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Licenziamento per superamento del periodo di comporto e obblighi di comunicazione

Procida (NA), agosto 2019
Ph. Fulvia Tilli / Procida (NA), agosto 2019

Indice:

1. Il decorso del periodo di comporto nel caso specifico

2. L’istituto del periodo di comporto

3. L’obbligo di comunicazione nel periodo di comporto

4. Il licenziamento discriminatorio

 

1. Il decorso del periodo di comporto nel caso specifico

In caso di malattia del lavoratore, il legislatore e la contrattazione collettiva hanno disciplinato tempi e modalità di conservazione del posto di lavoro. Tuttavia, accanto alle norme, i principi di buona fede e correttezza devono sempre ispirare le parti: in questo senso si è espresso con ordinanza n. cronol. 20012/2019 del 11/08/2019 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Sezione Lavoro e Previdenza.

Vediamo il caso.

Un’azienda operante nel settore Terziario licenzia per superamento del periodo di comporto un dipendente: da sempre affetto da patologie croniche, note al datore di lavoro, il lavoratore si è assentato dal lavoro per sottoporsi a un delicato intervento chirurgico, necessario sia per complicanze sopravvenute delle patologie di cui era affetto sin da bambino sia per l’insorgere di nuove patologie.

Nel decorso della convalescenza gli è stato comminato il licenziamento per superamento del periodo di comporto.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, chiedendo che fosse dichiarato nullo, per discriminazione indiretta e violazione degli obblighi di buona fede e correttezza: lamenta, infatti, che la mancata preventiva comunicazione dell’imminente scadenza del periodo di conservazione del posto di lavoro gli abbia precluso la conseguente possibilità di fruire degli istituti di aspettativa regolamentati dal contratto collettivo nazionale.

 

2. L’istituto del periodo di comporto

Il nostro ordinamento contempla fra le cause di sospensione del rapporto di lavoro, all’articolo 2110 Codice Civile, l’infortunio, la malattia, la gravidanza e il puerperio: a tutela del lavoratore che non è nelle condizioni di garantire la prestazione lavorativa, la normativa prevede la corresponsione di una retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalla legge o dalle altre fonti di diritto.

Tuttavia, questa tutela del lavoratore non opera sine die: il comma 2 dell’articolo 2110 Codice Civile prevede infatti che l’imprenditore, decorso il periodo stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità, può recedere dal contratto di lavoro.

È evidente che la norma in esame opera un contemperamento di interessi contrapposti fra datore di lavoro e lavoratore, riconoscendo a quest’ultimo il diritto di curarsi senza perdere mezzi di sostentamento e occupazione per un arco di tempo ritenuto congruo e tollerabile dalla legge. Tuttavia, una volta superato tale periodo, il datore di lavoro può esercitare il potere risolutorio.

La previsione del legislatore trova pacifico accoglimento nella giurisprudenza maggioritaria che riconosce la libertà di licenziamento del lavoratore, decorso il periodo di comporto.

 

3. L’obbligo di comunicazione nel periodo di comporto

Ora, premesso e condiviso quanto sopra, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha analizzato l’obbligo di comunicazione preventiva al licenziamento del lavoratore in prossimità alla scadenza del periodo di comporto.

La giurisprudenza di merito è concorde nel ritenere gravante sul lavoratore una sorta di principio di “autoresponsabilità”, cioè di controllo e monitoraggio dei giorni di assenza computabili ai fini del periodo di comporto. Tuttavia, rileva il Tribunale che si tratta di un principio generale, privo di valenza assoluta.

Infatti, la necessità o meno della preventiva comunicazione va analizzata caso per caso in funzione delle condizioni di salute del lavoratore: non può trovare parità di trattamento la situazione di convalescenza che ha origine in “malattie comuni”, di durata breve e con prognosi fauste e quella derivante da malattie croniche, gravi, con lunghi periodi di convalescenza e con prognosi infauste.

Nel caso di specie, il CCNL Terziario applicato nel rapporto di lavoro in esame non prevede l’obbligo di preventiva comunicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto e, pertanto, l’azienda non ha formalizzato al ricorrente l’approssimarsi del licenziamento per superamento del periodo di comporto.

Tuttavia, rileva il Tribunale che tale carenza configura la violazione di un obbligo di buona fede e correttezza in quanto, considerate le condizioni fisiche precarie del ricorrente, il lavoratore avrebbe potuto chiedere un periodo di 4 mesi di aspettativa non retribuita per malattia elevabile su richiesta del lavoratore fino a 12 mesi in presenza di una patologia grave e continuativa che comporti terapie salvavita periodicamente documentata da specialisti del Servizio sanitario nazionale, come previsto dall’articolo 181 del contratto collettivo nazionale Terziario di mercato: distribuzione e servizi.

La mancata comunicazione della scadenza del periodo di comporto, ancorché non obbligatoria per legge, ha precluso al ricorrente di presentare richiesta di aspettativa prima del licenziamento, configurando secondo il giudice una violazione del principio di buona fede e correttezza, nonché del principio di solidarietà ex articolo 2 Costituzione.

Alla luce di tutto ciò, il giudice ha concluso che il licenziamento è configurabile come discriminatorio in relazione alla posizione del lavoratore che versa in una condizione di “minorata difesa”.

 

4. Il licenziamento discriminatorio

Richiamato, infatti, il Decreto Legislativo 9 luglio 2003 n. 216 di attuazione direttiva 2000/78/CE in tema di discriminazione diretta e indiretta, il giudice ha ritenuto che la mancata preventiva comunicazione di scadenza del periodo di comporto configura, proprio per la gravità dell’invalidità del lavoratore, una situazione oggettiva di svantaggio. Il licenziamento intimato, pertanto, è da considerarsi discriminatorio e, quindi, nullo.

Conclude il giudice dichiarando la nullità del licenziamento a cui va applicata la tutela reale forte, cioè con possibilità di reintegra del lavoratore.

Tuttavia, per sopravvenuto decesso del ricorrente nelle more del giudizio, non è possibile disporre la reintegra del ricorrente e non è possibile accordare agli eredi l’indennità sostitutiva delle 15 mensilità; pertanto, il giudice statuisce a favore degli eredi un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello di decesso del lavoratore, oltre al versamento di contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo.