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L’amministrazione di sostegno, l’interdizione e l’inabilitazione: criteri di scelta tra i tre strumenti

L’amministrazione di sostegno, l’interdizione e l’inabilitazione: criteri di scelta tra i  tre strumenti
L’amministrazione di sostegno, l’interdizione e l’inabilitazione: criteri di scelta tra i tre strumenti

Abstract

Nel presente lavoro si analizzerà l’amministrazione di sostegno, l’interdizione e l’inabilitazione.

Si ricercheranno nelle sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale le chiavi interpretative che permettano di capire quale sia lo strumento da applicare e perché vi sia una preferenza per l’amministrazione di sostegno. Verranno, inoltre, esaminati gli argomenti a favore e a sfavore della dottrina su questi criteri di scelta.

 

L’articolo 1 del codice civile fissa al momento della nascita l’acquisto della capacità giuridica. L’articolo 2 del codice civile stabilisce che la maggiore età si ottiene al compimento del diciottesimo anno e con essa si consegue la capacità di agire.

La capacità giuridica è “la capacità, riconosciuta dall’ordinamento, di essere titolari di situazioni giuridiche: in concreto, di avere diritti, poteri, doveri, obblighi, soggezioni” [Vincenzo Roppo 2014: 96]. La capacità d’agire è “la capacità di determinare con la propria volontà le proprie situazioni giuridiche: acquistare o alienare diritti, assumere obblighi” [Vincenzo Roppo 2014: 96].

Si parla di incapacità giuridica “se l’incapace non può essere sostituito da nessun altro soggetto nel compimento dell’atto” [Vincenzo Roppo 2014: 97] . Questo perché “le limitazioni di capacità giuridica, stabilite dalle norme, si fondano generalmente sulla considerazione che determinate qualità dei soggetti rendono inopportuno o addirittura impossibile consentire a quei soggetti la titolarità di determinate situazioni giuridiche” [Vincenzo Roppo 2014: 96]. Si parla, invece, di incapacità d’agire “se l’atto può essere compiuto, al posto dell’incapace, da un altro soggetto, in modo che i risultati dell’atto vadano all’incapace” [Vincenzo Roppo 2014: 97].

L’ordinamento giuridico italiano si pone l’obiettivo delicato e fondamentale della tutela dei soggetti più deboli, degli incapaci, essenzialmente, con tre strumenti: l’interdizione, l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno.

L’amministrazione di sostegno è stata introdotta dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6, la disciplina di tale figura si trova negli articoli dal 404 al 413 del codice civile. Con la stessa legge “viene introdotta l’amministrazione di sostegno e, nello stesso tempo, vengono modificate l’interdizione e l’inabilitazione. Il risultato e` un nuovo titolo XII del libro I del codice civile, profondamente diverso da quello precedente nella sua struttura, nei suoi principi e nelle sue regole” [Gilda Ferrando 2010: 837].

L’amministrazione di sostegno rispetto agli strumenti dell’interdizione e dell’inabilitazione costituisce un’importante novità, come riferisce Gilda Ferrando [2010: 836]: “l’amministrazione di sostegno costituisce un istituto profondamente diverso dall’interdizione e dall’inabilitazione. Esso intende valorizzare e promuovere l’autonomia residua della persona e non emarginare o escludere. In questo senso è conforme alla recente convenzione di New York 13.12.2006 sui diritti dei disabili (ratificata dall’Italia con legge 3.3.2009, n. 18) che riconosce “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale”, compresa la “libertà di compiere le proprie scelte” e prefigura inoltre misure di protezione adatte e proporzionate che devono essere applicate per il più breve tempo possibile, con l’obbligo di verifica costante e concreta dell’attualità dei presupposti”.

Il problema dell’amministrazione di sostegno è quello di delimitarne i confini applicativi rispetto alle figure dell’interdizione e dell’inabilitazione come osserva Antonio Gorgoni [2009: 822]: “uno dei problemi più gravi originato dalla normativa sull’amministrazione di sostegno attiene all’ambito applicativo del nuovo istituto rispetto all’interdizione e all’inabilitazione in caso di abituale infermità mentale. Il tenore letterale dell’art. 404 codice civile, infatti, consente di sussumere in questa disposizione l’ipotesi della grave e abituale infermità di mente, ossia la stessa situazione che costituisce il presupposto richiesto dall’art. 414 codice civile per l’interdizione”.

La scelta tra i tre strumenti, o meglio tra l’amministrazione di sostegno e gli altri due strumenti, inizialmente si è basata sul criterio del grado di infermità o sulla valutazione in favore dell’amministrazione di sostegno se fosse possibile “il coinvolgimento del soggetto debole nella sua concreta attuazione” dei propri interessi o se “mancando ogni possibilità di autodeterminazione, la strada per così dire obbligata è quella dell’interdizione” [Matteo Gozzi 2010: 19].

Alcuni orientamenti affermatisi [ad esempio la sentenza Cassazione Civile, sezione I, 22 aprile 2009, n. 9628: “va pertanto formulato il seguente principio di diritto: “nel giudizio di interdizione il giudice di merito, nel valutare se ricorrono le condizioni a mente dell’art. 418 codice civile, per applicare l’amministrazione di sostegno, rimettendo gli atti al giudice tutelare, deve considerare che rispetto all’interdizione e all’inabilitazione l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa, ben potendo il giudice tutelare graduare i limiti alla sfera negoziale del beneficiario dell’amministrazione di sostegno a mente dell’art. 405 codice civile, comma 5, numeri 3 e 4, in modo da evitare che questi possa essere esposto al rischio di compiere un’attività negoziale per sé pregiudizievole””] cambiano prospettiva e ritengono sia, ove possibile, preferire l’amministrazione di sostegno per via della capacità di questo strumento di adeguarsi alle esigenze del soggetto da proteggere, alla flessibilità dell’amministrazione di sostegno e per la procedura applicativa più semplice e meno gravosa economicamente. Inoltre, in tal senso già la sentenza della Cassazione Civile, sezione I, 24 luglio 2009, n. 17421 ritiene sia da preferire l’amministrazione di sostegno rispetto all’interdizione in base “alla maggiore idoneità ad adeguarsi alle esigenze del soggetto stesso, considerata la sua flessibilità e pure la maggior agilità della sua procedura applicativa”. Questo orientamento ha sollevato qualche perplessità in dottrina per via della possibilità del giudice di decidere caso per caso quale misura sia più idonea al caso concreto. Quelli che criticano questa possibilità sostengono che si sacrifichi la certezza del diritto e la procedura applicativa e giudiziale più snella possa incidere negativamente sull’idonea tutela degli interessi dell’incapace. L’interdizione, quindi, rimane una misura residuale, come Rita Russo [2009: 1088-1089] ritiene che emerga dalla sentenza della Corte costituzionale 9 dicembre 2005, n. 440: “osserva la Corte che “la complessiva disciplina inserita dalla legge n. 6 del 2004 sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità; e consente, ove la scelta cada sull’amministrazione di sostegno, che l’ambito dei poteri dell’amministrazione sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto. Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l’inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l’interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria””.

Antonio Gorgoni [2009: 824-825] rileva che alla base di alcune pronunce della Corte Costituzionale vi sia anche il rinvenimento dell’intento del legislatore nell’inserimento dell’amministrazione di sostegno prima degli strumenti dell’interdizione e dell’inabilitazione per voler graduare le misure di protezione: “la Corte costituzionale ha tratto il proprio convincimento dal fatto che la nuova disciplina è stata anteposta, nel codice civile, a quella dell’interdizione e dell’inabilitazione, a volere significare l’assoluto rilievo del principio di progressività nella tutela delle persone fragili. Ma soprattutto essa ha argomentato da alcune disposizioni che pongono in luce come il giudice, nell’attribuire i poteri all’amministratore, debba operare in modo “chirurgico” eliminando (rappresentanza) o attenuando (assistenza) solo quella parte di capacità d’agire che se fosse libera di esplicarsi sarebbe dannosa per il soggetto agente”. Da quanto sopra esposto, non è errato ritenere che dalla stessa disposizione nel codice civile dell’amministrazione di sostegno vi sia l’intento del legislatore di graduare le misure e da cui desumere un criterio di proporzione nella scelta dello strumento più adatto: l’indicazione di preferire lo strumento meno invasivo dell’amministrazione di sostegno, meno “annullante” della persona da proteggere. Infatti, l’amministratore di sostegno si affianca all’incapace, decide insieme al beneficiario: “il sostegno che gli si dà deve essere rispettoso della sua autonomia” e “si prevede che l’amministratore, prima di decidere qualunque atto nell’interesse del beneficiario (inclusi quelli in cui ha il potere di sostituirlo completamente), ne parli con l’interessato; e se questi non è d’accordo, ne informi il giudice (articolo 410, comma 1-2)” [Vincenzo Roppo 2014: 106].

 

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