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La storia procede

Questa era gente seria: aveva elaborato il suo apparato di metafore in segni inconfondibili
elezioni in Portogallo 1976
elezioni in Portogallo 1976

[Un commento alle elezioni portoghesi del 1976 (che vide il partito comunista subire una storica sconfitta di fronte al socialista Soares che divenne Primo ministro), diventa oggi vitale e reale, una sorta di paradossale anticipazione, di quel che è successo in Italia. Una sorta di preveggenza … ]

 

Un pomeriggio silenzioso passato a sfogliare vecchi libri a figure. L’Iconologia di Cesare Ripa, perugino, non mi stanca mai. Quasi mi decido a proporne un’edizione moderna. Le sue trecento e cinque incisioni raffigurano i sentimenti, le situazioni morali, ragioni e nazioni personificate, come le aveva definite la grande rettorica dell’ultimo Rinascimento. “Opera utile ad oratori, predicatori, poeti, pittori, scultori, disegnatori”, dice il frontespizio: a chiunque dovesse effigiare, o dipingere, figure morali.

Questa era gente seria: aveva elaborato il suo apparato di metafore in segni inconfondibili.

Se volevi figurarti l’Abbondanza, che è la prima figura del libro, dovevi prendere “una donna gratiosa, d’una bella ghirlanda di vaghi fiori cinta la fronte, & il vestimento color verde ricamato d’oro, nella destra tiene il corno della dovizia piena di molti e diversi frutti, col sinistro braccio stringe un fascio di spighe di grano… Bella & gratiosa si debbe dipingere l’Abbondanza, quanto brutta & abominevole è la Carestia”.

E così via, tra Accidia e Adulatione, Affanno e Agricoltura, Allegrezza e Ambitione, fino a Verginità e Virilità, Vita breve e Vita Longa, Volontà e Zelo, che chiudono la sfilata.

Cerco se mi riuscisse di piegare il Ripa a certe situazioni attuali.

Dove andrei a cercare l’Antilope col suo ciabattino? Dopo Corretione, c’è, sì, la Corruttela, con descrizione soltanto verbale, senza figura. Ma non è la corruttela dei politici, che manca: è quella “dei giudici”, da dipingersi come una donna “seduta per traverso in Tribunale”, con una catena d’oro in mano e una volpe ai piedi”: di traverso, per indicare lo “storcimento” della volontà del giudice; la collana significa l’oro che corrompe, mentre la volpe sta per l’astuzia.

Se dovessi figurarmi la nostra condizione d’oggi coi metodi del Ripa, cercherei, per esempio, una “Libertà in pericolo”. Ma qua c’è soltanto la Libertà, donna vestita di bianco, i cui ammennicoli e situazioni non fanno al caso nostro.

Chiudo il libro, era assurdo trovarci le metafore delle nostre ansie di oggi. Supplisce un’iconografia personale e segreta, con le figure che ciascuno si disegna nella mente. Questa nostra libertà, io me la sono sempre immaginata, e non da oggi, come una donna legata ad un palo, diritta entro un pozzo dove l’acqua cresceva. Arrivava prima ai fianchi, poi al petto, e poi, in una lunga agonia, alla gola, al mento. Escluso che la donna potesse sciogliersi e salvarsi, ed ancora era escluso che l’acqua potesse scendere. Ferma la donna, nella sua condizione passiva, costretta a subire ogni ingiuria, e sempre più alta l’acqua che saliva. Ad ogni elezione una linea più su. L’ultima, quella del 15 giugno, lambiva le labbra.

Quel che è accaduto in Portogallo ha infranto la figura funesta di questa metafora. Prima che all’ordine propriamente politico, gli avvenimenti portoghesi appartengono al mondo della mitologia contemporanea.

La vera forza del comunismo, quale appare alla rassegnata e confusa mentalità dell’uomo occidentale, sta nell’abilità con cui è riuscito a farsi credere ineluttabile. Che il mondo vada in un a direzione sola è un luogo comune infiltrato nelle teste più scaltre, che ha messo dimora nei cervelli più refrattari ad ogni specie di dogmi. “Il mondo va a sinistra”, gridato con trionfo o sospirato con rassegnazione, è uno dei cardini della rettorica contemporanea. Come se il moto fosse fissato da leggi immutabili che guidano e pianeti e le costellazioni della politica.

Ciò che il comunista conquista, non si discute più. Continua la lotta per quello che resta. Il comuniamo ama raffigurarsi, nell’odierna Iconologia, come figlio della Necessità e del Fato, e fratello della Storia. Se dovessi dipingerlo, lo presenterei con la Storia al guinzaglio, tanto è diffusa la persuasione della sua inevitabilità, e quasi la persuasione, in chi lo contrasta ancor, di combattere una battaglia perduta.

E invece, no. Il piccolo Portogallo insegna che se qualcuno toglie il tappo della vasca, o chiude il rubinetto, l’acqua smette di salire, e la donna legata non muore più.

Se qualcuno slega le Storia dal guinzaglio, il partito del progresso perde colpi, arretra, si riduce isolato, a mendicare la sopravvivenza da compagni di strada che ieri insolentiva e minacciava.

Certo, non basta aspettare i miracoli. Per farlo andare indietro, ci vogliono forse sveglie e volontà vive, non spiriti rassegati all’accomodamento o alla fuga. Ma il Portogallo insegna che si può.

Come scriveva il compianto Gaetano Arcangeli in un delizioso epigramma: “La Storia, sì, procede; /ma pure qualche sosta/a tratti, si concede…/ Così in certe stazioni, / dove tra ressa e grida / di arrivi e di partenze, / tuono di altoparlanti/ che annuncian coincidenze, / c’è chi poi non s’avvede / che, con manovra lesta, senza che nulla s’oda, / i vagoni di testa, / ecco, passano in coda”.

 

Da “Il Giornale”, 30 aprile 1976