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L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si pronuncia sul riparto di competenza tra AGCM e autorità di settore in materia di pratiche commerciali scorrette

Introduzione

Con due decisioni dello scorso 9 febbraio 2016, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è tornata a pronunciarsi sul riparto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette tra l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito, anche “AGCM”) e le autorità di regolazione di settore.

Al centro dei dubbi della sezione del Consiglio di Stato che ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria si collocava in particolare l’interpretazione dell’art. 27, comma 1-bis, del Codice del Consumo, introdotto dal decreto legislativo n. 21/2014. Secondo questa disposizione, anche nei settori regolati la competenza a intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti costituenti una pratica commerciale scorretta spetta, in via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La norma lascia intatta la competenza delle autorità di regolazione a esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta.

Ma cosa accade se, a integrare una pratica commerciale scorretta, è una pratica contraria alla regolazione di settore?

I fatti

L’occasione di fornire dei chiarimenti sulla portata del nuovo art. 27 è derivata da distinti contenziosi originati dall’impugnazione delle decisioni con cui l’AGCM aveva sanzionato due operatori di telecomunicazione per aver messo in atto pratiche commerciali scorrette in danno dei consumatori propri clienti. Segnatamente: l’attivazione sulle SIM vendute dei servizi di navigazione Internet e di segreteria telefonica senza aver previamente acquisito il consenso del consumatore e senza averlo reso edotto dell’esistenza della preimpostazione di tali servizi e della loro onerosità, così esponendolo ad eventuali addebiti inconsapevoli.

Queste condotte, secondo l’AGCM, integravano i presupposti di una “pratica commerciale in ogni caso aggressiva”.

L’AGCM, a fronte del successivo annullamento delle suddette sanzioni da parte del TAR del Lazio, proponeva appello al Consiglio di Stato, la cui sesta Sezione riteneva di adire l’Adunanza plenaria, deferendole due separati quesiti. Tra questi, la sezione remittente chiedeva «se l’art. 27, comma 1-bis, del Codice del Consumo, sia da interpretarsi come norma attributiva di una competenza esclusiva ad AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette, anche a fronte di condotte disciplinate da specifiche norme settoriali di derivazione europea (ritenute idonee a reprimere il comportamento sia con riguardo alla completezza ed esaustività della disciplina, sia con riguardo ai poteri sanzionatori, inibitori e conformativi attribuiti all’Autorità di regolazione)».

La decisione

Secondo l’Adunanza plenaria, nella fattispecie ricorre una pratica commerciale scorretta, senz’altro riconducibile all’ambito di competenza dell’AGCM, realizzata tuttavia mediante la violazione degli obblighi informativi imposti dalla normativa di settore, e in particolare dal Codice delle comunicazioni elettroniche (D. Lgs. 259/2013), che invece appartiene al campo d’azione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”), come autorità di settore.

Secondo il Consiglio di Stato la semplice violazione degli obblighi informativi previsti dalla normativa di settore non è sufficiente, per sé, a integrare un illecito di competenza dell’AGCM: occorre, piuttosto, che la violazione di tali obblighi determini una considerevole limitazione della libertà di scelta dei consumatori. Solo così la condotta in violazione di norme di settore viene assorbita nell’ambito di competenza dell’AGCM.

Per l’Adunanza plenaria, l’art. 27, comma 1-bis, del Codice del Consumo è quindi norma di interpretazione autentica e dalla sua portata deriva la competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ad applicare la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette nelle fattispecie oggetto di ricorso.

Nemmeno la previsione, contenuta nella norma in commento, dell’acquisizione dell’eventuale parere dell’autorità settoriale (nella fattispecie, di AGCOM) può considerarsi di ostacolo alla soluzione illustrata dall’Adunanza plenaria: e, infatti, tale segmento procedimentale era già previsto in alcune delibere, sicché il legislatore si è limitato a elevare a norma di rango primario un meccanismo consolidato.

Redatto il 06 aprile 2016

Introduzione

Con due decisioni dello scorso 9 febbraio 2016, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è tornata a pronunciarsi sul riparto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette tra l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito, anche “AGCM”) e le autorità di regolazione di settore.

Al centro dei dubbi della sezione del Consiglio di Stato che ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria si collocava in particolare l’interpretazione dell’art. 27, comma 1-bis, del Codice del Consumo, introdotto dal decreto legislativo n. 21/2014. Secondo questa disposizione, anche nei settori regolati la competenza a intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti costituenti una pratica commerciale scorretta spetta, in via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La norma lascia intatta la competenza delle autorità di regolazione a esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta.

Ma cosa accade se, a integrare una pratica commerciale scorretta, è una pratica contraria alla regolazione di settore?

I fatti

L’occasione di fornire dei chiarimenti sulla portata del nuovo art. 27 è derivata da distinti contenziosi originati dall’impugnazione delle decisioni con cui l’AGCM aveva sanzionato due operatori di telecomunicazione per aver messo in atto pratiche commerciali scorrette in danno dei consumatori propri clienti. Segnatamente: l’attivazione sulle SIM vendute dei servizi di navigazione Internet e di segreteria telefonica senza aver previamente acquisito il consenso del consumatore e senza averlo reso edotto dell’esistenza della preimpostazione di tali servizi e della loro onerosità, così esponendolo ad eventuali addebiti inconsapevoli.

Queste condotte, secondo l’AGCM, integravano i presupposti di una “pratica commerciale in ogni caso aggressiva”.

L’AGCM, a fronte del successivo annullamento delle suddette sanzioni da parte del TAR del Lazio, proponeva appello al Consiglio di Stato, la cui sesta Sezione riteneva di adire l’Adunanza plenaria, deferendole due separati quesiti. Tra questi, la sezione remittente chiedeva «se l’art. 27, comma 1-bis, del Codice del Consumo, sia da interpretarsi come norma attributiva di una competenza esclusiva ad AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette, anche a fronte di condotte disciplinate da specifiche norme settoriali di derivazione europea (ritenute idonee a reprimere il comportamento sia con riguardo alla completezza ed esaustività della disciplina, sia con riguardo ai poteri sanzionatori, inibitori e conformativi attribuiti all’Autorità di regolazione)».

La decisione

Secondo l’Adunanza plenaria, nella fattispecie ricorre una pratica commerciale scorretta, senz’altro riconducibile all’ambito di competenza dell’AGCM, realizzata tuttavia mediante la violazione degli obblighi informativi imposti dalla normativa di settore, e in particolare dal Codice delle comunicazioni elettroniche (D. Lgs. 259/2013), che invece appartiene al campo d’azione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”), come autorità di settore.

Secondo il Consiglio di Stato la semplice violazione degli obblighi informativi previsti dalla normativa di settore non è sufficiente, per sé, a integrare un illecito di competenza dell’AGCM: occorre, piuttosto, che la violazione di tali obblighi determini una considerevole limitazione della libertà di scelta dei consumatori. Solo così la condotta in violazione di norme di settore viene assorbita nell’ambito di competenza dell’AGCM.

Per l’Adunanza plenaria, l’art. 27, comma 1-bis, del Codice del Consumo è quindi norma di interpretazione autentica e dalla sua portata deriva la competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ad applicare la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette nelle fattispecie oggetto di ricorso.

Nemmeno la previsione, contenuta nella norma in commento, dell’acquisizione dell’eventuale parere dell’autorità settoriale (nella fattispecie, di AGCOM) può considerarsi di ostacolo alla soluzione illustrata dall’Adunanza plenaria: e, infatti, tale segmento procedimentale era già previsto in alcune delibere, sicché il legislatore si è limitato a elevare a norma di rango primario un meccanismo consolidato.

Redatto il 06 aprile 2016