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Possibili soluzioni per combattere la pirateria. Personale armato a bordo delle navi: spunti di riflessione

Abstact

L’incremento delle azioni di pirateria a largo della Somalia ha indotto la comunità internazionale ad adottare misure sempre nuove per combattere il fenomeno. Con il presente articolo si intende fornire un quadro generale delle operazioni condotte nella lotta alla pirateria, ponendo in evidenza il possibile utilizzo di scorte armate a bordo delle navi.

La notizia relativa ai sei marò della Marina militare italiana accusati di aver provocato la morte di due pescatori indiani con colpi di arma da fuoco nelle acque dell’Oceano Indiano, mentre erano impegnati a sorvegliare la petroliera italiana Enrica Lexie ([1]), oltre a far nascere interrogativi sulla modalità di svolgimento della vicenda, riporta all’attenzione delle cronache il problema della presenza di guardie armate a bordo delle imbarcazioni che navigano al largo della Somalia e nelle zone di mare interessate alla pirateria ([2]).

L’aumentare degli attacchi ha posto in luce la necessità, da parte dei Governi di tutto il mondo, di adottare misure internazionali idonee a garantire la sicurezza dei mari e a contrastare il fenomeno. Le rotte colpite dalla pirateria, infatti, sono tra le più trafficate e le più importanti per il commercio mondiale, sicché si è reso necessario un impegno costante e la collaborazione di tutti gli Stati al fine di debellare il fenomeno ([3]).

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, aveva dato l’autorizzazione agli Stati di contrastare, con ogni mezzo, gli atti di pirateria in alto mare, nelle acque territoriali e sul suolo somalo ([4]). L’esigenza di contrastare il fenomeno (che non accenna a diminuire), si era resa più forte, in seguito agli attacchi perpetrati nei confronti delle imbarcazioni del Programma alimentare mondiale, cariche di aiuti per le popolazioni somale ([5]).

A partire dall’estate del 2008, sono state avviate numerose operazioni navali internazionali tese alla salvaguardia delle rotte commerciali marittime interessate dagli attacchi e la lotta alla pirateria è stata condotta mediante il dispiegamento di navi appartenenti alle marine di tutto il mondo che agiscono di propria iniziativa, come ad esempio quelle di Cina e Russia, oppure sotto l’egida della Nato che conduce l’operazione Ocean Schield, dell’amministrazione americana con la Combined Task Force 151 ([6]), e dell’Unione Europea con l’Operazione Atalanta ([7]).

Tuttavia, gli sforzi compiuti a livello internazionale non hanno contribuito ad arginare la pirateria e, sebbene la dottrina ([8]) e gli orientamenti iniziali dell’IMO (acronimo dell’inglese International Maritime Organization) fossero contrari alla presenza di società di vigilanza privata (contractors) a bordo delle navi, a causa dell’aumentare degli attacchi armati, si è reso necessario prendere provvedimenti in merito. Nel corso della recente storia della lotta alla pirateria, i primi Stati che hanno fatto uso di contractors furono quelli considerati Open Registry e che non dispongono di una flotta armata ([9]).

In Italia ([10]) si è lungo dibattuto sulla possibilità di introdurre personale armato a bordo delle navi italiane, che sempre più spesso sono state vittime di feroci attacchi da parte dei pirati somali. L’utilizzo di scorte armate private da parte degli armatori italiani è stato consentito con il decreto-legge 107/2011 ([11]), convertito nella legge 2 agosto 2011 n.130, a seguito di modifiche.

Nella legge si prevede che il Ministro della difesa possa stipulare, con l’armatoria privata italiana, o con altri soggetti dotati di potere di rappresentanza, specifiche convenzioni, indirizzate a proteggere le navi battenti bandiera italiana durante la navigazione delle zone di mare più a rischio. La normativa italiana dispone che la protezione delle navi si possa realizzare mediante l’imbarco di personale appartenente alla Marina militare e ad altre Forze armate ([12]), oltre alla possibilità per l’armatore di utilizzare a sue spese, guardie giurate, rispettando i limiti delle best management practice ([13]).

Le soluzioni adottate dall’Italia sono state oggetto di dibattiti anche all’interno di altri Paesi europei: in Spagna, ad esempio, già da tempo si è fatto ricorso alle agenzie di vigilanza privata a bordo delle navi, mentre in Francia viene concesso agli armatori di imbarcare personale militare sulle imbarcazioni civili.

I reports sulle azioni di pirateria compiute negli ultimi anni mettono in luce che in tutti i casi in cui le imbarcazioni avevano a bordo personale armato, gli attacchi dei pirati sono stati sventati e la richiesta di soggetti armati a bordo delle navi è cresciuto notevolmente. Inoltre, il ricorso alla agenzie private di sicurezza può essere vantaggioso per gli armatori, che pagando le società di sicurezza correrebbero meno rischi di venire attaccati dai pirati ed inoltre, potrebbero evitare l’aumento dei costi assicurativi, che alcune assicurazioni si dicono disposte a diminuire qualora a bordo ci siano specialisti della sicurezza. Se da un lato l’utilizzo delle agenzie di sicurezza può essere visto come una soluzione efficace al fine di contrastare in maniera diretta la pirateria marittima, dall’altro l’incontrollato uso delle armi a bordo delle navi può provocare effetti imprevisti, come, ad esempio, la vicenda che è accaduta ai sei marò italiani in India, accusati dalle autorità indiane di aver cagionato la morte di alcuni pescatori indiani.

Per risolvere il problema è opportuno interrogarsi sulle cause che determinano il fenomeno. Tra queste, troviamo al primo posto l’instabilità dei Paesi nei quali la pirateria viene praticata ([14]), la mancanza di uno Stato forte ([15]) e l’estrema povertà che affligge la popolazione ([16]). E’ necessario quindi, agire direttamente nei Paesi interessati dal fenomeno, combattendo l’estrema povertà, le guerre intestine tra clan rivali e aiutando detti Stati a garantire l’ordine e la sicurezza.

[1] La notizia dei sei marò arrestati è stata pubblicata sulle pagine dei più famosi quotidiani italiani. Per approfondimenti si rimanda alla lettura di alcuni siti internet: http://mondo.panorama.it/world-news/Maro-arrestati-per-i-periti-indiani-gli-spari-sono-venuti-dai-loro-fucili; http://www.repubblica.it/esteri/2012/02/22/news/mar_italiani_arrestati_in_india_de_mistura_a_delhi_per_trattare-30299109/.

[2] La prima definizione di pirateria è contenuta nell’art. 15 della Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 1958. In seguito la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, conosciuta anche come Convenzione di Montego Bay dal nome del luogo nel quale è stata firmata nel 1982 ha definito la pirateria marittima agli artt. 101 e 102, definendola « a) ogni atto illecito di violenza o di sequestro, o ogni atto di rapina, commesso a fini privati dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati, e rivolti: nell’alto mare, contro un’altra nave o aeromobile o contro persone o beni da essi trasportati; contro una nave o un aeromobile, oppure contro persone e beni, in un luogo che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque Stato; b) ogni atto di partecipazione volontaria alle attività di una nave o di un aeromobile, commesso nella consapevolezza di fatti tali da rendere i suddetti mezzi nave o aeromobile pirata; c) ogni azione che sia di incitamento o di facilitazione intenzionale a commettere gli atti descritti alle lettere a) o b)».

[3]Nel corso del 2011 sono state attaccate 11 navi italiane e ne sono state sequestrate tre, di cui due sono state liberate. Gli attacchi sono avvenuti nelle acque dell’Oceano Indiano, nel Golfo di Aden, nelle zone di mare su cui si affaccia lo Yemen e al largo della Malesia.

L’International Maritime Bureau (IMB) ha segnalato un aumento degli attacchi nel corso del 2011. Mentre si registrarono 263 attacchi nel 2007; 293 nel 2008; 410 nel 2009; 445 nel 2010, nel 2011 si arriva a 439 attacchi reali o tentati da parte dei pirati. Nel corso del 2012 fino alla data del 30 agosto 2012 si registrano 210 attacchi globali e 23 sequestri. Attualmente risultano detenuti dai pirati somali 188 ostaggi e ben 11 navi. http://www.icc-ccs.org/piracy-reporting-centre/piracynewsafigures.

[4] Si tratta della risoluzione n. 1851 del 2008 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che permette agli Stati impegnati nella lotta alla pirateria di entrare nel territorio somalo sia attraverso mezzi aerei che terresti. La risoluzione n. 1851 (2008) è stata preceduta dalla risoluzione n. 1816 del 2008, nella quale si concedeva agli Stati la possibilità di perseguire chi si macchiava di atti di pirateria all’interno delle acque territoriali somale per sei mesi, disposizione che è stata di volta in volta rinnovata con le risoluzioni n. 1838 del 2008, n. 1846 del 2008, n. 1851 del 2008, n. 1897 del 2009 e n. 1950 del 2010. Per approfondimenti si legga M.C. NOTO, La repressione della pirateria in Somalia: le misure coercitive del Consiglio di Sicurezza e la competenza giurisdizionale degli Stati, in Comun. intern., 2009, p. 453 e ss.

[5] Si legga in proposito il «Coordinated action urged: piracy threatens UN lifeline to Somalia», del World Food Program, pubblicato in data 7 ottobre 2007, http://www.wfp.org e l’articolo di D. OSLER, Somalia food aid shipments at risk, del 13 giugno 2008, http://Lloydslist.com

[6] Tra le Marine che operano nell’ambito della Task Force 151 troviamo quelle di Canada, India, Kenya, Malesia, Singapore, Turchia. Collabora con esse la flotta navale dell‟Unione europea EU Navfor, giunta nelle acque del Corno d’Africa nel dicembre 2008. Per approfondimenti si vada al sito internet: http://www.navy.mil/submit/display.asp?story_id=41687

[7] Per avere notizie sempre aggiornate sulle operazioni condotte dalle Marine Militari che collaborano nelle operazioni di lotta alla pirateria dell’Unione Europea si leggano gli articoli presenti al sito internet: http://www.eunavfor.eu/

[8] In merito si legga F. MUNARI, La “nuova” pirateria e il diritto internazionale. Spunti per una riflessione, in Riv. dir. Int. 2009, pp. 341-346. Per approfondimenti sulla pirateria odierna si legga F. CAFFIO e N. RONZITTI, La pirateria: che fare per sconfiggerla?, (a cura dello) IAI, Istituto Affari Internazionali, n. 44, Osservatorio di politica internazionale, aprile 2012.

[9] In proposito si ricordano in particolare la Liberia, le Bahamas e Panama.

[10] In Italia, il reato di pirateria marittima è disciplinato agli artt. 1135 e 1136 del Codice della Navigazione. In particolare, l’art. 1135, c. 1, recita: « Il comandante o l’ufficiale di nave nazionale o straniera, che commette atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero a scopo di depredazione commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera, è punito con la reclusione da dieci a venti anni».

[11] Si rimanda al Decreto legge del 12 luglio 2011 n. 107, recante «Proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni per l’attuazione delle Risoluzioni 1970 (2011) e 1973 (2011) adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Misure urgenti antipirateria», in Gazzetta ufficiale n. 160.

[12] Si tratta dei Nuclei Militari di Protezione, conosciuti anche come NMP.

[13] Le best management practice sono indicazioni date dai migliori esperti mondiali di pirateria per l’autodifesa delle imbarcazioni. I dati, più che incoraggianti, dimostrano che le raccomandazioni fornite siano un valido strumento per prevenire gli attacchi dei pirati.

[14] Le azioni di pirateria sono praticate in gran parte al largo delle acque della Somalia. In seguito alla caduta del regime di Siad Barre e nonostante l’insediamento del Governo Federale di Transizione (ora innanzi anche GFT) nel 2004, sostenuto dalle Nazioni Unite e avvenuto in seguito ad un lungo e difficile processo di pace, il Paese è piombato nel caos. Lo Stato somalo è dilaniato dalle guerre che vedono coinvolti i signori della guerra anti-islamici, i gruppi islamici, che in alcuni casi hanno legami con al-quaeda e le milizie dei clan antigovernativi. I combattimenti e l’instabilità nel Paese si sono susseguiti anche dopo l’intervento delle truppe etiopi che nel 2006 scacciarono l’Unione delle Corti islamiche insediatasi a Mogadiscio, attuale capitale Somala. A causa dei continui scontri nel Paese non il GFT non riesce a garantire il controllo sul territorio somalo. Si legga in proposito, R. MIDDLETON, Piracy in Somalia: Threatening Global Trade, Feeding Local Wars, Chatham House Briefing Paper, October 2008, p. 5.

[15] La Somalia è considerata uno «Stato fallito». In merito si leggano: THURER, The “Failed State” and International Law, in Int. Review of the Red Cross, 1999, p.731 ss; GEISS, Failed States. Legal Aspects and Security Implication, in German Yearbook of Int. Law, 2004, p. 457 ss e l’articolo di A. TANCREDI, Di pirati e «Stati Falliti»: Il Consiglio di Sicurezza autorizza il ricorso alla forza nelle acque territoriali della Somalia, in Rivista di diritto internazionale, 2008, pp. 937 e ss.

[16] Per approfondimenti sui fattori che hanno portato al fenomeno si legga: CHALK, The Maritime Dimension of International Security Terrorism, Piracy, and Challenges for the United States, Rand Project Air Force, Rand Corporation, 2008.

Abstact

L’incremento delle azioni di pirateria a largo della Somalia ha indotto la comunità internazionale ad adottare misure sempre nuove per combattere il fenomeno. Con il presente articolo si intende fornire un quadro generale delle operazioni condotte nella lotta alla pirateria, ponendo in evidenza il possibile utilizzo di scorte armate a bordo delle navi.

La notizia relativa ai sei marò della Marina militare italiana accusati di aver provocato la morte di due pescatori indiani con colpi di arma da fuoco nelle acque dell’Oceano Indiano, mentre erano impegnati a sorvegliare la petroliera italiana Enrica Lexie ([1]), oltre a far nascere interrogativi sulla modalità di svolgimento della vicenda, riporta all’attenzione delle cronache il problema della presenza di guardie armate a bordo delle imbarcazioni che navigano al largo della Somalia e nelle zone di mare interessate alla pirateria ([2]).

L’aumentare degli attacchi ha posto in luce la necessità, da parte dei Governi di tutto il mondo, di adottare misure internazionali idonee a garantire la sicurezza dei mari e a contrastare il fenomeno. Le rotte colpite dalla pirateria, infatti, sono tra le più trafficate e le più importanti per il commercio mondiale, sicché si è reso necessario un impegno costante e la collaborazione di tutti gli Stati al fine di debellare il fenomeno ([3]).

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, aveva dato l’autorizzazione agli Stati di contrastare, con ogni mezzo, gli atti di pirateria in alto mare, nelle acque territoriali e sul suolo somalo ([4]). L’esigenza di contrastare il fenomeno (che non accenna a diminuire), si era resa più forte, in seguito agli attacchi perpetrati nei confronti delle imbarcazioni del Programma alimentare mondiale, cariche di aiuti per le popolazioni somale ([5]).

A partire dall’estate del 2008, sono state avviate numerose operazioni navali internazionali tese alla salvaguardia delle rotte commerciali marittime interessate dagli attacchi e la lotta alla pirateria è stata condotta mediante il dispiegamento di navi appartenenti alle marine di tutto il mondo che agiscono di propria iniziativa, come ad esempio quelle di Cina e Russia, oppure sotto l’egida della Nato che conduce l’operazione Ocean Schield, dell’amministrazione americana con la Combined Task Force 151 ([6]), e dell’Unione Europea con l’Operazione Atalanta ([7]).

Tuttavia, gli sforzi compiuti a livello internazionale non hanno contribuito ad arginare la pirateria e, sebbene la dottrina ([8]) e gli orientamenti iniziali dell’IMO (acronimo dell’inglese International Maritime Organization) fossero contrari alla presenza di società di vigilanza privata (contractors) a bordo delle navi, a causa dell’aumentare degli attacchi armati, si è reso necessario prendere provvedimenti in merito. Nel corso della recente storia della lotta alla pirateria, i primi Stati che hanno fatto uso di contractors furono quelli considerati Open Registry e che non dispongono di una flotta armata ([9]).

In Italia ([10]) si è lungo dibattuto sulla possibilità di introdurre personale armato a bordo delle navi italiane, che sempre più spesso sono state vittime di feroci attacchi da parte dei pirati somali. L’utilizzo di scorte armate private da parte degli armatori italiani è stato consentito con il decreto-legge 107/2011 ([11]), convertito nella legge 2 agosto 2011 n.130, a seguito di modifiche.

Nella legge si prevede che il Ministro della difesa possa stipulare, con l’armatoria privata italiana, o con altri soggetti dotati di potere di rappresentanza, specifiche convenzioni, indirizzate a proteggere le navi battenti bandiera italiana durante la navigazione delle zone di mare più a rischio. La normativa italiana dispone che la protezione delle navi si possa realizzare mediante l’imbarco di personale appartenente alla Marina militare e ad altre Forze armate ([12]), oltre alla possibilità per l’armatore di utilizzare a sue spese, guardie giurate, rispettando i limiti delle best management practice ([13]).

Le soluzioni adottate dall’Italia sono state oggetto di dibattiti anche all’interno di altri Paesi europei: in Spagna, ad esempio, già da tempo si è fatto ricorso alle agenzie di vigilanza privata a bordo delle navi, mentre in Francia viene concesso agli armatori di imbarcare personale militare sulle imbarcazioni civili.

I reports sulle azioni di pirateria compiute negli ultimi anni mettono in luce che in tutti i casi in cui le imbarcazioni avevano a bordo personale armato, gli attacchi dei pirati sono stati sventati e la richiesta di soggetti armati a bordo delle navi è cresciuto notevolmente. Inoltre, il ricorso alla agenzie private di sicurezza può essere vantaggioso per gli armatori, che pagando le società di sicurezza correrebbero meno rischi di venire attaccati dai pirati ed inoltre, potrebbero evitare l’aumento dei costi assicurativi, che alcune assicurazioni si dicono disposte a diminuire qualora a bordo ci siano specialisti della sicurezza. Se da un lato l’utilizzo delle agenzie di sicurezza può essere visto come una soluzione efficace al fine di contrastare in maniera diretta la pirateria marittima, dall’altro l’incontrollato uso delle armi a bordo delle navi può provocare effetti imprevisti, come, ad esempio, la vicenda che è accaduta ai sei marò italiani in India, accusati dalle autorità indiane di aver cagionato la morte di alcuni pescatori indiani.

Per risolvere il problema è opportuno interrogarsi sulle cause che determinano il fenomeno. Tra queste, troviamo al primo posto l’instabilità dei Paesi nei quali la pirateria viene praticata ([14]), la mancanza di uno Stato forte ([15]) e l’estrema povertà che affligge la popolazione ([16]). E’ necessario quindi, agire direttamente nei Paesi interessati dal fenomeno, combattendo l’estrema povertà, le guerre intestine tra clan rivali e aiutando detti Stati a garantire l’ordine e la sicurezza.

[1] La notizia dei sei marò arrestati è stata pubblicata sulle pagine dei più famosi quotidiani italiani. Per approfondimenti si rimanda alla lettura di alcuni siti internet: http://mondo.panorama.it/world-news/Maro-arrestati-per-i-periti-indiani-gli-spari-sono-venuti-dai-loro-fucili; http://www.repubblica.it/esteri/2012/02/22/news/mar_italiani_arrestati_in_india_de_mistura_a_delhi_per_trattare-30299109/.

[2] La prima definizione di pirateria è contenuta nell’art. 15 della Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 1958. In seguito la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, conosciuta anche come Convenzione di Montego Bay dal nome del luogo nel quale è stata firmata nel 1982 ha definito la pirateria marittima agli artt. 101 e 102, definendola « a) ogni atto illecito di violenza o di sequestro, o ogni atto di rapina, commesso a fini privati dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati, e rivolti: nell’alto mare, contro un’altra nave o aeromobile o contro persone o beni da essi trasportati; contro una nave o un aeromobile, oppure contro persone e beni, in un luogo che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque Stato; b) ogni atto di partecipazione volontaria alle attività di una nave o di un aeromobile, commesso nella consapevolezza di fatti tali da rendere i suddetti mezzi nave o aeromobile pirata; c) ogni azione che sia di incitamento o di facilitazione intenzionale a commettere gli atti descritti alle lettere a) o b)».

[3]Nel corso del 2011 sono state attaccate 11 navi italiane e ne sono state sequestrate tre, di cui due sono state liberate. Gli attacchi sono avvenuti nelle acque dell’Oceano Indiano, nel Golfo di Aden, nelle zone di mare su cui si affaccia lo Yemen e al largo della Malesia.

L’International Maritime Bureau (IMB) ha segnalato un aumento degli attacchi nel corso del 2011. Mentre si registrarono 263 attacchi nel 2007; 293 nel 2008; 410 nel 2009; 445 nel 2010, nel 2011 si arriva a 439 attacchi reali o tentati da parte dei pirati. Nel corso del 2012 fino alla data del 30 agosto 2012 si registrano 210 attacchi globali e 23 sequestri. Attualmente risultano detenuti dai pirati somali 188 ostaggi e ben 11 navi. http://www.icc-ccs.org/piracy-reporting-centre/piracynewsafigures.

[4] Si tratta della risoluzione n. 1851 del 2008 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che permette agli Stati impegnati nella lotta alla pirateria di entrare nel territorio somalo sia attraverso mezzi aerei che terresti. La risoluzione n. 1851 (2008) è stata preceduta dalla risoluzione n. 1816 del 2008, nella quale si concedeva agli Stati la possibilità di perseguire chi si macchiava di atti di pirateria all’interno delle acque territoriali somale per sei mesi, disposizione che è stata di volta in volta rinnovata con le risoluzioni n. 1838 del 2008, n. 1846 del 2008, n. 1851 del 2008, n. 1897 del 2009 e n. 1950 del 2010. Per approfondimenti si legga M.C. NOTO, La repressione della pirateria in Somalia: le misure coercitive del Consiglio di Sicurezza e la competenza giurisdizionale degli Stati, in Comun. intern., 2009, p. 453 e ss.

[5] Si legga in proposito il «Coordinated action urged: piracy threatens UN lifeline to Somalia», del World Food Program, pubblicato in data 7 ottobre 2007, http://www.wfp.org e l’articolo di D. OSLER, Somalia food aid shipments at risk, del 13 giugno 2008, http://Lloydslist.com

[6] Tra le Marine che operano nell’ambito della Task Force 151 troviamo quelle di Canada, India, Kenya, Malesia, Singapore, Turchia. Collabora con esse la flotta navale dell‟Unione europea EU Navfor, giunta nelle acque del Corno d’Africa nel dicembre 2008. Per approfondimenti si vada al sito internet: http://www.navy.mil/submit/display.asp?story_id=41687

[7] Per avere notizie sempre aggiornate sulle operazioni condotte dalle Marine Militari che collaborano nelle operazioni di lotta alla pirateria dell’Unione Europea si leggano gli articoli presenti al sito internet: http://www.eunavfor.eu/

[8] In merito si legga F. MUNARI, La “nuova” pirateria e il diritto internazionale. Spunti per una riflessione, in Riv. dir. Int. 2009, pp. 341-346. Per approfondimenti sulla pirateria odierna si legga F. CAFFIO e N. RONZITTI, La pirateria: che fare per sconfiggerla?, (a cura dello) IAI, Istituto Affari Internazionali, n. 44, Osservatorio di politica internazionale, aprile 2012.

[9] In proposito si ricordano in particolare la Liberia, le Bahamas e Panama.

[10] In Italia, il reato di pirateria marittima è disciplinato agli artt. 1135 e 1136 del Codice della Navigazione. In particolare, l’art. 1135, c. 1, recita: « Il comandante o l’ufficiale di nave nazionale o straniera, che commette atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero a scopo di depredazione commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera, è punito con la reclusione da dieci a venti anni».

[11] Si rimanda al Decreto legge del 12 luglio 2011 n. 107, recante «Proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni per l’attuazione delle Risoluzioni 1970 (2011) e 1973 (2011) adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Misure urgenti antipirateria», in Gazzetta ufficiale n. 160.

[12] Si tratta dei Nuclei Militari di Protezione, conosciuti anche come NMP.

[13] Le best management practice sono indicazioni date dai migliori esperti mondiali di pirateria per l’autodifesa delle imbarcazioni. I dati, più che incoraggianti, dimostrano che le raccomandazioni fornite siano un valido strumento per prevenire gli attacchi dei pirati.

[14] Le azioni di pirateria sono praticate in gran parte al largo delle acque della Somalia. In seguito alla caduta del regime di Siad Barre e nonostante l’insediamento del Governo Federale di Transizione (ora innanzi anche GFT) nel 2004, sostenuto dalle Nazioni Unite e avvenuto in seguito ad un lungo e difficile processo di pace, il Paese è piombato nel caos. Lo Stato somalo è dilaniato dalle guerre che vedono coinvolti i signori della guerra anti-islamici, i gruppi islamici, che in alcuni casi hanno legami con al-quaeda e le milizie dei clan antigovernativi. I combattimenti e l’instabilità nel Paese si sono susseguiti anche dopo l’intervento delle truppe etiopi che nel 2006 scacciarono l’Unione delle Corti islamiche insediatasi a Mogadiscio, attuale capitale Somala. A causa dei continui scontri nel Paese non il GFT non riesce a garantire il controllo sul territorio somalo. Si legga in proposito, R. MIDDLETON, Piracy in Somalia: Threatening Global Trade, Feeding Local Wars, Chatham House Briefing Paper, October 2008, p. 5.

[15] La Somalia è considerata uno «Stato fallito». In merito si leggano: THURER, The “Failed State” and International Law, in Int. Review of the Red Cross, 1999, p.731 ss; GEISS, Failed States. Legal Aspects and Security Implication, in German Yearbook of Int. Law, 2004, p. 457 ss e l’articolo di A. TANCREDI, Di pirati e «Stati Falliti»: Il Consiglio di Sicurezza autorizza il ricorso alla forza nelle acque territoriali della Somalia, in Rivista di diritto internazionale, 2008, pp. 937 e ss.

[16] Per approfondimenti sui fattori che hanno portato al fenomeno si legga: CHALK, The Maritime Dimension of International Security Terrorism, Piracy, and Challenges for the United States, Rand Project Air Force, Rand Corporation, 2008.