttamente sul principio costituzionale di indipendenza del magistrato e dunque i casi e i limiti di tale sindacato vanno definiti e applicati con estremo rigore (ordinanza n. 47/2019).

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni la condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica che svolga un’attività istruttoria approfondita, ma non invasiva, nell’ambito di un procedimento iscritto a mod. 45 e proceda all’iscrizione a mod. 21 della notizia di reato ex articolo 323 c.p. e del nominativo della persona a cui questo è attribuito solo a seguito dell’acquisizione dell’ultimo elemento di indagine, allorquando solo all’esito dell’attività istruttoria compiuta emergano elementi sufficienti per l’individuazione del reato di abuso d’ufficio, fattispecie delittuosa complessa e di difficile ricostruzione (ordinanza n. 56/2019).

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni la condotta del Sostituto Procuratore della Repubblica che abbia omesso di iscrivere nel registro delle notizie di reato il nominativo di una persona compiutamente identificata nella informativa di polizia e indicata in querela quale autore del reato laddove, pur trattandosi di una condotta “giuridicamente discutibile” e implausibile, l’incolpato, professionalmente inesperto, si sia trovato a gestire una enorme mole di lavoro. Dinanzi a tali evenienze l’illecito deve ritenersi di scarsa rilevanza (ordinanza n. 82/2019).

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni per grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile la condotta del Giudice della udienza preliminare che abbia omesso di effettuare il necessario controllo sulla scadenza del termine massimo di durata della misura cautelare custodiale determinando il ritardo della stessa per 26 giorni allorquando: il magistrato sia risultato gravato da un enorme carico di lavoro; sono state provate consistenti disfunzioni organizzative dell’ufficio; non sia derivato strepitus, essendo la circostanza emersa solo a seguito di ispezione ministeriale avvenuta a distanza di tre anni dal fatto; l’episodio si collochi quale episodio del tutto isolato (ordinanza n. 83/2019).

Non integra l’illecito disciplinare di cui all’articolo 1, comma 2, lett. g) decreto legislativo n. 109/2006 il comportamento del Sostituto procuratore che, nel redigere una richiesta di rinvio a giudizio, abbia incluso imputazioni riferite a una fattispecie non ancora entrata in vigore al momento della commissione del fatto laddove, valutata la complessità dell’atto redatto, si possa riconoscere il carattere della mera disattenzione e, dunque, l’assenza della gravità e inescusabilità della condotta. Ciò anche alla luce della accertata inoffensività in concreto del comportamento essendosi il giudizio chiuso con una sentenza di non luogo a provvedere (ordinanza n. 88/2019).

Non integra l’illecito disciplinare del reiterato grave ed ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, la condotta del magistrato il quale, nella qualità di Consigliere della Corte di Cassazione, abbia depositato alcuni provvedimenti con ritardi gravi e reiterati e non abbia rispettato il piano di rientro, allorquando i ritardi riscontrati non siano addebitabili a sue carenze organizzative ma alla condizione soggettiva di inesigibilità della condotta, dovuta alla necessità di elaborare un grave lutto. Valutando anche l’intera carriera del magistrato il fatto risulta di scarsa rilevanza (ordinanza n. 136/2019).

…in punto di riservatezza

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni della divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui, il comportamento di un Sostituto procuratore il quale partecipi a un film-documentario che ricostruisce in forma scenica l’ipotesi accusatoria posta al vaglio dell’autorità giudicante di un caso di omicidio. Tale condotta non viola il dovere di riserbo del magistrato trattandosi di fatti pubblicamente noti e ampiamente discussi, anche al di fuori della sede processuale (sentenza n. 138/2019).

…in punto di illeciti extra-funzionali

Non configura l’illecito disciplinare fuori dell’esercizio delle funzioni dell’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri la condotta della spendita implicita della qualità di magistrato in relazione alla quale non risulta certa la prova della finalità al conseguimento del vantaggio ingiusto del coinvolgimento lavorativo del figlio del magistrato presso un ristorante ad opera del professionista cui era stato proposto, tempo prima, l’incarico di amministratore giudiziario (ordinanza n. 23/2019).

…in punto di scarsa rilevanza

Non integra l’illecito disciplinare conseguente a reato per qualunque fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l’azione penale non può essere iniziata o proseguita, la condotta del Giudice che sia stato condannato per guida in stato di ebbrezza laddove le circostanze del caso concreto inducano a ritenere che il fatto sia di scarsa lesività e che non vi sia stata in concreto alcuna compromissione dell’immagine del magistrato trovando applicazione l’esimente di cui all’all’articolo 3 bis decreto legislativo n. 109 del 2006 (ordinanza n. 87/2019).

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni, per reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti, il comportamento del magistrato che omette di trattare alcuni procedimenti a lui assegnati se tale comportamento non ha determinato disfunzioni per l’attività giudiziaria e, quindi, non vi sia stata compromissione dell’immagine del magistrato potendosi in tal caso considerare il fatto di scarsa rilevanza (sentenza n. 92/2019).

Non integra l’illecito disciplinare fuori dall’esercizio d funzioni dell’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per latri la condotta del giudice delegato ai fallimenti che chiede ad alcuni professionisti di intervenire presso i responsabili di istituti bancari, al fine di concedere a propri conoscenti la dilazione, ovvero il prolungamento, dei prestiti loro concessi, per scarsa rilevanza del fatto se in concreto non è derivata alcuna compromissione della sua immagine e alcun pregiudizio della sua imparzialità (ordinanza n. 112/2019).

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni per grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile la condotta del GUP che all’atto di definizione del procedimento abbia omesso di disporre la scarcerazione di un imputato per decorrenza del termine allorquando: l’episodio si colloca quale evento del tutto isolato nell’arco di una carriera connotata da grande laboriosità ed impegno; non è derivato dal fatto alcun clamore mediatico; il fatto è emerso occasionalmente a seguito di ispezione ordinaria; l’imputato non ha sollevato alcun reclamo in ordine all’avvenuta scadenza del termine trattandosi di un fatto di scarsa rilevanza (sentenza n. 124/2019).

Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato, la condotta del giudice che richiede al Sostituto procuratore, titolare delle indagini, notizie in merito a un procedimento penale nel quale risulta coinvolta sua moglie (sentenza 125/2019).

A conclusione di questa rapida carrellata, si apprende che i magistrati non sono sottoposti ad alcuna sanzione se: insinuano dubbi sulla correttezza dei loro colleghi; si rivolgono a una parte per dirle che non ha alcuna speranza di un esito positivo del giudizio; motivano per relationem facendo riferimento a provvedimenti annullati; provocano indebitamente la scarcerazione di indagati perché non depositano nel termine prescritto il provvedimento di conferma dell’ordinanza cautelare; omettono di iscrivere nel registro degli indagati individui a cui carico sono emersi elementi indizianti; iscrivono procedimenti al modello 45 (atti non costituenti reato) e nel frattempo svolgono indagini approfondite su specifiche persone; dispongono in ritardo la scarcerazione dovuta di indagati; esercitano l’azione penale per reati non ancora introdotti nell’ordinamento; depositano con grave ritardo molteplici provvedimenti; partecipano a un docu-film che ricostruisce l’ipotesi accusatoria da loro stessi formulata mentre è in corso il giudizio su tale ipotesi; ottengono l’assunzione del figlio presso un esercizio commerciale di un professionista al quale hanno proposto l’assunzione di un incarico di amministrazione giudiziaria; guidano mentre sono ubriachi; omettono di trattare procedimenti loro assegnati; chiedono a professionisti di condizionare l’attività di istituti di credito per ottenere dilazioni di prestiti; chiedono a un collega notizie su un procedimento riguardante la moglie.

Si apprende inoltre che sono state valorizzate per l’esonero da responsabilità le seguenti ragioni: fare scherzoso e battute estemporanee; debilitazione fisica; situazione familiare critica, fonte di preoccupazione e impegno; accertamenti istruttori approfonditi ma non invasivi; fattispecie delittuose complesse e di difficile ricostruzione; inesperienza professionale; assenza di clamore mediatico; emersione del fatto solo a seguito di ispezione ministeriale; mera disattenzione; necessità di elaborazione di un lutto; scarsa lesività del fatto; assenza di disfunzioni per l’attività giudiziaria; assenza di reclami da parte del soggetto danneggiato.

Si farebbe un torto ai lettori se si commentassero ulteriormente questa casistica e le motivazioni di cui è frutto: esse, come si suol dire, si commentano da sole.

Non serve nemmeno ribadire che nessuna delle decisioni elencate ha minimamente a che fare con l’autonomia e l’indipendenza della magistratura: anche questo aspetto è di palmare evidenza.

Si può solo aggiungere che l’Associazione nazionale magistrati (ANM) ha adottato un codice etico[5]. È un testo che vincola solo gli iscritti e non ha alcuna efficacia nell’ambito disciplinare propriamente inteso ma ha comunque un valore orientativo il quale, posto che circa il 90% dei magistrati italiani è iscritto all’ANM, dovrebbe essere largamente recepito.

I lettori che avessero interesse a leggerlo potranno rendersi conto che praticamente tutti i comportamenti sopra descritti sono esplicitamente vietati dal Codice etico, ad ulteriore conferma della distanza della giustizia disciplinare e della sua interpretazione non solo dal comune sentire ma anche da quello specifico dell’organismo rappresentativo della comunità dei magistrati.

 

4. I criteri interpretativi della Procura generale presso la Corte di Cassazione nell’esercizio delle sue funzioni in ambito disciplinare

Si è già messa in evidenza l’importanza del ruolo del PG e dell’ufficio di cui è a capo nel concreto dipanarsi della giustizia disciplinare.

È utile quindi comprendere a quali principi tale ufficio si attenga in questo specifico ambito.

Si utilizzeranno anche in questo caso le fonti conoscitive più recenti nell’intento di cogliere gli orientamenti vigenti.

La prima di esse è l’estratto dedicato al settore disciplinare della relazione del PG in occasione della cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario tenutasi all’inizio del 2020[6].

Vari sono gli aspetti degni di nota del documento.

Si parla (pagg. 100 e ss.) di “erronea concezione della giustizia disciplinare”. Il PG lamenta infatti il diluvio di esposti pervenuti al suo ufficio e ricorda che “Nel sistema dell’illecito tipizzato, la distinzione, che occorre mantenere ben ferma, tra professionalità del magistrato, deontologia giudiziaria, responsabilità disciplinare e responsabilità civile preclude dunque all’Ufficio della Procura generale valutazioni e considerazioni eccedenti le uniche consentite ed imposte dal richiamato sillogismo nell’applicazione del diritto punitivo disciplinare”.

Il PG condivide senza riserve la riservatezza del procedimento disciplinare (pag. 103) sulla base di queste considerazioni: “L’esponente nel procedimento disciplinare, poi, non è “persona offesa”, avente diritto alla comunicazione di cui all’articolo 408 c.p.p. e titolare dei poteri a questa accordati nel processo penale e del diritto ad avere conoscenza degli atti del procedimento predisciplinare e del suo esito, anche in caso di esercizio dell’azione. Alla questione della riservatezza del procedimento disciplinare, ha dato risposta il TAR Lazio (Sezione I, sentenza 7 maggio 2019, n. 5714), con pronuncia gravata da impugnazione che, ad oggi, non risulta ancora decisa dal Consiglio di Stato e, tuttavia, meritevole di condivisione. Al riguardo, è quindi sufficiente ricordare che la riservatezza degli atti (e degli esiti del procedimento predisciplinare) è conseguenza della finalità della responsabilità disciplinare, preordinata esclusivamente a tutelare l’interesse dell’amministrazione della giustizia, non dell’esponente, cui, conseguentemente, non sono attribuiti poteri di impulso procedimentale e/o di partecipazione al procedimento, neppure nella fase pubblica. Siffatta riservatezza non reca vulnus all’esponente. Indipendentemente dalla pur pregnante considerazione che l’acquisizione degli atti del giudizio disciplinare in quello civile è limitata a quelli soli del “giudizio”, rileva infatti che la parte che si ritenga lesa da un provvedimento e/o da una condotta del magistrato può esercitare l’azione di responsabilità civile, senza che sussista nessun vincolo decisionale derivante dall’esito dell’esposto in sede disciplinare. Neanche, inoltre, è leso l’interesse alla trasparenza. A prescindere dalla radicale inapplicabilità dell’istituto dell’accesso civico c.d. generalizzato ad un’attività (quale quella predisciplinare e disciplinare) che non ha natura amministrativa, in senso oggettivo e funzionale, gli obblighi di pubblicità di dati e informazioni riguardano quelli soli «la cui conoscenza sia ragionevolmente ed effettivamente connessa all’esercizio di un controllo» (Corte costituzionale, sentenza 21 febbraio 2019, n. 20)”.

Uguale condivisione riserva il PG all’inconoscibilità del decreto di archiviazione: l’archiviazione, come nel rito penale, implica il non esercizio dell'azione ma, diversamente da quella penale, non richiede l’intervento del giudice, in considerazione degli interessi in gioco, che hanno suggerito l’unico correttivo di un’eventuale differente determinazione del Ministro della Giustizia, cui va comunicato il decreto di archiviazione, che certo non dà luogo ad un controllo in senso tecnico. Nondimeno, si tratta di modalità che garantisce la conoscenza dell’azione dell’Ufficio della Procura generale da parte di una diversa Istituzione. Risulta dunque in tal modo realizzato un ragionevole bilanciamento di tutti i valori in gioco, anche tenendo conto dell’incidenza, sia pure indiretta, della competenza disciplinare sulla funzione giurisdizionale, di rilevanza costituzionale”.

Il PG dedica anche uno specifico passaggio alle segnalazioni di fatti di possibile rilievo disciplinare conseguenti all’esperimento dell’azione di responsabilità civile: “La considerazione che non sono poche le segnalazioni conseguenti all’esperimento dell’azione di responsabilità civile, rende opportuno ricordare che, nell’anno da poco trascorso, la Procura generale ha ulteriormente confermato l’orientamento secondo cui l’articolo 9 della legge n. 117 del 1988, laddove dispone che i titolari dell’azione disciplinare “devono” esercitarla nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all’azione di responsabilità civile, non è vincolante, alla luce dei principi di indipendenza degli ambiti processuali e tassatività del procedimento disciplinare, nonché in conformità all’articolo 20 decreto legislativo n. 109 del 2006, in virtù del quale l’azione disciplinare è proposta indipendentemente dall’azione civile di risarcimento del danno, con la conseguenza che il concorso delle due responsabilità può verificarsi solo se l’attività del magistrato sia riconducibile ad una delle fattispecie tipizzate dagli articoli 2, 3 e 4 decreto legislativo n. 109 del 2006 o abbia violato i doveri fondamentali di cui all’articolo 1, e abbia inoltre prodotto un danno ingiusto ad una parte processuale”.

La seconda è ultima fonte è costituita dalle recentissime direttive impartite dal PG al suo ufficio per la gestione degli adempimenti connessi al procedimento disciplinare per i fatti riferibili al cosiddetto “caso Palamara”[7].

Alle pagg. 9 e ss. del documento il PG indica ai magistrati del suo ufficio come orientarsi nella valutazione della miriade di conversazioni intercettate riguardanti pratiche di competenza del CSM e opera un preciso distinguo: sono rilevanti disciplinarmente i comportamenti dei magistrati che stipulano accordi spartitori allo scopo di avvantaggiare le correnti di appartenenza o si servano di notizie riservate o addirittura progettino dossieraggi contro colleghi; non sono invece rilevanti le condotte di autopromozione anche se particolarmente petulanti.

Queste sono le convinzioni del PG e questi gli standard cui intende attenersi nei casi specifici presi in considerazione.

È corretta l’affermazione del PG sulla diffusione di un’erronea concezione della giustizia disciplinare.

Lo è certamente sul piano formale poiché senza la tipizzazione degli illeciti, indispensabile a pena di esporre i magistrati a una giustizia arbitraria, il valore dell’indipendenza e dell’autonomia potrebbe essere esposto a rischi di non poco conto.

Sarebbe piaciuto tuttavia leggere qualche considerazione aggiuntiva sull’efficienza reale del sistema da cui dipende complessivamente la responsabilità dei magistrati per le varie forme di devianza loro potenzialmente imputabili.

La deontologia giudiziaria, incorporata nel Codice etico, è sostanzialmente improduttiva di responsabilizzazione. I suoi precetti sono privi di efficacia, fatta eccezione per il sistema sanzionatorio proprio dell’ANM, e si assiste in più di un caso alla loro violazione senza che ad essa seguano reazioni di alcun genere.

Le procedure per la valutazione della professionalità dei magistrati e la loro progressione in carriera non sembrano avere spiccata capacità selettiva e neanche la capacità di arrivare a un’adeguata conoscenza del percorso autenticamente seguito dal magistrato. Tanto è vero che il tema dell’adeguamento di quelle procedure è uno dei mantra del dibattito interno all’ambiente giudiziario e se ne discute da decenni senza grandi progressi[8].

La responsabilità civile non ha funzionato e al suo mancato funzionamento ha contribuito in larga misura l’ostilità preconcetta della stessa magistratura associata[9].

Non dovrebbe quindi meravigliarsi così tanto il PG se presso il suo ufficio vengono depositati così tanti esposti: alcuni verosimilmente infondati, altri malevoli e strumentali, ma almeno qualcuno proverrà da persone che hanno provato a sollecitare la giustizia disciplinare in assenza di risposte nelle sedi che sarebbero state più appropriate.

La riservatezza del procedimento disciplinare e l’inconoscibilità del decreto di archiviazione sono indiscutibilmente connesse ad esigenze protezionistiche che spettano ad ogni cittadino e dunque anche ai magistrati.

Non mancano tuttavia autorevoli voci secondo le quali l’interesse generale dovrebbe essere declinato nella direzione esattamente opposta[10].

Quanto infine all’insorgenza di procedimenti disciplinari in conseguenza dell’esercizio dell’azione disciplinare, ci si limita ad osservare che il PG ribadisce la linea del suo ufficio nel non ritenere vincolante una norma che dispone invece l’obbligatorietà dell’azione disciplinare in casi del genere[11].

Da un lato quindi il massimo esponente nazionale dell’accusa pubblica invita a tener conto della disciplina multilivello coniata dal legislatore ma dall’altro ne preclude egli stesso le connessioni interne, affermando di non sentirsi vincolato da una norma nata per avere un contenuto vincolante.

Dallo stesso PG si apprende poi che un magistrato può autopromuoversi e può farlo in modo addirittura petulante.

Non spiega tuttavia il PG per quale ragione ha operato il suddetto distinguo senza tener conto di notizie che pure hanno avuto una larghissima eco mediatica: che cioè il personaggio eponimo dello scandalo fosse un leader riconosciuto della corrente di maggioranza della magistratura associata, che fosse dichiaratamente avvezzo a stipulare accordi spartitori a vantaggio della propria parte e a discapito delle altre, che fosse solito sostenere solo candidati vincenti[12] e che, per ciò stesso, è dato presumere che coloro che si rivolgevano a lui stessero cercando protezione e privilegi extra-ordinem.

Il PG ci dice quindi che l’autopromozione petulante con un personaggio del genere è irrilevante e che i magistrati che l’hanno praticata non dovranno temere la giustizia disciplinare, rimanendo così sullo stesso piano dei tanti magistrati che hanno puntato solo sulle loro capacità.

Piacerebbe infine sapere che indirizzi applicherà il PG nei confronti dei componenti del suo ufficio le cui conversazioni con Luca Palamara, per ciò che si è appreso dalla stampa e sempre che si tratti di notizie fondate, sono finite nel compendio intercettivo dell’indagine perugina sull’ex presidente dell’ANM e consigliere del CSM.

Ci si riferisce, tanto per fare qualche esempio, al sostituto procuratore generale dimessosi in fretta e furia dal ruolo di capo di gabinetto del ministro della Giustizia[13], alla sua collega che avrebbe chiesto appoggio per la nomina ad un incarico semidirettivo e al suo collega che avrebbe chiesto una mano[14].

Ci si riferisce ugualmente alle esternazioni telefoniche da cui emergerebbero grandi manovre attorno alle procedure per la nomina degli avvocati generali[15].

Le direttive generali per la gestione istruttoria disciplinare dei riverberi del caso Palamara non sono certamente il contesto più opportuno per l’esplicitazione dei criteri da adottare per questo specifico versante della vicenda ma è innegabile che sarebbe nell’interesse generale conoscerli così da comprendere come il PG intenda impedire ogni possibilità di conflitto tra le competenze del suo ufficio e la presenza tra i suoi ranghi di magistrati la cui posizione potrebbe essere oggetto di vaglio.

 

5. La casistica dei decreti di archiviazione emessi dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione

Anche la Procura generale presso la Corte di cassazione mette a disposizione nel suo sito web istituzionale le massime tratte dai decreti di archiviazione.

Se ne riporta un campione scelto tra i provvedimenti più recenti. Anche in questo caso le massime sono riportate testualmente.

L’esposto con il quale si prospetta l’illecito disciplinare consistente nella violazione di legge costituisce una notizia circostanziata, qualora contenga la precisa indicazione degli asseriti errori commessi, con la puntuale indicazione altresì delle norme che si assumono violate, evidenziando inoltre le ragioni della palese difformità dell’esegesi contestata dagli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina; tale onere è più stringente, quando l’esposto - soprattutto se sottoscritto dalla parte senza l’assistenza di un difensore tecnico - riguardi un provvedimento impugnabile (o già impugnato) e lo stesso consista e si risolva in una sollecitazione al controllo delle proprie tesi al di fuori della sede giudiziaria ordinaria ed in violazione del contraddittorio con la controparte (RG 432/2020).

La redazione di una sentenza penale con motivazione approssimativa, a tratti carente, e tuttavia idonea a consentire la comprensione della ratio decidendi non integra gli estremi dell’illecito di cui all’articolo 2, comma 1, lettera l), d. lgs. n. 109 del 2006 (RG 1460/2019).

La notizia della proposizione di azione risarcitoria nei confronti dello Stato ex lege n. 117 del 1988 non integra, di per sé sola, gli elementi per l’esercizio dell’azione disciplinare, tenuto peraltro conto che neppure l’eventuale accertamento della responsabilità civile comporta l’obbligo di meccanicistico esercizio di detta azione per i fatti che dovessero avere dato luogo a responsabilità civile. Pertanto, detta comunicazione comporta esclusivamente il potere-dovere di verificare se dalla stessa siano evincibili gli elementi costitutivi dell’illecito dell’articolo 2, lettera g), decreto legislativo n. 109 del 2006, ovvero di altro illecito disciplinare (nella specie, l’atto di citazione prospettava anche un diniego di giustizia, per ritardo nell’adozione di un provvedimento, escluso, per difetto del requisito della reiterazione di cui all’articolo 2, lettera q) (RG 1139/2019).

Non commette illecito disciplinare, ai sensi dell’articolo 3, lettera b), decreto legislativo n. 109 del 2006, il magistrato che abbia avuto frequentazioni con una persona sottoposta ad intercettazioni telefoniche per traffico di stupefacenti, ma che non abbia trattato alcun procedimento a suo carico, se questi risulti incensurato, non destinatario di misure di prevenzione né dichiarato delinquente professionale, abituale o per tendenza (RG 245/2017).

Non costituisce illecito disciplinare, ai sensi dell`articolo 2, comma 1, lettera d), decreto legislativo n. 109 del 2006, la condotta del magistrato che, fuori udienza, conversando con il difensore di una delle parti su prassi ed accordi in materia di affidamento congiunto della prole, lo inviti “a non dire sciocchezze”, trattandosi di esortazione che, seppure inopportunamente veicolata, non costituisce grave scorrettezza e neppure anticipazione di giudizio, ovvero censura di un’attività difensionale, in quanto formulata in un ambito meramente colloquiale ed estraneo all’udienza (RG 1394/2018).

Il carattere circostanziato della denuncia richiesto dall’articolo 15, comma 1, decreto legislativo n. 109 del 2006, in riferimento alla denuncia di violazione di legge commessa in un giudizio civile, esige la specificità della deduzione degli asseriti errori. Detta specificità sussiste quando l’esponente precisi il punto e il modo in cui il provvedimento denunciato si ponga in contrasto con disposizioni che deve puntualmente indicare, evidenziando la palese difformità dell’esegesi contestata dagli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina. Tali oneri di forma e di contenuto, desumibili dagli articoli 342 c.p.c., con riguardo al ricorso in appello, e 360, primo comma, n. 3, c.p.c., con rifermento al ricorso per cassazione, divengono ancora più stringenti allorché la doglianza disciplinare sia presentata dalla parte personalmente, concerna un provvedimento oggetto di impugnazione e consista, in buona sostanza, in una sollecitazione al controllo e rivisitazione delle proprie tesi al di fuori delle sedi naturali e in violazione del contraddittorio con la controparte, così in palese dicotomia dal paradigma di cui all’articolo 15, comma 1, decreto legislativo 109 del 2006 (RG 620/2018).

L’inesattezza tecnico-giuridica dei provvedimenti assume rilievo disciplinare quando evidenzi scarsa ponderazione, approssimazione, frettolosità o limitata diligenza e, quindi, ai fini della sussistenza del relativo illecito, è insufficiente il riscontro di un errore, occorrendo accertare che lo stesso sia stato determinato da ignoranza o negligenza inescusabile (RG 1267/2017).

Nel comportamento del magistrato (con funzioni di P.M.) che telefona ad una collega P.M. in servizio presso una diversa Procura, chiedendole di parlare e che, poi, si reca nell’ufficio della stessa esponendole i fatti oggetto di una denuncia sporta dalla compagna relativa a vicenda in cui era coinvolto il padre della stessa (dichiarato fallito dal Tribunale di riferimento di detta Procura), non si ravvisano gli elementi di illeciti disciplinari, tenuto conto dell’esposizione del convincimento «in termini del tutto “asettici”», tali da renderla indistinguibile da una richiesta di analogo contenuto che, di regola, può essere sottoposta un qualsiasi interessato al magistrato (1086/2016).

Qualora un magistrato, nel corso di una telefonata (intercettata) con un indagato (non dall’Ufficio requirente della sede in cui egli prestava servizio, peraltro quale magistrato giudicante) pronunci invettive scomposte nei confronti degli inquirenti e della polizia giudiziaria (genericamente indicati), tale condotta è deontologicamente censurabile, ma non integra l’illecito dell’articolo 2, comma 1, lettera d), decreto legislativo n. 109 del 2006. La manifestazione del pensiero di un magistrato, anche quando abbia ad oggetto opinioni relative al comportamento dei soggetti operante in un dato ufficio e non si espliciti attraverso riferimenti individualizzanti (così da integrare il reato dell’articolo 595 c.p., se ne sussistano gli ulteriori elementi costitutivi), non integra detto illecito disciplinare (RG 191/2017).

Questa ridotta selezione, comunque alimentata da decisioni conformi a indirizzi consolidati, permette di apprezzare il significato che la Procura generale attribuisce ai parametri che impongono l’archiviazione.

La segnalazione di un possibile illecito disciplinare derivante da un’asserita di violazione di legge è circostanziata solo se contiene la puntuale indicazione delle norme violate e le ragioni della palese difformità dell’esegesi dagli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali.  Si pretende dunque, introducendo di fatto un requisito non previsto dalla legge, che l’esponente abbia competenze da giureconsulto o si affidi all’assistenza di un legale e sopporti il costo della sua prestazione professionale.

Né la notizia dell’esercizio di un’azione risarcitoria ai sensi della Legge sulla responsabilità civile dei magistrati né l’accertamento di tale responsabilità comportano l’obbligo dell’azione disciplinare, sebbene la legge, come si è visto, disponga nel senso esattamente contrario.

Non è illecito disciplinare frequentare una persona indagata per traffico di stupefacenti.

È consentito al magistrato invitare un difensore a “non dire sciocchezze”, non trattandosi di una grave scorrettezza.

Un provvedimento giudiziario inesatto sotto il profilo tecnico-giuridico è irrilevante disciplinarmente se non si può provare che è stato determinato da ignoranza o negligenza inescusabile, vale a dire due condizioni sostanzialmente impossibili da provare.

Un magistrato del pubblico ministero può lecitamente chiamare un suo collega di altro ufficio, fargli visita ed esporgli l’oggetto di una denuncia fatta dalla sua compagna, purché lo faccia in termini asettici.

Un magistrato può conversare telefonicamente con un indagato e inveire contro colleghi e polizia giudiziaria perché questa condotta è una manifestazione della libertà di espressione di libertà e di pensiero.

Non pare azzardato affermare che queste decisioni si fondano su un’interpretazione decisamente estesa del concetto di scarsa rilevanza e decisamente rigorosa sui parametri della segnalazione circostanziata.

 

6. Le statistiche

In questo paragrafo si esporranno le statistiche, tratte dal documento citato nella nota n. 6, sull’esito dei procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati.

Le stesse sono disponibili per gli anni compresi tra il 2012 e il 2019, un arco di tempo più che sufficiente a cogliere i trend più significativi.

Se ne ricava che la percentuale di archiviazioni non è mai stata inferiore all’89,7% e che la percentuale dell’avvio delle azioni disciplinari non è mai stata superiore al 9,9%.

Le azioni promosse dal PG sono quasi sempre più numerose di quelle promosse dal ministro della Giustizia ma negli ultimi anni la differenza si sta assottigliando.

Le decisioni emesse dalla sezione disciplinare (questa statistica è disponibile solo per il periodo 2015/2019) sono di condanna per una percentuale che varia da una punta minima del 25,1% a una massima del 34,4%.

Ne risulta che nel medesimo quinquennio sono state emesse 215 sentenze di condanne su 773 procedimenti arrivati a giudizio.

Nello stesso periodo sono pervenute 7.616 notizie di illecito. Ne deriva che le condanne ammontano al 28% dei procedimenti trattati dalla sezione disciplinare e al 3% del totale delle notizie di illecito.

C’è da compiacersi. Numeri simili raccontano una magistratura essenzialmente sana ed è questa anche l’opinione di chi scrive.

Ma può essere che le norme, le interpretazioni e le prassi esposte nei paragrafi precedenti abbiano influenzato quei numeri sottraendo all’area di ciò che è disciplinarmente rilevante casi che forse sarebbe stato più corretto farvi entrare.

 

7. Le conclusioni

Qualunque forma di giustizia, compresa quella disciplinare, deve tenersi lontana dai due estremi, ugualmente pericolosi, dell’eccessivo rigore e dell’eccessiva indulgenza: il primo dimentica le fragilità umane, la seconda ne banalizza le conseguenze negative.

Questo scritto non intende assecondare né posizioni di critica indifferenziata e castale alla magistratura né osanna alle rappresentazioni di una sorta di ceto sacerdotale detentore esclusivo dell’etica pubblico.

I magistrati sono donne e uomini che, in nome dell’intero corpo sociale e di ognuno degli individui che ne fanno parte, dicono cos’è la giustizia e distribuiscono torti e ragioni.

Questa loro umanità è alla radice di errori ma anche di condotte decisamente riprovevoli e lesive di singoli diritti e della funzione giurisdizionale nella sua interezza.

Si vorrebbe che le norme, le prassi e gli indirizzi propri della giustizia disciplinare siano concepiti in modo da distinguere l’essere umano che sbaglia per affanno o inesperienza da quello che si fa largo calpestando gli altri, che si avvale del suo status per ottenere privilegi che non gli spettano, che nella sua funzione si schiera non a favore della giustizia ma di interessi particolari, che crea o partecipa a cordate di potere.

L’analisi qui proposta mette in mostra luci e ombre e chiaroscuri e questo succede mentre, definita sul piano disciplinare la parabola di Luca Palamara e della stagione consociativa di cui è stato uno dei massimi interpreti, si attende ancora la risposta che il PG e la sezione disciplinare del CSM vorranno e sapranno dare alle plurime vicende che in quella stagione si sono manifestate.

La speranza è che si sappia costruire un modello di responsabilità che non incrudelisca e non banalizzi.

 

[1] Il riferimento va inteso a Cass. pen., Sez. III, 16458/2020, nella quale si legge che le conclusioni dei consulenti del PM “devono ritenersi assistite da una sostanziale priorità rispetto a quelle tratte dal consulente tecnico della difesa”. Il collegio decidente ha così motivato il principio di diritto: “se è vero che il consulente viene nominato ed opera sulla base di una scelta sostanzialmente insindacabile del pubblico ministero, in assenza di contraddittorio e soprattutto in assenza di terzietà, è tuttavia altrettanto vero che il pubblico ministero ha per proprio obiettivo quello della ricerca della veritàconcretamente raggiungibile attraverso una indagine completa in fatto e corredata da indicazioni tecnico scientifiche espressive di competenza e imparzialità – dovendosi necessariamente ritenere che il consulente dallo stesso nominato operi in sintonia con tali indicazioni”.

La decisione sembra tuttavia avere dimenticato le cristalline argomentazioni spese dalla Corte costituzionale nell’ordinanza 96/1997 con la quale dichiarò manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 358 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva alcuna sanzione processuale per la violazione da parte del PM dell’obbligo di svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore della persona indagata. Si legge infatti in quella pronuncia che “in realtà nella logica dell’attuale processo penale l’obbligo del pubblico ministero di svolgere indagini anche a favore della persona sottoposta alle indagini non mira né a realizzare il principio di eguaglianza tra accusa e difesa, né a dare attuazione al diritto di difesa ma si innesta sulla natura di parte pubblica dell’organo di accusa […] e sui compiti che il pubblico ministero è chiamato ad assolvere nell’ambito delle determinazioni che, a norma degli articoli 358 e 326 cod. proc. pen., deve assumere in ordine all’esercizio dell’azione penale; […] l’obbligo di svolgere accertamenti anche a favore della persona sottoposta alle indagini è funzionale ad un corretto e razionale esercizio dell’azione penale, ma non rientra tra i meccanismi volti a realizzare il principio della partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in ogni grado e stato del procedimento”; […] “il principio di parità tra accusa e difesa trova piuttosto esplicazione nei diversi meccanismi previsti nelle varie fasi del procedimento per dare piena attuazione al diritto di difesa, tra cui le investigazioni difensive disciplinate dall'art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, espressamente finalizzate all'esercizio del diritto alla prova”. 

La stessa decisione pare avere ugualmente dimenticato il sedimentato indirizzo interpretativo (si veda, tra le tante, Cass. pen., Sez. II, 10061/2013) che, ogni qualvolta il ricorrente lamenti l’assenza di accertamenti a suo favore, replica così: “Il richiamo all'art. 358 c.p.p. è inappropriato, posto che la disposizione, meramente precettiva dell'attività propria dell'organo dell'accusa, non è sorretta da alcun apparato sanzionano processuale per il caso di sua eventuale violazione”.

[2] Il riferimento va inteso al vigente testo della circolare del CSM n. 20691 dell’8 ottobre 2007, più volte aggiornata negli anni, consultabile nel sito web istituzionale del CSM a questo link. Nel Capo V (Indicatore dei parametri di valutazione), punto 2, lettera a), si legge che gli indicatori di capacità sono tra l’altro costituiti: “dall’esito, nelle successive fasi e nei gradi del procedimento, dei provvedimenti giudiziari emessi o richiesti, relativi alla definizione di fasi procedimentali o processuali o all’adozione di misure cautelari, accertato attraverso la comunicazione dei dirigenti degli uffici e da valutarsi, ove presenti caratteri di significativa anomalia, anche alla luce del rapporto esistente tra provvedimenti emessi o richiesti e provvedimenti non confermati o rigettati, rapporto da valutarsi altresì avuto riguardo alla tipologia ed alla natura degli affari trattati ed alla evoluzione giurisprudenziale”.

[3] Lo si può consultare a questo link.

[4] Lo si può consultare a questo link.

[5] Il vigente codice etico dei magistrati iscritti all’ANM può essere consultato collegandosi a questo link.

[6] Il documento è rintracciabile a questo link.

[7] Le direttive in questione possono essere consultate a questo link. La loro integrazione è consultabile a questo link.

[8] Si rinvia, tra i tanti contributi disponibili, a G. Zaccaro (magistrato e attuale componente del CSM), Valutazioni di professionalità dei magistrati: lacune del sistema e soluzioni, pubblicato il 29 maggio 2017 sul sito web dell’ANM, consultabile a questo link: https://www.associazionemagistrati.it/doc/2639/valutazioni-di-professionalit-dei-magistrati-lacune-del-sistema-e-soluzioni.htm. Vi si legge tra l’altro che “è molto frequente leggere rapporti informativi di stile, inutilmente elogiativi, privi di indicazioni reali sul lavoro del magistrato, redatti più per compiacere (o non dispiacere) il magistrato in valutazione. Ci si stupisce nel leggere di colleghi, la cui scarsa professionalità è nota, descritti come novelli Calamandrei ma potrebbe, addirittura, corrersi il rischio opposto di rapporti informativi “punitivi” per magistrati invisi al dirigente o che si siano permessi di proporre osservazioni alle decisioni in materia tabellare. Questo è uno dei punti sui quali l’ANM dovrebbe insistere per consentire la maturazione della magistratura italiana. Il rapporto informativo, e il successivo parere, sono fondamentali per descrivere la carriera di ogni magistrato e devono essere redatti prendendo posizione sui singoli parametri e indicatori elencati nella circolare, senza inutile aggettivazione e soprattutto riferendo fatti e dati concreti”. Considerazioni di analogo tenore si devono al magistrato I. Mannucci Pacini, Basta aggettivi! in Questione Giustizia, 20 marzo 2019. Secondo l’Autore “la prassi non è mutata, le eccellenze hanno continuato a proliferare. Sia chiaro, noi riteniamo che la gran parte dei colleghi sottoposti a valutazione svolgano in modo del tutto adeguato le funzioni giurisdizionali, che abbiano solida preparazione giuridica e siano in grado di organizzare il proprio ruolo e il proprio ufficio, ma è la ricerca dell’aggettivo, che pone alcuni al di sopra degli altri, a sembrarci non conforme alle necessità della valutazione quadriennale di professionalità. Non siamo tutti uguali, alcuni sono del tutto adeguati, altri presentano qualche criticità con riguardo ai parametri di valutazione, ma è il gioco al rialzo che non ci piace. Il problema, poi, non è solo dell’eccellenza. È il sistema degli aggettivi a mostrare tutti i suoi limiti. In Consiglio si discute spesso su adeguato, buono, ottimo, eccellente, come se il parere dovesse creare una graduatoria da giocarsi nella carriera futura. Non è così! Le valutazioni periodiche servono a segnalare criticità, non a fare una graduatoria di aggettivi”.

[9] Per un approfondimento sul punto, sia consentito il rinvio a V. Giglio e G. Giglio Sarlo, L’Araba Fenice riappare in Sicilia: la responsabilità civile dello Stato - giustizia e una sua recente applicazione ad opera del Tribunale di Messina, in questa rivista e agli stessi autori, La sentenza n. 164/2017 della Corte Costituzionale sulla responsabilità civile dei magistrati, in questa rivista.

[10] Si rinvia al riguardo a C. Russo, Giustizia è sfatta, Appunti per un accorato necrologio, Iudicium, 8 gennaio 2020, consultabile a questo link.

[11] Per una critica argomentata a questa posizione si rinvia a V. Giglio e G. Giglio Sarlo, L’Araba Fenice, op. cit., par. 3.

[12] Si legga A. Massari, “Io il candidato che perde non l’ho mai votato, l’ho sempre scaricato”: così Palamara decideva i giudici su cui puntare al CSM, edizione digitale del Fatto Quotidiano, 29 settembre 2020, consultabile a questo link.

[13] Si legga L. Milella, edizione digitale di Repubblica, 15 maggio 2020, a questo link.

[14] StampaLibera.it, 31 maggio 2020, a questo link.

[15] A. Mascali, Palamara & C: non solo procure, le manovre per gli avvocati Generali in Cassazione, Fatto Quotidiano, 9 luglio 2020, ripreso integralmente da Comitato Antimafia, 11 luglio 2020, a questo link.