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Clausola sociale - Consiglio di Stato: la flessibilità dell’obbligo di riassorbimento del personale

Clausola sociale - Consiglio di Stato: la flessibilità dell’obbligo di riassorbimento del personale
Clausola sociale - Consiglio di Stato: la flessibilità dell’obbligo di riassorbimento del personale

«La c.d. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza». Così il Consiglio di Stato conferma il suo orientamento, oramai granitico, sull’applicazione della clausola sociale.

 sociale negli appalti pubblici.

Il rischio, altrimenti, continuano i giudici di Palazzo Spada, è che la clausola risulti «lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’articolo 41 della Costituzione, che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto».

L’obbligo per l’imprenditore subentrante di assumere i lavoratori impiegati dall’impresa alla quale questi succede nella gestione di un’attività in appalto o in concessione va quindi interpretato in maniera flessibile senza automatismi e rigidità di sorta e «deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante». Quindi la clausola sociale «deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente».

Conseguentemente se i diversi assetti organizzativi, anche dovuti all’adozione di nuovi strumenti tecnici o informatici, impediscono all’impresa subentrante il rispetto integrale della clausola (non rendendo necessario l’utilizzo di tutto il personale precedentemente impiegato), non potrà che ammettersi una sua parziale disapplicazione e «i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori» saranno «destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali».

Ad ogni modo, sottolineano i giudici, «la clausola non comporta […] alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (cfr. Cons. Stato, III, n. 1255/2016; n. 5598/2015; vedi anche, IV, n. 2433/2016)».

Sul punto per approfondimenti si rinvia all’articolo “La problematica legittimità della c.d. clausola sociale negli appalti pubblici: la conferma della tendenza ad una tutela “debole” dei diritti dei lavoratori”.

(Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza 5 maggio 2017, n. 2078)

«La c.d. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza». Così il Consiglio di Stato conferma il suo orientamento, oramai granitico, sull’applicazione della clausola sociale.

 sociale negli appalti pubblici.

Il rischio, altrimenti, continuano i giudici di Palazzo Spada, è che la clausola risulti «lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’articolo 41 della Costituzione, che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto».

L’obbligo per l’imprenditore subentrante di assumere i lavoratori impiegati dall’impresa alla quale questi succede nella gestione di un’attività in appalto o in concessione va quindi interpretato in maniera flessibile senza automatismi e rigidità di sorta e «deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante». Quindi la clausola sociale «deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente».

Conseguentemente se i diversi assetti organizzativi, anche dovuti all’adozione di nuovi strumenti tecnici o informatici, impediscono all’impresa subentrante il rispetto integrale della clausola (non rendendo necessario l’utilizzo di tutto il personale precedentemente impiegato), non potrà che ammettersi una sua parziale disapplicazione e «i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori» saranno «destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali».

Ad ogni modo, sottolineano i giudici, «la clausola non comporta […] alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (cfr. Cons. Stato, III, n. 1255/2016; n. 5598/2015; vedi anche, IV, n. 2433/2016)».

Sul punto per approfondimenti si rinvia all’articolo “La problematica legittimità della c.d. clausola sociale negli appalti pubblici: la conferma della tendenza ad una tutela “debole” dei diritti dei lavoratori”.

(Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza 5 maggio 2017, n. 2078)