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L’ascolto in famiglia

sfumature
Ph. Ermes Galli / sfumature

Abstract

Il contributo spazia tra fonti normative interne e internazionali per illustrare l’importanza e la funzione essenziale dell’ascolto nelle relazioni intrafamiliari.

 

Lo scrittore Bruno Ferrero scrive: “Un marito ascolta la moglie al massimo per 17 secondi e poi incomincia a parlare lui. Una moglie ascolta il marito al massimo per 17 secondi e poi incomincia a parlare lei. Marito e moglie ascoltano i figli per…”. Si parla sempre (ma si pratica poco) di diritto all’ascolto del bambino, quel diritto disciplinato nell’articolo 12 par. 2 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia (in inglese Convention on the Rights of the Child, da cui l’acronimo CRC) ove si dice che “verrà offerta al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in qualsiasi procedimento giudiziario o amministrativo che lo riguardi”. In tal senso si è impegnato il nostro legislatore novellando alcuni articoli del codice civile con la legge 219/2012 e il decreto legislativo 154/2013. L’ascolto, ancor prima di essere un diritto, è un atteggiamento naturale che si dovrebbe rendere esperibile nelle situazioni quotidiane e non solo in quelle procedurali.

In una novella B. Ferrero racconta: “Svuotando le tasche del cappotto invernale della figlia di sei anni, una madre trovò un paio di guanti in entrambe le tasche. Pensando che un paio fosse sufficiente a tenerle calde le mani, le chiese perché ne portasse due nel cappotto. Lei rispose: «Lo faccio da un sacco di tempo, mamma. Vedi, alcuni bambini vengono a scuola senza guanti, e se io ne porto un altro paio posso prestarglieli, così non si gelano le mani»”. I bambini hanno sempre da insegnare, dalla loro aggressività alla loro spontaneità. Bisogna mettersi in loro ascolto, quell’ascolto che bisogna garantire non solo nei procedimenti giudiziari (come si suole fare ai sensi dell’articolo 336 bis cod. civ.), ma soprattutto come procedimento interiore da coltivare ogni giorno da parte delle figure adulte di riferimento.

Anche l’esperto don Antonio Mazzi richiama: “Ascoltiamo i nostri figli. Impariamo ad amare le loro fragilità, che sono anche le nostre. I ragazzi hanno bisogno di adulti autentici, esigenti, dialoganti, di genitori capaci di interpellarsi con più pazienza e meno paura”. L’ascolto non deve essere riconosciuto solo come diritto dei bambini e dei ragazzi in ogni procedimento che li riguardi (verbo usato nell’articolo 12 par. 2 CRC e che richiama l’altro verbo “rispettare”), ma principalmente come processo vitale nello svolgimento della personalità (mutuando l’espressione dell’articolo 2 Costituzione). “Ascolto” ha la stessa origine etimologica di “culto” e “cultura”: l’ascolto è comunicazione, è auscultazione dell’interiorità. L’ascolto richiede silenzio, tempo, pazienza, prudenza, rispetto: beni preziosi nella e per la vita familiare.

Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, precisa:[…] pare che il numero delle parole conosciute dal bambino all’inizio della scuola elementare faccia addirittura prevedere con molta fedeltà il successo all’università e nel lavoro. C’è solo da augurarsi che la rigidità dei programmi scolastici non inaridisca questa ricchezza! Stimolazioni visive, uditive, tattili dunque, che non riguardano solo i bambini, ma tutti coloro che sono preposti alla loro cura. Anche gli adulti potranno beneficiare di questa esplosione di creatività e curiosità, se sapranno interagire con i bambini con gioia ed entusiasmo, liberandosi degli stereotipi di cui spesso la loro vita è gravata”. I bambini non hanno bisogno e non devono essere oggetto di programmi scolastici, programmi televisivi o altri programmi (parola che deriva dal greco “scrivere prima”), ma hanno bisogno e devono essere soggetti di ascolto, in altre parole hanno l’esigenza di una relazione di ascolto.

La Fonzi aggiunge: “I nostri piccoli, per esempio, se da un lato dimostrano chiaramente di voler stare in compagnia, di aver bisogno sia degli adulti che dei coetanei, dall’altro manifestano con gli anni sempre più spesso il bisogno di uno spazio che sia tutto per loro, senza interferenze di alcun tipo. Uno spazio che può essere non soltanto fisico, un territorio privato, ma che implichi anche la non ingerenza altrui nel proprio ruolo. Una sorta di linea di difesa nei confronti della propria identità, la necessità di una stanza tutta per sé nella quale sentirsi, anche se per breve tempo, veramente se stessi, autonomi e lontani da ogni tutela”. Il bambino ha sì diritto all’ascolto ma è anche necessario che sia educato ad ascoltare e ascoltarsi.

Infatti, lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni suggerisce: “Anche nei casi in cui i figli ci chiedano consiglio, è meglio prima provare a chiedere loro cosa ne pensano, sondare la loro capacità di valutare i pro e i contro, anziché suggerire risposte adulte, complete e argomentate, che tolgono loro la possibilità di mettersi alla prova e di imparare a fare chiarezza”. Anziché essere consigliati, i figli hanno soprattutto bisogno di essere ascoltati in modo tale che si abituino ad ascoltarsi e ad ascoltare per darsi e dare risposte. “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

“I bambini si trovano spesso “incastrati” tra parole che vengono dette su di loro, ma non a loro – dichiara lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai –. Parole che li riguardano, ma rispetto alle quali l’aspettativa di molti è che loro ne siano ignari. Forse molti adulti pensano che il bambino non possa capire. O peggio ancora, che per il bambino sia meglio non sapere. Ma il bambino ha un corpo, un cuore e una mente e tutte e tre queste sue dimensioni sono in gioco”. Nell’articolo 12 par. 1 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla del diritto del fanciullo di esprimere liberamente la propria opinione e successivamente, nel par. 2, di essere ascoltato, che significa che ci deve essere qualcuno che parli con lui, lo metta al corrente della realtà in modo tale che il bambino possa averne contezza, manifestare una sua reazione e formulare una risposta. Ancor prima del diritto, il bambino ha un bisogno vitale della comunicazione espresso sin dal primo vagito.

Il problema dell’ascolto e della comunicazione si fa più pressante nell’età adolescenziale come spiega lo scrittore Alessandro Cristofari: “I ragazzi hanno il problema che si muore e che il papà o la mamma ti abbandonano. Che la ragazza che ti fa impazzire se ne va con un altro. Che si sentono fatti per cose grandi e si trovano intorno adulti cinici e disillusi che li incitano a non credere ai loro sogni. I ragazzi hanno bisogno di qualcuno che dica loro che è possibile vivere all’altezza del proprio desiderio, provare a costruire un mondo un po’ più giusto e un po’ più buono. Che c’è qualcuno che ti vuol bene così come sei, che è disposto a giocarsi la vita per te e con te, perché il desiderio con cui sei stato messo al mondo possa essere realizzato”. I ragazzi hanno un bisogno esistenziale e coesistenziale di assistenza morale (artt. 147 e 315 bis cod. civ.) che si concretizza in ascolto, attenzione, accompagnamento, appartenenza. Nell’articolo 570 cod. pen. rubricato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”, al comma 1 si parla di abbandono del domicilio domestico e di condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie proprio perché in famiglia ci si aspetta quella rete relazionale, emozionale e solidale, quella sinergia, quell’atmosfera caratterizzanti la famiglia e non le altre “formazioni sociali” (dall’articolo 2 Cost.).

I bambini e gli adolescenti esposti a eventi avversi e situazioni traumatiche hanno un rischio maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari da adulti: lo ha dimostrato un gruppo di ricerca dell’American Heart Association, guidato da epidemiologi dell’Università Emory di Atlanta (Georgia) e coordinato dalla professoressa Shakira Suglia, che ha condotto uno studio di revisione su numerose indagini dedicate al tema (documento pubblicato sulla rivista “Circulation” a fine 2017). Tra gli eventi negativi messi in evidenza dagli studiosi vi sono diverse forme di violenza viste e subite, come quelle psicologiche, fisiche e sessuali, ma non mancano anche altre condizioni difficili da affrontare. Il documento precisa: “Per «avversità» intendiamo tutto ciò che il bambino può percepire soggettivamente come una minaccia per la sua integrità fisica, per la sua famiglia o la sua struttura sociale”. Fra esse, i ricercatori hanno indicato la separazione dei genitori, l’essere vittime di bullismo, l’abuso di sostanze da parte dei genitori, la discriminazione, l’essere trascurati e la perdita di una persona cara. È necessario, perciò, dare ascolto e imparare a dare ascolto alle esigenze (bisogni e sogni) dei bambini, anche perché un’infanzia felice è una vita adulta più sana (su tali concetti si basa altresì la teoria delle costellazioni familiari, secondo cui alcuni disturbi o problemi affondano le loro radici in grovigli sistemici familiari e il singolo non è tale ma rappresentante di un sistema).

Guerra: mancanza del silenzio intimo e dell’ascolto reciproco e tanto rumore assordante e annientante, come quando nelle relazioni familiari s’interrompe la comunicazione e la normalità dei conflitti degenera in un’esacerbata conflittualità. Si cominci dalla famiglia, da ogni famiglia, a costruire la pace, a crescere nella pace.

Ascolto: da mettere in pratica non solo nei procedimenti che riguardano i bambini ma nel più importante procedimento che riguarda tutti, la vita.

Conoscere il proprio mondo interiore per conoscere e rispettare ogni mondo esterno, a cominciare dall’altro, che è altro di sé e non da sé. La vita è un talento musicale: scegliere lo strumento, il maestro con cui prepararsi, metterci la passione, impegnarsi, esibirsi… o, viceversa, niente di tutto ciò. Come inizio del “percorso musicale”, ai genitori e agli altri adulti tocca ascoltare il bambino, come dal primo vagito, per, poi, educarlo all’ascolto.