Limiti al nome del figlio
In un recentissimo decreto - è del 12/11/2009 - di rigetto della rettifica di atti dello stato civile, il Tribunale di Novara ha affrontato l’interessante questione.
Questo il caso che ha dato luogo al provvedimento.
Due genitori rendono avanti all’Ufficiale dello stato civile dichiarazione di nascita del proprio figlio imponendogli un nome particolarissimo. L’Ufficiale dello Stato civile, perplesso, chiede parere al Procuratore della Repubblica sulla compatibilità, di tale nome, con i limiti di cui all’art. 34 DPR 396/2000. Il Pubblico Ministero, ritenuto che tale nome fosse da qualificarsi come ridicolo, proponeva ricorso avanti al Tribunale di Novara. Il quale si esprimeva con il decreto in oggetto.
Rilevava il Tribunale "
che la straordinaria ampiezza delle limitazioni nella scelta del nome palesa origine pubblicistica ed autoritaria della noma previgente, alla base della quale vi era l’esigenza di tutelare l’onore del soggetto che portava il nome" ma che già "
la prassi sociale più che giurisprudenza aveva però fin da subito, ampiamente derogato a tali limiti: così esistono da sempre nomi propri di evidente derivazione geografica (ad esempio, Italia, Italo, Romano, Germana) e non sono, altresì mai mancati neppure cognomi usati come nomi (ad esempio, Menotti, imposto, addirittura dal patriota Garibaldi ad uno dei propri figli)".
Nella disciplina attuale, a parere del Tribunale, la questione della scelta del (pre)nome "va inquadrata nell’ambito della tutela del diritto al nome, di cui all’art. 6 c.c..
Orbene, l’interpretazione costituzionalmente orientata di quest’ultima norma - il riferimento, a tal proposito, deve individuarsi nell’art. 2 della Carta Fondamentale - induce a ritenere che il prenome non svolga più, o almeno non in via esclusiva, la funzione pubblicistica di identificazione della persona, ma che, al contrario, esso sia espressione dell’inviolabile diritto della personalità di chi lo porta, più precisamente che esso sia il primo baluardo - in senso cronologico - del diritto "ad essere se stessi”. Però, se così è, proseguono i giudici, tale diritto "va tutelato fin dal momento iniziale, genetico e conformativo, della scelta e dell’imposizione del nome al bambino. Si tratta di una scelta che certo, fa capo in primo luogo e normalmente ai genitori, i quali possono scegliere con la più ampia libertà il nome dei propri figli, tenendo, tuttavia, presente che si tratta di una decisione i cui effetti ricadranno sui figli stessi. Conseguentemente alla stregua di un giudizio prognostico ex ante, ed in base all’id quod plerumque accidit, riferito al contesto socio-ambientale di vita della famiglia, i genitori dovranno evitare quei nomi che, in un futuro più o meno lontano, potrebbero essere probabile fonte di rilevante fastidio, se non di pregiudizio, per il figlio".
In conseguenza, i limiti di cui all’art. 34 DPR 396/2000 devono "ritenersi ispirati alla tutela della personalità dell’individuo. Inoltre, proprio la ratio sopra esplicitata consente di affermare che si tratta di limiti di stretta interpretazione, ed anzi del tutto eccezionali". Peraltro, sottolineano i magistrati,
i concetti di ridicolo e di vergognoso, del resto, si presentano estremamente vaghi, ai limiti dell’irriducibilmente soggettivo, specie il primo, perchè privo di altri riscontri comparativi nell’ordinamento. Quindi,
in base ad un’interpretazione rigorosa, rispettosa dei principi suesposti, l"’aggettivo ,”ridicolo" deve, allora, essere assunto in un’accezione esclusivamente negativa, cioè come suscettibile di scherno, "tale da rendere il soggetto zimbello del gruppo". Conseguentemente, tale concetto non può essere tout court, assimilato a quello, di per sè neutro, di nome curioso, o particolare, o insolito". E aggiungono che "
ad abundantiam, la "lista" dei nomi non costituisce affatto un numerus clausus, e che, se è pur vero che la ripetizione, vale a dire la diffusione nell’uso, crea una rassicurante tradizione, e quindi legittima i nomi stessi, è, tuttavia, altrettanto vero che non potrebbe esserci tradizione, e quindi legittimazione, senza un inizio necessariamente inusuale quando non, addirittura, sorprendente".
Nella fattispecie concreta, il nome del bimbo era da considerarsi, sicuramente, inusuale ma non certo tale da rendere chi lo porta zimbello del gruppo, almeno, secondo il Tribunale, "non più di nomi cd. tradizionali, ma altrettanto curiosi (ad esempio Crocifisso, Catena, Achille, Incoronata) o di nomi di recente derivazione, ma già invalsi presso le celebrità (Apple, che in inglese significa mela, Oceano, Chanel e così via)".
Pertanto, ricorso rigettato.
In un recentissimo decreto - è del 12/11/2009 - di rigetto della rettifica di atti dello stato civile, il Tribunale di Novara ha affrontato l’interessante questione.
Questo il caso che ha dato luogo al provvedimento.
Due genitori rendono avanti all’Ufficiale dello stato civile dichiarazione di nascita del proprio figlio imponendogli un nome particolarissimo. L’Ufficiale dello Stato civile, perplesso, chiede parere al Procuratore della Repubblica sulla compatibilità, di tale nome, con i limiti di cui all’art. 34 DPR 396/2000. Il Pubblico Ministero, ritenuto che tale nome fosse da qualificarsi come ridicolo, proponeva ricorso avanti al Tribunale di Novara. Il quale si esprimeva con il decreto in oggetto.
Rilevava il Tribunale "
che la straordinaria ampiezza delle limitazioni nella scelta del nome palesa origine pubblicistica ed autoritaria della noma previgente, alla base della quale vi era l’esigenza di tutelare l’onore del soggetto che portava il nome" ma che già "
la prassi sociale più che giurisprudenza aveva però fin da subito, ampiamente derogato a tali limiti: così esistono da sempre nomi propri di evidente derivazione geografica (ad esempio, Italia, Italo, Romano, Germana) e non sono, altresì mai mancati neppure cognomi usati come nomi (ad esempio, Menotti, imposto, addirittura dal patriota Garibaldi ad uno dei propri figli)".
Nella disciplina attuale, a parere del Tribunale, la questione della scelta del (pre)nome "va inquadrata nell’ambito della tutela del diritto al nome, di cui all’art. 6 c.c..
Orbene, l’interpretazione costituzionalmente orientata di quest’ultima norma - il riferimento, a tal proposito, deve individuarsi nell’art. 2 della Carta Fondamentale - induce a ritenere che il prenome non svolga più, o almeno non in via esclusiva, la funzione pubblicistica di identificazione della persona, ma che, al contrario, esso sia espressione dell’inviolabile diritto della personalità di chi lo porta, più precisamente che esso sia il primo baluardo - in senso cronologico - del diritto "ad essere se stessi”. Però, se così è, proseguono i giudici, tale diritto "va tutelato fin dal momento iniziale, genetico e conformativo, della scelta e dell’imposizione del nome al bambino. Si tratta di una scelta che certo, fa capo in primo luogo e normalmente ai genitori, i quali possono scegliere con la più ampia libertà il nome dei propri figli, tenendo, tuttavia, presente che si tratta di una decisione i cui effetti ricadranno sui figli stessi. Conseguentemente alla stregua di un giudizio prognostico ex ante, ed in base all’id quod plerumque accidit, riferito al contesto socio-ambientale di vita della famiglia, i genitori dovranno evitare quei nomi che, in un futuro più o meno lontano, potrebbero essere probabile fonte di rilevante fastidio, se non di pregiudizio, per il figlio".
In conseguenza, i limiti di cui all’art. 34 DPR 396/2000 devono "ritenersi ispirati alla tutela della personalità dell’individuo. Inoltre, proprio la ratio sopra esplicitata consente di affermare che si tratta di limiti di stretta interpretazione, ed anzi del tutto eccezionali". Peraltro, sottolineano i magistrati,
i concetti di ridicolo e di vergognoso, del resto, si presentano estremamente vaghi, ai limiti dell’irriducibilmente soggettivo, specie il primo, perchè privo di altri riscontri comparativi nell’ordinamento. Quindi,
in base ad un’interpretazione rigorosa, rispettosa dei principi suesposti, l"’aggettivo ,”ridicolo" deve, allora, essere assunto in un’accezione esclusivamente negativa, cioè come suscettibile di scherno, "tale da rendere il soggetto zimbello del gruppo". Conseguentemente, tale concetto non può essere tout court, assimilato a quello, di per sè neutro, di nome curioso, o particolare, o insolito". E aggiungono che "
ad abundantiam, la "lista" dei nomi non costituisce affatto un numerus clausus, e che, se è pur vero che la ripetizione, vale a dire la diffusione nell’uso, crea una rassicurante tradizione, e quindi legittima i nomi stessi, è, tuttavia, altrettanto vero che non potrebbe esserci tradizione, e quindi legittimazione, senza un inizio necessariamente inusuale quando non, addirittura, sorprendente".
Nella fattispecie concreta, il nome del bimbo era da considerarsi, sicuramente, inusuale ma non certo tale da rendere chi lo porta zimbello del gruppo, almeno, secondo il Tribunale, "non più di nomi cd. tradizionali, ma altrettanto curiosi (ad esempio Crocifisso, Catena, Achille, Incoronata) o di nomi di recente derivazione, ma già invalsi presso le celebrità (Apple, che in inglese significa mela, Oceano, Chanel e così via)".
Pertanto, ricorso rigettato.