L’amministrazione della giustizia nel Regno delle Due Sicilie
Sfatiamo subito un falso storico dettato dalla storiografia risorgimentalista.
La lettura delle Leggi e dei Decreti Reali del Regno delle Due Sicilie ci permette di apprezzare “la modernità” e l'elevato livello di civiltà giuridica che caratterizzavano l'Ordinamento.
Nella Legislazione penale, sin dal 1774 era stato introdotto l'obbligo della motivazione delle sentenze, riprendendo gli insegnamenti del giurista Gaetano Filangieri.
Dispone l'articolo 219: “Tutte le sentenze e tutti gli atti dei giudici dé tribunali e delle Gran Corti, saranno scritti in italiano; le sentenze saranno motivate nel fatto e nel diritto”.
Il nostro dogma in dubbio pro reo si legge all'articolo 81: “In parità di voti, sarà seguita l'opinione più favorevole al reo”. Le Corti di Giustizia erano composte da più magistrati in numero pari, in tal modo in caso di equilibrio nel giudizio prevaleva il principio del favor rei.
Vorrei sottolineare che il principio del favor rei, con la caduta del Regno borbonico, non ha più trovato applicazione per decenni nei codici post-unitari.
Il 21 maggio del 1819 fu promulgato da Ferdinando I una sorta di Testo Unico, diviso in cinque codici: leggi civili, leggi penali, leggi della procedura né giudizi civili e penali e per gli affari di commercio. Ho la fortuna di poterli sfogliare e vi assicuro che si rimane basiti a scoprire delle perle giuridiche come l'istituto della transazione. Introdotto con un decreto del 1824, per smaltire i procedimenti giacenti. Una sorta di patteggiamento tra pm e reo, nell'ambito di un procedimento abbreviato.
Capite la meraviglia nel constatare che nell'ordinamento italiano i detti istituti saranno introdotti il 24 ottobre del 1989.
Evidenzio due ultime riflessioni. Ferdinando II di Borbone legiferò e si adoperò per garantire l'assoluta indipendenza della Magistratura dagli altri poteri dello Stato. Si bandivano concorsi e si garantiva la discussione pubblica di tutte le cause “mirando anche al motivo della gloria del foro, affinché non scemasse il pregio dell'eloquenza degli avvocati con lasciar trasandata la perorazione delle cause”.
In ottica legislazione emergenziale per il Covid-19 la nostra categoria deve stare attenta a non far venir meno il principio di pubblicità delle udienze.
Infine, il “Re Bomba” con la circolare del 18 novembre 1833, abolì di fatto la pena di morte. Infatti, stabilì che tutti i pronunciamenti a pene capitali delle 21 Corti territoriali dovessero essergli comunicati, onde consentirgli di provvedere – motu proprio – alla grazia o commutazione di pena. Giova ricordare che nessuna pena capitale per motivi politici fu mai eseguita.
A proposito di scarcerazioni e condizioni di salute dei detenuti,
con una circolare, del 2 marzo 1825, in merito alla liberazione di detenuti in condizione di salute precarie il Ministero degli Affari Interni del Regno Borbonico, M. Amati, il parigrado del nostro Bonafede, stabilì: “...da ora innanzi se qualche detenuto ottenga gli ordini di escarcerazione, e si ritrovi infermo, non si mandi via se non perfettamente guarito e ciò perché si allontani il pericolo di potersi diffondere il germe delle febbri carcerarie”.