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Maltrattamenti: figli al padre se il fidanzato della madre è violento

maltrattamenti
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Ad una madre è stato negato di vivere con i propri figli. La decisione del giudice nasce dal fatto che gli stessi, minori di 6 e 8 anni, avevano assistito a scene di maltrattamenti e violenze subite dalla donna a causa della condotta del fidanzato del tempo. La tutela del minore deve essere sempre garantita in qualsiasi circostanza. Per tale motivo, il giudice ha disposto la permanenza dei minori presso la famiglia paterna.

 

Una storia triste di maltrattamenti

La Corte di Cassazione si è pronunciata su una questione molto delicata. Una donna, madre di due bambini, separata dal marito, ha impugnato la decisione della Corte di Appello che statuiva la permanenza dei due bambini presso il domicilio del padre e non presso quello della madre. La vicenda analizzata dalla Corte di Cassazione ha messo in evidenza che la donna è stata vittima di maltrattamenti da parte del suo compagno.

Comportamento grave ma perché i bambini non possono vivere con la madre? La risposta è chiara. Durante i maltrattamenti i bambini erano presenti e hanno assistito alla scena di violenza e di terrore. Inoltre, la donna si è sempre astenuta dal denunciare tali maltrattamenti fino all’intervento dei servizi sociali. Da allora la donna ha denunciato il suo compagno per maltrattamenti e lo ha lasciato. Tuttavia, il giudice per i minori ha ritenuto doveroso disporre la permanenza dei bambini presso il padre.

 

Maltrattamenti e lontana dai figli: oltre il danno anche la beffa

Oltre il danno anche la beffa. Infatti, la Corte di Appello ha disposto la permanenza dei due bambini presso il domicilio dell’altro genitore al fine di garantire una corretta crescita psico-fisica dei due minori. La donna è ricorsa dinanzi alla Corte di Cassazione impugnando il provvedimento del giudice di seconda istanza. Tuttavia, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

L’aver lasciato il compagno, autore di maltrattamenti, non rende la situazione diversa per i minori. Questi hanno più volte assistito alla condotta violenta dell’uomo e ai prolungati maltrattamenti che si sono verificati ai danni della donna. Ma la domanda da porre è la seguente: chi è la vittima?

È evidente che in via diretta la vittima dei maltrattamenti sia la donna. Tuttavia, analizzando la questione nello specifico si comprende che le vere vittime siano i bambini, i quali hanno assistito a scene di violenza, maltrattamenti e lacrime. Tali maltrattamenti hanno turbato la loro crescita. Inoltre, la relazione prodotta dai servizi sociali è inequivocabile. I bambini hanno subito, indirettamente, gli effetti di tali maltrattamenti. Inoltre, la donna avrebbe dovuto denunciare la condotta violenta dell’uomo e i maltrattamenti subiti sin da subito.

Ma tale denuncia sarebbe stata funzionale non solo a condannare la condotta illecita posta in essere dal compagno ma soprattutto a preservare i propri figli. Quindi, mediante la propria condotta inerte, la madre non ha garantito ai propri figli il diritto alla crescita in ambienti sani e non violenti. Ricordiamo che, al momento in cui sono avvenuti i maltrattamenti, i bambini avevano rispettivamente 6 e 8 anni. Quindi, età molto complessa ove qualsiasi, condotta positiva o negativa, può essere motivo di turbamento per i minori e alterare la crescita psico-fisica degli stessi.

Ed è per questo motivo che il legislatore nel riformulare l’art. 572,. c.p., rubricato “maltrattamenti contro famigliari e conviventi” ha disposto con la l. del 19 luglio 2019 n. 69 di introdurre una particolare aggravante. Infatti, “la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di una persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità […] o se il fatto è commesso con armi”.

È evidente l’attenzione che il legislatore rivolge ai minori e ciò rende chiaro il motivo della conferma della decisione da parte della Corte di Cassazione.

Alla domanda, dunque, chi è la vittima del reato di maltrattamenti dobbiamo rispondere così:  “Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”.

 

Vivere con la madre o con il padre? Come sfuggire ai maltrattamenti

Se la permanenza presso la madre è stata motivo di turbamento per i minori, avendo questi assistito a violenze e maltrattamenti ripetuti ai danni della madre, diversa è la situazione presso il domicilio paterno.

Il giudice ha analizzato attentamente la relazione dei servizi sociali. Dalla stessa emerge che gli ambienti sono sereni. I bambini sono seguiti e sono circondati dall’amore dei nonni, cuginetti e zii. Vanno a scuola, frequentano la palestra, in particolar modo il figlio è iscritto a una scuola calcio mentre la figlia fa danza classica. Anche se in talune ore del giorno il padre lavora ed è assente, i bambini sono seguiti dai nonni. Questi rendono gli ambienti sicuri e confortevoli.

L’educazione e la crescita psico-fisica sono alla base dell’azione del genitore e dei nonni. La famiglia paterna è un “porto sicuro” ove i bambini possono crescere nell’amore e dimenticare i momenti di violenza e maltrattamenti a cui hanno assistito per molto tempo.

 

Tutto nasce dai maltrattamenti: cosa ha disposto il giudice?

La corte di Cassazione, con la sentenza 3060, ha rigettato il ricorso presentato dalla madre per inammissibilità. Inoltre, ha confermato la decisione della Corte di Appello.

Così, è stata disposta al padre la revoca dell’obbligo di assegno di mantenimento. Restano a suo carico il 100% delle spese straordinarie per i figli.

La madre, invece, mantiene l’affidamento condiviso, ma senza ottenere la permanenza dei minori presso il proprio domicilio; tuttavia, le è stato riconosciuto il diritto di visita.

 

Cosa si intende per maltrattamenti?

Il delitto di maltrattamenti è un reato abituale proprio. Le condotte, protratte nel tempo, possono essere commissive o omissive. In tale ultimo caso, sussiste in capo al soggetto agente il dovere di protezione. È evidente la presenza del dolo generico, ossia della coscienza e della volontà di porre in essere condotte volte a procurare sofferenza nella vittima.

Essendo un reato che si costituisce nel corso del tempo, lo stesso può essere assorbente dei reati di percosse ex. Art. 581 c.p., ingiuria ex art. 594 c.p. (dal 2016 abrogato) e minacce, così come affermato dalla Corte di Cassazione penale nella sentenza n. 15571 del 2013. Inoltre, può produrre lesioni personali lievi o lievissime.

Il particolare delitto dei “maltrattamenti contro familiari e conviventi” indica quelle condotte reiterate nel tempo, lesive dell’integrità psico-fisica e della libertà. Tali condotte sono poste in essere nei confronti di una persona di famiglia o di un convivente.

Il legislatore, in seguito alla Convenzione di Lanzarote del 2007, ha deciso di rendere la tutela per i soggetti vulnerabili sempre più evidente. È chiaro che nel caso di soggetti vulnerabili vi sia una particolare difficoltà per la vittima di denunciare le violenze.

In passato, l’art. 572 c.p. faceva riferimento soltanto al maltrattamento in famiglia o verso i fanciulli. Il legislatore, con la l. 172 del 2012, ha esteso l’ipotesi di maltrattamenti anche ai conviventi.

Ma la tutela è divenuta sempre più specifica con il Codice Rosso, ossia con la l. 69 del 2019. Infatti, il regime sanzionatorio è divenuto più duro.

Ma tale codice ha introdotto anche nuove circostanze aggravanti. Infatti, il delitto di maltrattamenti è da considerarsi aggravato qualora da tali condotte derivino lesioni gravi o gravissime, o la morte del soggetto passivo. Ma non solo.

Al fine di tutelare il minore, il legislatore ha previsto l’aggravante di reato anche nel caso in cui i maltrattamenti siano realizzati in presenza o in danno di un minore.

 

Maltrattamenti dinanzi al minore

Il legislatore ha condannato aspramente le condotte violente prodotte dinanzi al minore.  È evidente che questi sia un soggetto fragile e che tali condotte possano turbare la sua crescita e il suo sviluppo psico-fisico.

 Ed è per questo motivo che la Cassazione Penale con la sentenza n. 32368 del 2018 ha ritenuto che “integrano il reato di maltrattamenti in danno del figlio minore anche le condotte persecutorie poste in essere da un genitore nei confronti dell’altro quando il figlio è costretto ad assistervi sistematicamente, trattandosi di condotta espressiva di una consapevole indifferenza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali del minore ed idonea a provocare sentimenti di sofferenza e frustrazione in quest’ultimo”.

La consolidata giurisprudenza della Cassazione penale evidenzia la sussistenza di una figura: la “violenza assistita”.

Infatti, la Cassazione penale con la sentenza n. 18833 del 2018 ha affermato che possa parlarsi di violenza assistita ogni volta in cui “il delitto di maltrattamenti” venga posto in essere dinanzi a minori “come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all’interno delle mura domestiche, sempre che sia stata accertata l’abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi.”