L’inerzia dell’amministrazione non rientra tra i fatti-indice dell’incertezza normativa oggettiva
L’inerzia dell’amministrazione non rientra tra i fatti-indice dell’incertezza normativa oggettiva
(Cass., Sez. Tributaria, n. 16105 del 10 giugno 2024)
Con la recente sentenza n. 16105/2024, la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che, mentre l’inerzia dell’Amministrazione non determina condizione di obiettiva incertezza normativa, al contrario, la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali - sia di legittimità che di merito - rientra tra i c.d. fatti-indice dell’incertezza normativa oggettiva.
PREMESSA
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 16105 del 10 giugno 2024, è tornata su un tema particolarmente spinoso, ossia l’inapplicabilità del trattamento sanzionatorio in ipotesi di obiettiva incertezza normativa.
La sentenza in commento è meritevole di attenzione perché, con specifico riferimento al tema dell’“incertezza normativa oggettiva” quale causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, ne ha ulteriormente delineato il perimetro applicativo, evidenziando che l’inerzia amministrativa non determina una condizione di incertezza normativa oggettiva tale da legittimare l’esonero dal trattamento sanzionatorio.
Peraltro, con la pronuncia de qua, i giudici di legittimità hanno ribadito che anche i contrasti giurisprudenziali concorrono a determinare l’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme tributarie così comportando, dunque, l’esonero dal pagamento delle sanzioni.
Al fine di comprendere appieno la questione rimessa alla valutazione della Corte di Cassazione, si rendono opportune le seguenti considerazioni.
IL CASO
La vicenda in esame trae origine da un giudizio d’impugnativa avverso un avviso di accertamento con il quale il Comune contestava ad un Consorzio l’omesso pagamento della TARSU per le annualità dal 2009 al 2013.
Il Consorzio impugnava l’avviso di accertamento dinanzi la competente Commissione Tributaria Provinciale (oggi denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado), eccependo l’illegittimità della pretesa fiscale e delle sanzioni irrogate.
In primo grado i giudici rigettavano il ricorso proposto dal contribuente, confermando la legittimità dell’atto impugnato. La suddetta sentenza, oggetto di impugnazione da parte del contribuente, veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale.
In particolare, a fondamento del decisum, i giudici di secondo grado rilevavano che:
- ai fini della debenza del tributo TARSU ciò che rileva è il fatto di detenere nel territorio comunale, a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte e, di conseguenza, per le aree di proprietà comunale concesse in uso alla società dallo stesso Comune per la gestione della sosta a pagamento dei veicoli e dei servizi accessori, la concessionaria è soggetto passivo dell'imposta sui rifiuti;
- le sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento impugnato sono legittime, in quanto non sussiste alcuna incertezza normativa oggettiva sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme tributarie applicabili al caso di specie.
Ebbene, avverso la sentenza di secondo grado il contribuente proponeva ricorso per Cassazione, lamentando, tra gli altri, l’illegittimità del trattamento sanzionatorio applicato in quanto:
- non poteva configurarsi omessa dichiarazione TARSU a fronte della conoscenza, da parte dell'Ente impositore, delle aree ove veniva svolto il servizio di parcheggio;
- sanzioni ed interessi non potevano, ad ogni modo, trovare applicazione in ragione del legittimo affidamento indotto dal Comune che, nei confronti del precedente detentore delle aree e concessionario del servizio, non aveva esercitato alcuna pretesa impositiva così mostrando di considerare il concessionario del servizio quale “mero braccio esecutore” del Comune medesimo;
- detta condotta aveva integrato gli estremi (anche) di una “prassi contraddittoria” idonea a determinare condizioni di obiettiva incertezza normativa;
- l'illecito costituito dall'omessa denuncia, alfine, non avrebbe potuto essere sanzionato per ciascuna annualità d'imposta dovendo trovare applicazione l'istituto del cumulo giuridico di cui all'art. 12, comma 5, D. Lgs. n. 472/1997.
Ebbene, la Suprema Corte ha accolto, nei soli limiti precisati in sentenza, il suesposto motivo di ricorso, cassando la sentenza impugnata in relazione a tale profilo di censura e rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Campania, in diversa composizione.
Nello specifico, quanto ai profili risarcitori e sanzionatori, la Corte di Cassazione ha chiarito che:
- l’inerzia dell’Amministrazione – avendo il Consorzio assunto, in sintesi, che la pretesa impositiva era stata esercitata in violazione dei principi di legittimo affidamento e di buona fede in quanto l'Ente impositore non ne aveva mai fatto richiesta al precedente gestore del servizio di parcheggio, gestione, questa, la cui convenzione configurava una mera sostituzione del concedente piuttosto che lo svolgimento di un'attività di impresa - non può configurare “un qualche legittimo affidamento del contribuente”. Sul punto i giudici di legittimità hanno ribadito che:
<<(…) il legittimo affidamento, quale situazione giuridica soggettiva tutelata dall'art. 10, cit., presuppone che sussista: - un'apparente legittimità e coerenza dell'attività dell'Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; - la buona fede del contribuente stesso, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall'assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; - l'esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono.
(…)
Il dato che l'amministrazione (in tesi) non aveva esercitato alcuna pretesa impositiva nei confronti del precedente detentore delle aree e concessionario del servizio, non solo ex se esplicita una mera inerzia ma, per di più, si correlava ad un rapporto tributario che, come si dirà, prospettava (anche) un inadempimento del contribuente che alcuna dichiarazione aveva presentato a fini TARSU.
Come, difatti, si è già condivisibilmente rilevato, sinanche il mero silenzio, serbato dall'amministrazione su di un'istanza del contribuente, non è idoneo a giustificare un legittimo affidamento, non assumendo carattere univoco (Cass., 15 settembre 2022, n. 27242, cit.).>>;
- del pari, dalla condotta (di mera inerzia) dell’Ente impositore non può conseguire una qualche “prassi contraddittoria” idonea a determinare condizioni di obiettiva incertezza normativa in quanto:
<<Escluso, dunque, che l'inerzia dell'amministrazione potesse dar luogo ad un dato (positivo) connotante una "prassi contraddittoria", tanto i dati normativi di fattispecie quanto la loro stessa interpretazione giurisprudenziale escludevano ogni incertezza in ordine alla ricorrenza, nella fattispecie, dei presupposti tutti del rapporto giuridico tributario (v. la già citata Cass., 23 gennaio 2004, n. 1179).>>
Nello specifico, i giudici di legittimità, come si dirà meglio nel prosieguo, si soffermano sulla definizione di “obiettiva incertezza normativa”, delineandone il perimetro e i presupposti applicativi;
- è fondato e va accolto il motivo di censura relativo al trattamento sanzionatorio con riguardo all’istituto della continuazione, delineato dall’art. 12, comma 5, D. Lgs. n. 472/1997. In particolare, la Corte, premesso che tale istituto trova senz'altro applicazione alle sanzioni tributarie previste per i tributi locali, ha chiarito che:
<< La continuazione - il cui riconoscimento è collegato all'oggettivo perpetrarsi dell'illecito tributario in periodi d'imposta diversi - si arresta in caso di cd. interruzione che si realizza, ex art. 12, comma 6, D.Lgs. n. 472 del 1997, per effetto della contestazione della violazione che fissa il punto di arresto per il riconoscimento del beneficio, senza che rilevi la sua definitività e inoppugnabilità o la sua mancata impugnazione, così che ciò che si pone a monte dell'atto, se della stessa indole, deve essere unito ai fini della determinazione della sanzione, mentre ciò che invece si pone a valle, resta escluso dal cumulo giuridico, salvo riconoscersi, ove plurime siano le violazioni anche da questo lato, una autonoma e rinnovata applicazione del medesimo istituto di favore (Cass., 9 giugno 2021, n. 16017; v altresì, in tema di ICI, Cass., 16 giugno 2020, n. 11612; Cass., 7 luglio 2010, n. 16051); e, in particolare, si è rimarcato che allorché le sanzioni per le diverse annualità siano state irrogate con avvisi notificati contemporaneamente al contribuente, la continuazione si applica per tutte le violazioni antecedenti a tale contestazione, operando l'interruzione solo per quelle successive (Cass., 7 luglio 2010, n. 16051, cit.). >>.
Tanto premesso e con specifico riferimento all’istituto dell’“incertezza normativa oggettiva”, la Corte, al fine di escludere che la “prassi contraddittoria” generata dall’inerzia dell’Amministrazione costituisca un fatto-indice dell’obiettiva condizione di incertezza, ne ha ribadito la natura, i presupposti e i criteri identificativi, anche richiamando i precedenti arresti giurisprudenziali sul tema.
I PRESUPPOSTI DELL’ INCERTEZZA NORMATIVA OGGETTIVA
Com’è noto, in ambito tributario, la copiosa produzione normativa e i numerosi documenti di prassi emanati dall’Amministrazione finanziaria rendono spesso difficoltosa per i contribuenti la comprensione delle norme tributarie e delle condotte fiscalmente corrette e non sanzionabili.
Si parla, in tali ipotesi, di “obiettiva incertezza normativa” sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme tributarie, cui consegue l’esenzione del contribuente dall’irrogazione delle sanzioni fiscali.
L’esimente delle obiettive condizioni di incertezza, che costituisce un principio generale in materia di sanzioni amministrative tributarie, è disciplinata dalle seguenti disposizioni:
- art. 6, comma 2, D. Lgs. n. 472/1997, il quale prevede la non punibilità dell’autore della violazione qualora essa sia stata determinata da obiettive condizioni di incertezza.
Nello specifico, il citato art. 6 D. Lgs. n. 472/97, rubricato “Cause di non punibilità”, al comma 2 così dispone:
<<Non è punibile l'autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento.>>;
- art. 8 D. Lgs. n. 546/1992, il quale attribuisce al giudice tributario di primo e secondo grado il potere di disapplicare le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie qualora la normativa da applicare al caso concreto risulti obiettivamente incerta.
In particolare, il citato art. 8 D. Lgs. n. 546/1992, rubricato “Errore sulla norma tributaria”, così dispone:
<< La corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce.>>;
- art. 10, comma 3, L. n. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), rubricato “Tutela dell'affidamento e della buona fede. Errori del contribuente”, a norma del quale:
<< Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta. Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria.>>.
Dalla lettura delle citate disposizioni emerge ictu oculi che il Legislatore tributario ha inteso tutelare il contribuente escludendo l’irrogazione delle sanzioni fiscali qualora la normativa da applicare al caso concreto risulti obiettivamente incerta.
Tanto premesso, occorre evidenziare che per “incertezza normativa oggettiva” deve intendersi la situazione giuridica oggettiva che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie (cfr. Cass. n. 12639/2024; Cass. n. 24707/2019; Cass. n. 440/2015).
In altri termini, con la locuzione “incertezza normativa oggettiva” nel diritto tributario si suole intendere l’impossibilità di definire con certezza ed in maniera univoca, al termine di un procedimento interpretativo corretto sotto il profilo metodologico, la norma giuridica applicabile al caso di specie.
Tale principio, è stato, da ultimo, ribadito dalla Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, nell’ordinanza 28 maggio 2024, n. 14890 che così precisa:
<< secondo la giurisprudenza di questa Corte, "in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi dell'art. 10 della l. n. 212 del 2000 e dell'art. 8 del D. Lgs. n. 546 del 1992, quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all'Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione" (cfr. Cass. n. 3108 del 01/02/2019; Cass. n. 23845 del 23/11/2016)>>.
Dalle suesposte considerazioni ne discende che, ai fini della sussistenza dell’“incertezza normativa oggettiva”, ciò che rileva è il carattere oggettivo della stessa, a nulla rilevando la buona fede o la condizione psicologica del trasgressore. Conseguentemente, ciò che distingue l’incertezza normativa oggettiva dall’ignoranza giustificata è l’impossibilità, nella prima ipotesi, di pervenire allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria (cfr. Cass. n. 34092/2019; Cass. n. 15329/2019).
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità (ex multis: Cass. n. 11830/2020; Cass n. 13742/2019; Cass. n. 19638/2009) è costante nell’affermare che:
<<(…) l'incertezza normativa oggettiva non è in alcun modo rapportabile, non solo ad un singolo soggetto, cioè ad un soggetto di specie ultima, ma a nessuna classe di soggetti, cioè a nessuna categoria, perché essa è, invece, rapportabile solo allo stesso ordinamento giuridico cui appartiene la normazione da interpretare: l'incertezza normativa è oggettiva, perché essa esiste in se' ed è rilevante in se', in quanto impossibilità di stipulare una convenzione interpretativa delle norme, con la conseguente necessità dell'intervento autoritativo del giudice>>
Da tanto ne discende che l’incertezza oggettiva, così come delineata dalla stessa giurisprudenza di legittimità, è strutturalmente diversa dalla conoscibilità o conoscenza potenziale, in quanto:
<<(…) la conoscibilità è lo stato nel quale si trova il soggetto che è ancora ignorante, ma che, impegnandosi nello sforzo di associarsi alla conoscenza di altri ed adottando un idoneo comportamento, può acquisire la conoscenza resagli possibile e transitare dall'ignoranza alla conoscenza effettiva; l'incertezza oggettiva, invece, non è più ignoranza, perché è conoscenza insicura ed equivoca di qualcosa, ma chi si trova calato in essa non è in grado di addivenire ad una conoscenza effettiva, piena e sicura.>> (cfr. Cass. n. 24670/2007).
In altri termini, per aversi “incertezza normativa oggettiva”, con conseguente esenzione dall’irrogazione delle sanzioni, è necessario che sussista incertezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d'interpretazione normativa (cfr. Cass. n. 21307/2018), ossia è necessaria un’oggettiva impossibilità di individuare la norma giuridica applicabile al caso di specie.
Dal punto di vista pratico, giova evidenziare che la giurisprudenza di legittimità ha elaborato una serie di ipotesi al ricorrere delle quali può essere ritenuta sussistente l’incertezza normativa oggettiva. Tali ipotesi, c.d. “fatti-indice”, devono essere accertate e valutate dal giudice nel loro valore indicativo.
Il decalogo dei “fatti-indice” individuato dai giudici di legittimità (si veda ex multis: Cass. 14890/2024; Cass. n. 9055/2023; Cass. n. 10313/2019; Cass. n. 12301/2017) comprende i seguenti elementi:
- difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta anche alla mancanza di esplicite previsioni di legge;
- difficolta di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;
- difficolta di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;
- mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà;
- mancanza di una prassi amministrativa o l'adozione di prassi amministrative contrastanti;
- mancanza di precedenti giurisprudenziali;
- formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte Costituzionale;
- contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;
- contrasto tra opinioni dottrinali;
- adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.
In particolare, di recente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9055/2023 (nello stesso senso v. Cass. n. 18405/2018), ha chiarito che:
<<Tali fatti indice devono essere accertati, esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili.>>.
Infine, si evidenzia che, dal punto di vista processuale:
- l’onere di allegare la ricorrenza degli elementi di incertezza grava sul contribuente (cfr. Cass. n. 11075/2023; Cass. n. 1999/2018; Cass, n. 440/2015, Cass. n. 4031/2012), per cui va escluso che il giudice tributario possa dichiarare d’ufficio l’inapplicabilità delle sanzioni. In altri termini, il contribuente deve sempre motivare e dimostrare quale sia stata l’incertezza normativa oggettiva che ha determinato la violazione, non potendo il giudice decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente senza un’istanza dell’interessato.
Nello specifico, i giudici di legittimità sono concordi nel ritenere che (così Cass. n. 27155/2020):
<< (…) l'onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, se esistenti, grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito debba decidere d'ufficio l’applicabilità dell'esimente, né, per conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d'ufficio sul punto" (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22890 del 25/10/2006, Rv. 595874; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4031 del 14/03/2012, Rv. 622002; Sez. 5, Sentenza n. 440 del 14/01/2015, Rv. 634427; Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 7067 del 2015)>>
- la valutazione dei succitati “fatti-indice” spetta esclusivamente al giudice tributario, il quale applica l’esimente quando riconosce la ragionevolezza dell’interpretazione fornita dal contribuente. In sostanza, nelle ipotesi in cui è necessario valutare la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza normativa, è il giudice l'“unico soggetto dell'ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione”. Tale valutazione non è, dunque, riferibile ad un qualsiasi contribuente, né a quei soggetti che, per loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né, tantomeno, all'Ufficio finanziario coinvolto (cfr. ex multis Cass. 14890/2024; Cass. n. 5530/2023; Cass. nn. 5162, 5164, 5165, 5166 e 5167 del 2022; Cass. n. 20670/2021; Cass n. 1893/2021; Cass. 6132/2021; Cass. n. 3108/2019; Cass. n. 4047/2019; Cass. n. 18718/2018).
LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA IN COMMENTO: TRA I FATTI-INDICE DELL’INCERTEZZA NORMATIVA OGGETTIVA SI ANNOVERANO I CONTRASTI GIURISPRUDENZIALI MA NON ANCHE L’INERZIA AMMINISTRATIVA
Come innanzi anticipato, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza n. 16105/2024, è tornata nuovamente sul tema dell’obiettiva incertezza normativa.
Nello specifico, nella fattispecie al vaglio della Corte di Cassazione e per quanto qui di interesse, il contribuente aveva eccepito l’illegittimità delle sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento impugnato sul presupposto della sussistenza di una “prassi contraddittoria” - per non avere il Comune esercitato alcuna pretesa impositiva nei confronti del precedente detentore delle aree e concessionario del servizio, così mostrando di considerare il concessionario del servizio quale “mero braccio esecutore” del Comune medesimo - idonea a determinare una condizione di obiettiva incertezza normativa con conseguente esonero dall’irrogazione delle sanzioni.
Ebbene, occorre evidenziare che la Suprema Corte, sebbene abbia cassato la sentenza impugnata e rinviato alla C.G.T. di Secondo Grado della Campania in relazione al profilo di censura riguardante il trattamento sanzionatorio applicato, tuttavia ha ritenuto fondata tale censura solo limitatamente all’eccepita violazione dell’istituto della continuazione ex art. 12, comma 5, D. Lgs. n. 472/97, non ritenendo fondata la tesi secondo cui la “prassi contraddittoria” sia idonea a determinare una condizione di incertezza oggettiva.
In particolare, con specifico riferimento all’incertezza normativa oggettiva derivante da una “prassi contraddittoria” (dovuta all’inerzia prorogata dell’Amministrazione), la Suprema Corte ha così statuito:
<< deve escludersi che - dalla sopra rievocata condotta (di mera inerzia) dell'Ente impositore - potesse conseguire una qualche "prassi contraddittoria" idonea a determinare condizioni di obiettiva incertezza normativa.
(…)
Escluso, dunque, che l'inerzia dell'amministrazione potesse dar luogo ad un dato (positivo) connotante una "prassi contraddittoria", tanto i dati normativi di fattispecie quanto la loro stessa interpretazione giurisprudenziale escludevano ogni incertezza in ordine alla ricorrenza, nella fattispecie, dei presupposti tutti del rapporto giuridico tributario (v. la già citata Cass., 23 gennaio 2004, n. 1179). >>.
Sul tema, richiamando i principali arresti in materia, i giudici di legittimità hanno preliminarmente chiarito che cosa si intende per “incertezza normativa oggettiva”, così precisando:
<<(…) l'incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, "postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull'oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l'insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d'interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all'Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all'esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito." (così Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde, ex plurimis, Cass., 1 febbraio 2019, n. 3108; Cass., 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588; Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522; Cass., 27 luglio 2012, n. 13457; Cass., 16 febbraio 2012, n. 2192).>>
Poste tali premesse, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’incertezza normativa oggettiva, che porta ad escludere l’irrogazione delle sanzioni fiscali, può derivare anche da divergenti pronunce dei giudici di legittimità e di merito:
<< E si è, in particolare, rimarcato - a riguardo dei cd. fatti indice dell'incertezza normativa oggettiva (v. Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde, ex plurimis, Cass., 12 aprile 2019, n. 10313; Cass., 13 giugno 2018, n. 15452; Cass., 17 maggio 2017, n. 12301) - che concorrono a determinare detta incertezza la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali (nella giurisprudenza di legittimità e anche di merito; cfr. Cass., 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588) ovvero di una pluralità di disposizioni "il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso, per l'equivocità del loro contenuto" (così Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522).>>
In altri termini, i giudici di legittimità hanno chiarito che rientrano tra i c.d. “fatti-indice”, attraverso i quali si può rinvenire il fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva, anche i contrasti giurisprudenziali sia di legittimità che di merito.
Alla luce dei principi affermati dalla sentenza in commento ne discende che l’inerzia dell’Amministrazione non può in nessun caso determinare una condizione di incertezza normativa oggettiva; al contrario, deve essere riconosciuta la presenza di incertezza normativa oggettiva allorquando, sulla disposizione che si assume violata, siano stati espressi contrastanti indirizzi giurisprudenziali, tali da causare disorientamento nel contribuente circa la norma da applicare al caso concreto o del comportamento da tenere.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Alla luce di quanto sopra esposto, con specifico riferimento ai profili risarcitori e sanzionatori in tema di obiettive condizioni di incertezza, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16105 del 10 giungo 2024 in commento, ponendosi in perfetta continuità con i precedenti arresti giurisprudenziali, ha nuovamente tracciato il perimetro applicativo dell’istituto dell’incertezza normativa oggettiva, la quale costituisce una causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, evidenziando che:
- per la sussistenza di “incertezza normativa oggettiva” è necessaria un’inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria;
- l’accertamento di tale situazione di incertezza è demandato esclusivamente al giudice tributario e non ad un qualsiasi contribuente, né a quei soggetti che, per loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né, tantomeno, all'Ufficio finanziario coinvolto;
- la giurisprudenza di legittimità ha elaborato un decalogo di c.d. “fatti-indice” che individuano (ovviamente in maniera non esaustiva) le ipotesi che concorrono a determinare l’incertezza normativa. Sul punto, la sentenza in commento (Cass. n. 16105/2024) ha chiarito che:
- mentre, l’inerzia dell’Amministrazione non può in nessun caso determinare una condizione di incertezza normativa oggettiva;
- al contrario, detta incertezza si configura, tra le altre, anche in ipotesi di contrasti giurisprudenziali di legittimità e di merito. Nello specifico, la presenza di pronunce contrastanti, anche se provenienti da giudici di grado diverso, determina una situazione di incertezza normativa oggettiva che giustifica l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative.