Licenza - Corte di Giustizia UE: la violazione del diritto di proprietà intellettuale può essere pagata cara, fino al doppio del dovuto
È compatibile con la normativa UE una normativa nazionale secondo la quale il titolare di un diritto di proprietà intellettuale violato può chiedere all’autore della violazione o il risarcimento del danno subito, tenendo conto di tutti gli aspetti pertinenti del caso di specie, o, senza che detto titolare debba dimostrare il danno effettivo, il pagamento di una somma equivalente al doppio della remunerazione adeguata che sarebbe stata dovuta a titolo di concessione dell’autorizzazione per l’uso dell’opera.
È quanto stabilito dalla Corte di Giustizia UE.
Il fatto
L’attrice SFP, un’organizzazione polacca di gestione collettiva del diritto d’autore, abilitata a gestire e tutelare i diritti d’autore sulle opere audiovisive, conveniva in giudizio la OTK, distributrice di programmi televisivi via cavo in una particolare area di una città in Polonia, per aver continuato ad utilizzare, anche dopo la risoluzione di un contratto di licenza intercorrente tra le parti, le opere tutelate dal diritto d’autore.
L’attrice chiedeva al Tribunale regionale di Breslavia di vietare alla convenuta di trasmettere le opere audiovisive tutelate fino alla stipula di un nuovo contratto di licenza, e chiedeva altresì che le fosse corrisposta una somma pari a 88 mila euro a titolo di indennizzo per l’indebita utilizzazione delle opere in questione. Il Tribunale condannava la OTK a versare alla SFP la somma di 36 mila euro, maggiorata degli interessi legali.
Respinti gli appelli avverso tale pronuncia, la Corte Suprema adita riscontrava un dubbio di conformità dell’art. 79 della legislazione nazionale in materia di diritto d’autore con l’art. 13 della Direttiva 2204/48.
Conseguentemente, rimetteva questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiedendo ai giudici di chiarire: “Se l’articolo 13 della direttiva 2004/48 possa essere interpretato nel senso che il titolare di diritti patrimoniali d’autore che siano stati violati può chiedere la riparazione dei danni da esso subiti sulla base dei principi generali, oppure se, senza dover dimostrare il danno ed il nesso di causalità tra il fatto generatore della violazione dei suoi diritti ed il danno, possa esigere il pagamento di una somma di denaro dell’importo equivalente al doppio o, nel caso di violazione colposa, al triplo della remunerazione adeguata, dal momento che l’articolo 13 della direttiva 2004/48 prevede che a decidere in merito ad un risarcimento sia il giudice, tenendo conto delle circostanze elencate all’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), e che solo in via alternativa, in alcuni casi, egli può fissare a titolo di risarcimento una somma forfettaria, tenendo conto degli elementi di cui all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Se sia ammessa, ai sensi dell’articolo 13 della direttiva, la concessione, su richiesta di parte, di una somma forfettaria prestabilita a titolo di risarcimento, pari al doppio o al triplo della remunerazione adeguata, alla luce del fatto che, al considerando 26 della direttiva, si precisa che il fine della direttiva non è quello di introdurre un risarcimento punitivo”.
La decisione
Partendo dal presupposto che la Direttiva sancisce uno standard minimo di tutela dei diritti di proprietà intellettuale, la Corte UE ha avallato l’interpretazione più estensiva.
Secondo la Corte “tale interpretazione non può essere rimessa in discussione dal fatto, in primo luogo, che un risarcimento calcolato sulla base del doppio del canone ipotetico non è esattamente proporzionale al danno effettivamente subito dalla parte lesa. Infatti, tale caratteristica è intrinseca ad ogni risarcimento forfettario, come quello espressamente previsto all’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2004/48”. Né la circostanza secondo la quale la direttiva 2004/48 non imponga agli Stati membri di prevedere un risarcimento cosiddetto “punitivo”, può interpretarsi come un divieto ad introdurre una tale misura.
Inoltre, il mero versamento del canone ipotetico, nell’ipotesi di violazione di un diritto di proprietà intellettuale, non è sufficiente a garantire un risarcimento dell’integralità del danno effettivamente subito. A tale canone dovrebbe infatti aggiungersi anche il rimborso di eventuali spese legate alla ricerca e all’identificazione di possibili atti di contraffazione.
La Corte ha pertanto stabilito che: “L’art. 13 della Direttiva 2004/48/CE deve essere interpretato nel senso che non osta a che il titolare di un diritto di proprietà intellettuale che sia stato violato possa chiedere all’autore della violazione o il risarcimento del danno subito, tenendo conto di tutti gli aspetti pertinenti del caso di specie, o, senza che detto titolare debba dimostrare il danno effettivo, il pagamento di una somma equivalente al doppio della remunerazione adeguata che sarebbe stata dovuta a titolo di concessione dell’autorizzazione per l’uso dell’opera di cui trattasi”.
Così deciso, rimetteva la statuizione delle spese a carico delle parti in causa al giudice nazionale.
La sentenza è integralmente consultabile sul sito internet della Corte di Giustizia.
(Corte di Giustizia dell’Unione Europea - Quinta Sezione, Sentenza 25 gennaio 2017, C-367/15: Rinvio pregiudiziale - Direttiva 2004/48/CE - Articolo 13 - Proprietà intellettuale e industriale - Violazione - Calcolo del risarcimento del danno - Normativa di uno Stato membro - Doppio dell’importo dei canoni normalmente dovuti)
È compatibile con la normativa UE una normativa nazionale secondo la quale il titolare di un diritto di proprietà intellettuale violato può chiedere all’autore della violazione o il risarcimento del danno subito, tenendo conto di tutti gli aspetti pertinenti del caso di specie, o, senza che detto titolare debba dimostrare il danno effettivo, il pagamento di una somma equivalente al doppio della remunerazione adeguata che sarebbe stata dovuta a titolo di concessione dell’autorizzazione per l’uso dell’opera.
È quanto stabilito dalla Corte di Giustizia UE.
Il fatto
L’attrice SFP, un’organizzazione polacca di gestione collettiva del diritto d’autore, abilitata a gestire e tutelare i diritti d’autore sulle opere audiovisive, conveniva in giudizio la OTK, distributrice di programmi televisivi via cavo in una particolare area di una città in Polonia, per aver continuato ad utilizzare, anche dopo la risoluzione di un contratto di licenza intercorrente tra le parti, le opere tutelate dal diritto d’autore.
L’attrice chiedeva al Tribunale regionale di Breslavia di vietare alla convenuta di trasmettere le opere audiovisive tutelate fino alla stipula di un nuovo contratto di licenza, e chiedeva altresì che le fosse corrisposta una somma pari a 88 mila euro a titolo di indennizzo per l’indebita utilizzazione delle opere in questione. Il Tribunale condannava la OTK a versare alla SFP la somma di 36 mila euro, maggiorata degli interessi legali.
Respinti gli appelli avverso tale pronuncia, la Corte Suprema adita riscontrava un dubbio di conformità dell’art. 79 della legislazione nazionale in materia di diritto d’autore con l’art. 13 della Direttiva 2204/48.
Conseguentemente, rimetteva questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiedendo ai giudici di chiarire: “Se l’articolo 13 della direttiva 2004/48 possa essere interpretato nel senso che il titolare di diritti patrimoniali d’autore che siano stati violati può chiedere la riparazione dei danni da esso subiti sulla base dei principi generali, oppure se, senza dover dimostrare il danno ed il nesso di causalità tra il fatto generatore della violazione dei suoi diritti ed il danno, possa esigere il pagamento di una somma di denaro dell’importo equivalente al doppio o, nel caso di violazione colposa, al triplo della remunerazione adeguata, dal momento che l’articolo 13 della direttiva 2004/48 prevede che a decidere in merito ad un risarcimento sia il giudice, tenendo conto delle circostanze elencate all’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), e che solo in via alternativa, in alcuni casi, egli può fissare a titolo di risarcimento una somma forfettaria, tenendo conto degli elementi di cui all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Se sia ammessa, ai sensi dell’articolo 13 della direttiva, la concessione, su richiesta di parte, di una somma forfettaria prestabilita a titolo di risarcimento, pari al doppio o al triplo della remunerazione adeguata, alla luce del fatto che, al considerando 26 della direttiva, si precisa che il fine della direttiva non è quello di introdurre un risarcimento punitivo”.
La decisione
Partendo dal presupposto che la Direttiva sancisce uno standard minimo di tutela dei diritti di proprietà intellettuale, la Corte UE ha avallato l’interpretazione più estensiva.
Secondo la Corte “tale interpretazione non può essere rimessa in discussione dal fatto, in primo luogo, che un risarcimento calcolato sulla base del doppio del canone ipotetico non è esattamente proporzionale al danno effettivamente subito dalla parte lesa. Infatti, tale caratteristica è intrinseca ad ogni risarcimento forfettario, come quello espressamente previsto all’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2004/48”. Né la circostanza secondo la quale la direttiva 2004/48 non imponga agli Stati membri di prevedere un risarcimento cosiddetto “punitivo”, può interpretarsi come un divieto ad introdurre una tale misura.
Inoltre, il mero versamento del canone ipotetico, nell’ipotesi di violazione di un diritto di proprietà intellettuale, non è sufficiente a garantire un risarcimento dell’integralità del danno effettivamente subito. A tale canone dovrebbe infatti aggiungersi anche il rimborso di eventuali spese legate alla ricerca e all’identificazione di possibili atti di contraffazione.
La Corte ha pertanto stabilito che: “L’art. 13 della Direttiva 2004/48/CE deve essere interpretato nel senso che non osta a che il titolare di un diritto di proprietà intellettuale che sia stato violato possa chiedere all’autore della violazione o il risarcimento del danno subito, tenendo conto di tutti gli aspetti pertinenti del caso di specie, o, senza che detto titolare debba dimostrare il danno effettivo, il pagamento di una somma equivalente al doppio della remunerazione adeguata che sarebbe stata dovuta a titolo di concessione dell’autorizzazione per l’uso dell’opera di cui trattasi”.
Così deciso, rimetteva la statuizione delle spese a carico delle parti in causa al giudice nazionale.
La sentenza è integralmente consultabile sul sito internet della Corte di Giustizia.
(Corte di Giustizia dell’Unione Europea - Quinta Sezione, Sentenza 25 gennaio 2017, C-367/15: Rinvio pregiudiziale - Direttiva 2004/48/CE - Articolo 13 - Proprietà intellettuale e industriale - Violazione - Calcolo del risarcimento del danno - Normativa di uno Stato membro - Doppio dell’importo dei canoni normalmente dovuti)