x

x

Pillola Ru 486: alcune questioni biogiuridiche a margine di una polemica

Natura
Ph. Isacco Emiliani / Natura

1. Premettiamo che non ci interessa in questa sede entrare nel merito di una polemica partitica. Non ci interessa nemmeno rilevare le molte contraddizioni che la animano. Dall’una e dall’altra parte, infatti, si è fatto ricorso ad argomentazioni non sempre sostanziali, talvolta pretestuose. Quello che ci interessa, invece, è il problema che essa pone sul piano etico e su quello autenticamente giuridico (non, quindi, sul piano esclusivamente legale).

 

2. Facciamo riferimento alla polemica sollevata da due decisioni (apparentemente) contrapposte relative alle modalità secondo le quali «usare» la pillola abortiva Ru 486, alla quale ricorre attualmente circa il 16% delle donne che praticano l’aborto procurato.

La polemica è stata sollevata soprattutto da due deliberazioni assunte recentemente dalla Giunta regionale dell’Umbria. Dapprima dalla deliberazione della Giunta regionale dell’Umbria guidata da Catuscia Marini (definita «di sinistra»); poi dalla deliberazione della stessa Giunta guidata da Donatella Tesei (definita «di destra»).

Trattasi, come si è detto, di due deliberazioni sotto taluni aspetti contrapposte, le quali, però, intendono dare applicazione alla medesima norma: quella che consente dal 10 dicembre 2009 l’aborto chimico entro i primi 49 giorni di gravidanza, portati recentemente (2020) a 63 dalle nuove Linee guida stabilite dal Consiglio Superiore di Sanità.

La Giunta Marini (2010-2019) deliberò di consentire la somministrazione della pillola abortiva Ru 486 in regime di day hospital, stabilendo un ricovero obbligatorio non inferiore a tre ore. Contro questa decisione insorsero alcuni consiglieri regionali umbri, definiti «di destra», i quali osservarono che, potendo il processo abortivo durare 32/48 ore, la deliberazione prescriveva tempi di ricovero inadeguati all’intervento.

Successivamente la Giunta Tesei (inizio mandato 11 novembre 2019), ribaltando, rectius modificando, il quadro normativo della Giunta Marini, stabilì che per la somministrazione della pillola abortiva Ru 486 era necessario il ricovero ospedaliero obbligatorio e che questo doveva avere durata di almeno tre giorni.

Contro questa decisione, conforme allora alla normativa nazionale e rispettosa delle condizioni stabilite dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) per l’autorizzazione dell’uso del mifepristone (il principio attivo che provoca la cessazione della vitalità dell’embrione), sono insorti i consiglieri regionali umbri, definiti «di sinistra». Essi hanno osservato che la deliberazione della Giunta Tesei (ripetiamo: conforme allora alla normativa nazionale, spesso però «aggirata» con il ricorso alle dimissioni volontarie «contrarie al parere dei medici») induce al ricorso all’aborto clandestino e limita i diritti della donna in gravidanza.

Hanno aggiunto – i consiglieri regionali umbri, definiti «di sinistra» - che è opportuno, in circostanze di pandemia causata dal coronavirus, «minimizzare» il tempo da trascorrere in ospedale e che, perciò, il ricovero ospedaliero obbligatorio di (almeno) tre giorni per l’assunzione della pillola abortiva Ru 486 era da ritenersi contrario ai criteri di cautela imposti in (contingenti) circostanze di pandemia.

 

3. È superfluo osservare che i criteri di cautela non sono di per sé argomenti per una decisione che investa questioni etiche o giuridiche. Sono certamente da valutare in presenza di particolari circostanze e, possibilmente, da rispettare.

Per esempio, nel caso della somministrazione della pillola abortiva Ru 486 questi criteri possono indurre al rinvio della somministrazione della medesima. Tanto che, in occasione dell’emergenza della pandemia da coronavirus, si è osservato (polemicamente) da più parti che gli aborti procurati erano diminuiti. Segno che molte donne in gravidanza non erano ricorse (o erano state consigliate a non ricorrere) al ricovero ospedaliero (nemmeno a quello «minimo») per la pratica dell’aborto procurato.

 

4. Le questioni, sia etiche sia giuridiche, sono altre e richiedono altri argomenti. Esse investono una pluralità di problemi. Qui verranno presi in considerazione solamente alcuni.

a) Innanzitutto osserviamo che come (ipocritamente) stabilisce anche l’art. 1 della Legge n. 194/1978, la tutela della vita umana fin dal suo inizio è un dovere dello Stato. La tutela della salute, poi, è in molti casi compito dello Stato.

Tanto che la tutela della salute della gestante è stata invocata come prima ratio per la pratica dell’aborto procurato dalla stessa Legge n.194/1978. Sotto un certo profilo aveva anticipato (e suggerito) il riconoscimento della medesima ratio – sia pure per il solo aborto terapeutico di donna consenziente – una Sentenza della Corte costituzionale italiana nel 1975 (cfr. Sentenza n. 27/1975), la quale riconosce il diritto alla soppressione della vita del nascituro sulla base di una (discutibilissima) definizione di persona (ideologicamente assunta): essa, infatti, dice che il nascituro persona non è, mentre la madre sarebbe persona «in atto» e il diritto alla salute della madre sarebbe, pertanto, prioritario rispetto al diritto alla vita del nascituro che ancora persona non è: la Costituzione, infatti, – si dice (erroneamente) – tutela i diritti della persona, non dell’essere umano.

La Costituzione, comunque, sembrerebbe – usiamo il condizionale, perché la «cosa» non è pacifica – tagliare la testa al toro. Essa, infatti, all’art. 32 dichiara di tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La salute, quindi, è un diritto dell’individuo tutelato dallo Stato. Non è un diritto del quale l’individuo possa disporre a piacimento sia perché «tutelato» sia perché rilevante per la collettività.

La prima domanda che ci si deve porre, perciò, in via generale riguarda la tutela della salute della persona umana. Se la sua tutela è un dovere della Repubblica, può essa essere lasciata assolutamente in balia di decisioni esclusivamente soggettive? In altre parole, se la tutela della salute è un dovere dello Stato, può diventare esercizio di un’opzione sia pure sulla base di un (definito) consenso informato?

Il problema riguarda anche la somministrazione della pillola abortiva Ru 486, soprattutto se si considerano i suoi possibili effetti collaterali e le sue possibili conseguenze. E ciò, non con riferimento alla vita e alla salute del nascituro, ma con riferimento alla salute della gestante. Fra gli effetti collaterali della pillola Ru 486, infatti, vanno considerati almeno i seguenti: emorragie, infezioni, aborti incompleti, problemi psicologici.

Fra le possibili conseguenze non si devono dimenticare la possibile sterilizzazione, il possibile parto prematuro in caso di gravidanze successive, sanguinamento uterino durante la prima fase della gravidanza successiva, placenta previa alla gravidanza successiva che potrebbe causare emorragie interne, nascita sottopeso del bambino alla gravidanza successiva.

Il problema, quindi, riguarda innanzitutto la «tutela» della salute della gestante. Riguarda, infatti, in via preliminare la sua integrità fisica: la possibile sterilizzazione, per esempio, rappresenterebbe una sua mutilazione. Questa sarebbe «antigiuridica» sotto almeno due profili: uno «negativo», vietato da norme positive (art. 5 CC e DPR n. 211/2003) e, quindi, anche legalmente; l’altro «positivo», poiché verrebbe meno il diritto alla maternità (anche e soprattutto se «cosciente e responsabile» come recita persino la Legge n. 194/1978) come possibile conseguenza della somministrazione della pillola abortiva Ru 486.

C’è un secondo profilo riguardante la tutela della salute. La tutela della salute, infatti, non può essere un diritto proprio solamente della gestante. Essa è un diritto anche del nascituro e persino del nascituro possibile. Per quanto riguarda il nascituro va osservato, infatti, che ad esso viene negato con la pratica dell’aborto chimico il diritto alla vita: la pillola abortiva Ru 486 colpisce direttamente e intenzionalmente «il» suo diritto fondamentale ed indispensabile per poter parlare di diritto alla tutela della sua salute.

Per quanto riguarda la tutela della salute del nascituro possibile si deve osservare che la somministrazione della pillola abortiva Ru 486 «incide» sul suo naturale sviluppo pre-natale. Tanto che è possibile – lo si è ricordato – che esso nasca sottopeso. E se anche questo non avesse conseguenze ulteriori, il fatto stesso di nascere sottopeso a causa della assunzione della pillola abortiva Ru 486 al fine di procurare un aborto chimico precedente, rappresenta di per sé una sua lesione. È da considerare legittima sotto questo profilo la pratica dell’aborto chimico tramite pillola Ru 486?

b) Quanto osservato sub a) rileva essenzialmente all’«interno» del regime legale permissivo dell’aborto procurato.

La prima questione, però, sulla quale sarebbe necessario portare l’attenzione, sarebbe quella relativa alla liceità morale e giuridica dell’aborto procurato sia che esso trovi «regolamentazione» sia che esso sia assolutamente libero e praticabile ad nutum fino al momento della nascita. Si tratta sempre della soppressione della vita umana sulla quale nessun essere umano può rivendicare diritti, tanto meno se si tratta di un innocente. Trattasi di una vexata quaestio sulla quale in questa sede non apriamo nemmeno il discorso, anche se essa è premessa di tutte le considerazioni che si possono fare sulla questione.

c) Intendiamo, piuttosto, portare l’attenzione su un problema – a nostro avviso molto interessante – evidenziato dalla polemica partitica.

Osserviamo preliminarmente che né la Giunta Marini né la Giunta Tesei hanno inteso realizzare – e di fatto non hanno operato – una rivoluzione. La Giunta Marini si è mossa secondo la ratio dell’autodeterminazione possibile; la Giunta Tesei si è mossa secondo la ratio adottata dalla normativa nazionale, cioè secondo il rispetto letterale del principio di legalità.

In altre parole la Giunta Marini ha portato avanti lo sviluppo dell’assunzione dell’ordinamento repubblicano secondo la quale il cosiddetto principio di autodeterminazione della persona è uno dei due cardini dell’ordinamento costituzionale della Repubblica italiana (cfr., per esempio, Sentenze n. 203/1989 e n. 334/1996 della Corte costituzionale).

La Giunta Tesei, da parte sua, ha semplicemente «applicato» le prescrizioni normative dello Stato. Si è, quindi, attenuta – come appena osservato – al cosiddetto principio di legalità, senza né valutare né discutere la prescrizione. Tanto che la Presidente Tesei di fronte alle novazioni normative preannunciate (agosto 2020) dal Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha dichiarato di essere pronta ad adeguarvisi.

Sotto questo profilo le due Giunte – almeno di fatto – si sono mosse e hanno deliberato nel rispetto della normativa positiva vigente pur apparendo le due deliberazioni contrarie. Perché allora sono sorte le polemiche? Certamente per ragioni pretestuose. Le polemiche pretestuose, però, hanno posto sul tavolo questioni serie alle quali è bene accennare sia pure telegraficamente.

I consiglieri regionali umbri, definiti «di destra» (in particolare Maria Rosi e Alfredo De Sio), si sono appellati alla durata del cosiddetto «processo di morte» per dimostrare l’assurdità della deliberazione della Giunta Marini. Essi, cioè, hanno invocato un «dato» che la deliberazione della Giunta Marini avrebbe dovuto tener presente regolamentando modi e tempi per la somministrazione della pillola abortiva Ru 486.

Non sono entrati nel merito della legittimità etica e giuridica del fatto. Hanno rilevato – e ciò è particolarmente significativo – che è il fatto regola per la norma, non la norma regola del fatto. Hanno riconosciuto, così, che la norma positiva di per sé non può porsi come autoreferenziale per legittimare la propria prescrizione. Alla norma positiva, infatti, necessita un fondamento che non può essere rappresentato da una deliberazione semplicemente conforme alla volontà umana. La fattispecie, infatti, non è costitutiva del fatto anche se questo generalmente assume rilievo giuridico positivo in virtù della fattispecie.

I consiglieri regionali umbri, definiti «di sinistra», opponendosi alla deliberazione della Giunta Tesei, hanno invocato innanzitutto rischi e pericoli (possibile ricorso all’aborto clandestino e necessaria «minimizzazione» del tempo da passare in ospedale per evitare contagi da SARS-COV 2), i quali – come abbiamo osservato sopra – non sono argomenti per una deliberazione come quella che regolamenta la somministrazione della pillola Ru 486.

L’argomento da loro invocato, invece, riguarda la «limitazione» dei diritti della donna, la quale, dovendo seguire una procedura prescritta per norma per assumere la pillola Ru 486, si vede certamente privata della possibilità dell’esercizio dell’autodeterminazione assoluta. Ciò vale non solo per la somministrazione della pillola Ru 486. Riguarda, per esempio, l’iter da seguire per il divorzio, per l’aborto procurato e non chimico, e via dicendo.

L’ordinamento giuridico in sé, infatti, è causa di limitazione dell’esercizio dell’autodeterminazione soggettiva assoluta, la quale si basa su una definizione di libertà impraticabile. Se ne era reso conto lucidamente, per esempio, Rousseau che pure tentò ostinatamente di trovare una formula per renderla di fatto possibile.

Ci sarebbe da registrare, poi, a proposito delle tesi dei consiglieri regionali umbri, definiti «di sinistra», che i diritti soggettivi non coincidono con le pretese delle volontà individuali. È, questo, un tema vasto e delicato, di scottante attualità, sul quale molto si è scritto e molto si discute.

Alle argomentazioni portate dai consiglieri regionali umbri, definiti «di sinistra», si è opposto l’avv. Simone Pillon, commissario della Lega a Perugia. Egli, a sostegno della deliberazione della Giunta Tesei, ha osservato che prendersi cura di una donna con una gravidanza difficile non vuol dire limitare i suoi diritti ma sostenerla e aiutarla in un momento drammatico della sua esistenza.  Sembra di capire che l’avv. Pillon circoscriva la pratica dell’aborto chimico alle «gravidanze difficili». Da quanto riportato dalla stampa non è dato di capire che cosa significhi «gravidanza difficile».

Noi siamo propensi a pensare che il 16% delle donne che scelgono la somministrazione della pillola Ru 486, non pratichi l’aborto per difficoltà alla gravidanza. Per la maggioranza di esse, infatti, la gravidanza è di per sé una difficoltà.

Anche, però, tralasciando questa osservazione non secondaria, va «preso atto» che anche l’avv. Pillon non mette in discussione la scelta di fondo del legislatore a favore dell’aborto procurato. Almeno così sembra leggendo le dichiarazioni rilasciate e riferite dalla stampa.

C’è di più. L’avv. Pillon non ipotizza nemmeno la possibilità di un ancoraggio alla normativa costituzionale (discutibile, come si è detto) e alla normativa ordinaria vigente che, pur contraddicendosi, non consentirebbe – nonostante il parere contrario della Corte costituzionale – di applicare nel caso dell’aborto procurato il cosiddetto principio di assoluta autodeterminazione.

Da parte sua la Giunta Tesei non ha tentato di costruire la deliberazione oggetto di polemiche sulla base di una costruzione teorica della normativa ordinamentale. Essa ha ritenuto sufficiente l’applicazione di una specifica norma nazionale (atteggiamento ribadito dopo l’«annuncio Speranza»). La deliberazione della Giunta Tesei, dunque, sembra accogliere passivamente l’ideologia dominante in materia di aborto procurato.

Comunque sia, dalla polemica emerge una necessità: la norma positiva ha sempre bisogno sia per essere legittimamente posta, sia per essere correttamente interpretata, sia per essere coerentemente applicata di un principio che la trascenda, rectius di un principio che le è trascendentale, essendo in essa e sovrapposto ad essa.

La legalità ha bisogno della legittimità come dimostra anche la discussione intorno a due deliberazioni delle Giunte regionali dell’Umbria – quella Marini e quella Tesei –, le quali, invece, hanno ritenuto e ritengono di trovare la ragione della norma nel puro positivismo giuridico. Hanno ritenuto e ritengono, in altre parole, che la giustificazione della deliberazione vada cercata nella deliberazione stessa: se si elimina, però, la necessità dell’argomentazione e della legittimazione ogni deliberazione e ogni norma diventano atti di puro potere brutale.

 

5. Le nuove Linee guida del Ministro Speranza consentono, ora, l’assunzione della pillola abortiva Ru 486 sia in consultorio sia in ambulatorio. Non è più necessario, pertanto, nemmeno il ricovero minimo di tre ore in day hospital stabilito dalla Giunta Marini. La gestante che assume la pillola abortiva Ru 486 può lasciare, infatti, il consultorio o l’ambulatorio dopo mezz’ora. L’avv. Pillon ha dichiarato che la nuova normativa mette a rischio la salute delle donne e che questa è stata voluta dal Ministro Speranza per ragioni ideologiche.

La nuova normativa non elimina i problemi cui si è accennato. Anzi, dimostra ancora una volta che la «scienza» pretende di costruire la realtà (Consiglio Superiore di Sanità) e che essa si pone (come spesso accade) al servizio del potere politico che ignora e scavalca sia l’etica sia la giuridicità.