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La tenerezza che non c’è

Sguardi
Ph. Fabio Toto / Sguardi

Spietati.

E anche chi non lo è, spietato lo diventa.

È sicuramente più efficiente, organizzata e ordinata la spietatezza.

Bisogna arrivare sani e salvi all’obiettivo.

Ma qual è l’obiettivo?

Nel IX e X capitolo de “I Promessi Sposi” troviamo la storia della monaca di Monza, Gertrude. La narrazione dettagliata dei moti dell’animo e delle scelte coatte di quella povera giovine ci fa soffrire davvero se teniamo conto del fatto che la storia è vera. A Gertrudina viene imposto il chiostro prima ancora della sua nascita e il principe padre, signore di Monza, farà di tutto affinchè il destino della figlia risponda al suo organigramma. Un nitido, ricco, ordinato e spietato progetto.

Tra quelle pagine dolorose tuttavia, all’ennesimo “sì” estrapolato con forza alla ragazza, inaspettatamente accade che quel padre abbia un tremulo barlume di umanità. Quel principe che Manzoni stesso, scrivendo di lui, non ha cuore, a un certo punto, di chiamare padre.

Il principe era stato fino allora in una sospensione molto penosa: a quella notizia, respirò, e dimenticando la sua gravità consueta, andò quasi di corsa da Gertrude, la ricolmò di lodi, di carezze e di promesse, con un giubilo cordiale, con una tenerezza in gran parte sincera: così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano”.

Anche nell’estrema efficienza e fermezza decisionale, in ultimo, si può meravigliosamente sbandare alla ricerca di un sospiro di tenerezza. Si apre un piccolo varco in cui scivolare agilmente e riscoprire la propria umanità, ma c’è un prezzo da pagare: la messa al bando dell’orgoglio e l’accettazione della propria e dell’altrui fragilità.

La tenerezza scova un angolino puro e scioglie le tensioni in sorriso, non è un sentimento estemporaneo è la presa di coscienza dell’uomo disarmato e autentico.

Un fiorellino selvatico e bellissimo, un vecchio cane che scodinzola al suo padrone, un nonnino che cammina lento. È il creato che risponde all’uomo e nella tenerezza ci sentiamo perdonati e accolti. È un brivido di amore autentico che scatena un effetto protone-protone e induce ad amare anche le rovine.

Non va di moda la tenerezza, perché implica la fragilità e non la nasconde, ma quando accade il nostro cuore è lieto, compartecipe dell’altro, corrisposto.

L’orgoglio si dilegua e sembra che tutto sia possibile in quella corrispondenza, anche il perdono.

Ogni volta che giungo a quel passo manzoniano, come vorrei che il principe padre si liberasse del suo giogo, per coltivare quell’intuizione d’amore per la figlia! Non posso non sperare per i nostri giorni una scintilla che permetta di superare il ripiegamento su se stessi, di uscire dall’egocentrismo e aprirsi all’altro, in una tenera e fraterna corrispondenza, lontana dall’isolamento fisico e mentale che ci ha ingrigito un po’.